Questo estratto, per lamacchinasognante viene dal romanzo di formazione La misteriosa fuga dei padri e l’inseguimento dei puttanocchi, libro che sta cercando il suo editore.
Il romanzo parla di tre ragazzi del nord Italia – Zaccaria l’ebreo, Alo il maialo e Drogba il negraccio- che abbandonati dai rispettivi padri, decidono di fuggire di casa per cercarli. Il funambolico viaggio di ingegnose trovate, amarezze e risate, li vedrà muoversi tra la città di B., Lanzarote, Ljubljana e Roma.
Il punto qui estratto è quello che precede il viaggio. I tredicenni, Zaccaria ed Alessandro, recuperata in ospedale la borsa piena di soldi della nonna di Zaccaria, per pagarsi il viaggio, incontrano l’amico Drogba che si trova lì perché Sem, il suo compagno, affetto da turbe psichiche che sfociano in piromania, è lì internato per l‘ennesima volta.
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“Mà, mi sa che inizio a fumare” aveva detto alla madre mentre era uscito dalla camera di ospedale. La madre ebbe un tumulto. Non ci poteva credere. “Ok”, aveva detto ficcando le mani in tasca in cerca di qualcosa: aveva in tasca della Maria. D’istinto occhiò a destra e poi a sinistra, le tremavano le mani. “Incomincia da questa”, poi se lo era portato nel bagno delle donne, un piccolo bagnetto “La mischi col tabacco”. Olga era molto emozionata, aspettava questo momento da anni. In realtà se lo figurava verso i quindici, sedici anni, ma Drogba era sempre stato precoce in tutto e insomma era venuto il gran momento. Continuava a controllare davanti e indietro e poi si era messa a rollare la prima sigaretta tabaccata con foglie di Maria del figlio. Avrebbe baciato il pavimento, se ci fosse stato un po’ di terra. Era anche sicura che avrebbe diminuito le ore davanti a Face-Book e questa idea la faceva ruzzolare nella gioia, “Oh, mi raccomando non porcate industriali, tabacco e erba per incominciare”, “Ok”, aveva risposto lui assertivo, non era tipo da mettere in discussione l’esperienza della madre in queste cose e poi era triste. La madre gli staccò un capello con forza “Ahi!”, “Male?”, “Un po’”, “Bene allora, forza” continuò perché quello era il suo modo per dirgli che l’esperienza aveva l’avvallo materno e rientrava nell’ordine delle cose sagge anche se illegali, per cui mo’ lui doveva andare a gettare al vento il suo riccio in segno di gratitudine alla Madre Terra. Drogba si guardò intorno. Le finestre erano sigillate, si accorse che c’era anche l’allarme forse anti fumo. “Cesso!”, “Cesso mamma?”, “Sì” annuì lei per far capire che va bene la tradizione, ma erano in un contesto speciale e quindi al quarto piano dell’ospedale il water era la via più diretta con Madre Terra. Lo sciacquone aveva un getto davvero convincente “ heee” inspirò la madre estasiata mentre aveva nella mente la forza delle Cascate di Kalambo, ma Drogba questo non lo poteva ricordare. Olga accese la sigaretta, “Guarda, si fa così … aspiri bene e mandi giù all’inferno dei polmoni”, lui le prese la sigaretta dalle dita e come avesse sempre fumato, anzi con una sorta di devozione dentro agli occhi appannati dal fumo, diede tre boccate profonde e nuvolose. Neanche un colpo di tosse. “Oh! Non ti mettere a fumare davanti a Sam!!”, “No, no sei matta mamma?!”, “Quello è capace di farvi bruciare insieme”, “Hè!” rispose Drogba affascinato da quel pensiero.
“ Sai mà, quando senti che è uno schifo …”, “Dh … certo che lo so, sono stata mollata dall’uomo della mia vita”, “ Tu, ci pensi a pà?”, “Più o meno tutti i giorni”, “Ma com’è che gli uomini se ne vanno?”, “Non so Dh, vorrei dirti che è per un istinto di cacciatori, per una legge di natura dell’inseminazione diffusa, un principio di entropia endemica – ti ho mai parlato dell’entropia endemica?…-, per la poligamia godereccia- che mica sono contraria, hé sono una figlia dei figli dei fiori- ma non lo so, … e secondo me non lo sanno neanche loro”, “Io però, starò male quando ci lasceremo io e Sam”, “ Amore ma perché dovreste lasciarvi?”, “Perché è così siamo piccoli, dobbiamo crescere e star male, per tutti è così”, “… Hai letto un’altra volta Il Bardo?!”, “L’ho riletto ieri”, “Ancora con ste stronzate tibetane, … mai che mi leggessi Dio d’Acqua, non so…”, “L’ho letto ma, è come una favola per grandi non mi piace … e poi il bardo c’ha ragione”, “C’avrà anche ragione, ma … che pesantezza!”, “E’ così, lo sai”, “Dh è presto per dirlo, probabilmente scapperai di casa, incontrerai tanta gente, ti farai infiammare da una miriade di passioni, ti farai una famiglia, divorzierai, farai una capatina sulla luna, diventerai presidente del Togo – ti piace il Togo? …- e davanti a tutta questa bellezza stai a menartela che la vita è pesa?!”, “Ma è così”, “No, a te piace che sia così … poi basta con sta cosa di vederti solo nel dolore. Soffriamo tutti e in fin dei conti è una sciocchezza” disse riprendendo la sigarette dalla sua bocca. Drogba la guardò con ardore. Per essere una madre ne diceva di cose esatte, considerò.
Incominciava a sentirsi più rilassato, connesso a Sam non solo da una forza disperante ma da una semplice dolcezza dolce.
Era poi uscito fuori, dal bagno e dall’ospedale, con la madre, voleva un po’ d’aria – vera. Si era messo a rollarsi la sua prima canna con le indicazioni di sua madre. Non riusciva ancora bene a rollare. Le aveva detto che non se la sentiva proprio di andare a scuola, “Se oggi vado a scuola gli do fuoco”– battutina agghiacciante, che preferiva stare lì nei paraggi a parlare con Sam. La madre era d’accordo, anche lei odiava la scuola e i genitori e la borghesia da cui proveniva e lo stato e il potere economico e la legge secca e la classe politica (esclusi i verdi, perché diavolo Emergency, Green Peace e il WWF non erano un partito transnazionale si domandava) e le guerre e il Mec Donalds’ e i poliziotti e gli psichiatri e i pettegolezzi e Face-Book. “Oh! Non farti prendere da pare … Sam non è così per qualche motivo. Sem è così, capito?!”: Drogba annuì.
La madre se ne era andata da una decina di minuti al corso di danza AfroDhanam che dava nel penitenziario minorile, e Drogba se ne stava in una quiete silenziosa a guardare quanto fosse pacifica la gradazione di verde del patio, perso in quella calma piana e rettangolare e nella sua voglia di andare da qualche parte con Sem, quando vide in lontananza quei due stranieri bassi curvare in fondo al patio.
Quando i due ragazzi guardarono l’ingresso dell’ospedale videro quella figura inarcata sul bordo del vaso dei cactus, pensarono insieme a quanto diavolo assomigliava al Negraccio quel tipo curvo, se non fosse stato per il luogo – a quell’ora Drogba doveva essere a scuola- e per quella sigaretta spenta che teneva in mano. “Sembra Neo quel tipo”, “Mi sa che è Neo … Neoo!!” chiamò Zaccaria.
“Che cosa fanno un Ebreo e un Maialo in ospedale?”, “Quello che fa un Negraccio nell’ingresso dell’Ospedale!” risposero in coro Alessandro e Zaccari, “COSA?!!!!” dissero tutti e tre su di giri come nelle giornate migliori “UNA CAZZO DI RIVOLUZIONE!!!” tutti e tre si misero a urlare scambiando pacche e abbracci a profusione. Era un gioco che facevano da un paio d’anni, perché non erano stati loro a darsi quei soprannomi che addolcivano con diminutivi ma un gruppo di quindicenni che non potevano sopportare il trio. Il gruppo di quindicenni si era messo a puntare Alessandro per primo, poi avevano tentato con Zaccaria una volta scoperto che suo zio –che andava anche in televisione- era un rabbino, poi ci avevano provato con Drogba anche se con meno convinzione. Un’altra volta, sempre uno dei quindicenni del parco, sceso da un’evoluzione stratosferica in Roller dalla pista, sentendosi ienamente splendido aveva abbaiato loro in faccia “Cosa fanno un Ebreo, un Maialo e un Negraccio insieme?”, mettendosi a ridere proprio come le iene, divertente come un pugno in bocca. Solo che quel giorno, sorte volle, Drogba si era messo a leggere uno dei libri della madre su Che Guevara e con Zaccaria si era messo a vedere il film Ghandi –ne erano rimasti estasiati-, e Alessandro si era stancato che essere grasso o CICCIONE nella bocca degli altri fosse qualcosa di negativo. La risposta di Drogba alla Iena Ridens fu brevissima e incomprensibile, mentre ancora leccavano il gelato, “FANNO UNA CAZZO DI RIVOLUZIONE!!!”, aveva urlato gettando poi il gelato in pista. Tutti quelli che si evolvevano in figaggini acrobatiche, tentennamenti a più ruote si erano dovuti fermare, anche perché d’istinto Alessandro e Zaccaria avevano fatto lo stesso e c’erano tre coni di gelato a sciogliersi in più punti della pista. I tre se ne erano rimasti fermi, mentre la iena sostenuta da un gruppo di pari- una volpe e una lince- avvicinando il viso rancoroso a quello di Alessandro –per lo meno aveva individuato che era il più debole dei tre, ma purtroppo per lui non quel giorno- urlava che dovevano PULIRE!!! Ma nessuno dei tre si muoveva. “Ti puzza il fiato” si provò a dire Alessandro, soffocando la paura in fondo al culo. “No, è proprio l’odore della sua bocca di merda!” aggiunse Drogba, “Se tocchi il mio amico, devi picchiare anche me!” precisò Zaccaria. Ma a quel punto la Iena Ridens, si era spinta un po’ oltre non assistito più neanche dalla volpe, un tipo con i capelli arancioni e magro come un chiodo. “Ahahahah siete solo dei piccoli figli di puttana” urlò per farsi sentire, ma loro non davano segno di essere particolarmente colpiti , allora la iena si riscaldò una cosa che sapevano tutti e che non dicevano assolutamente perché anche tra bambini e adolescenti c’è un’etica rigorosa “PUTTANOCCHI fottuti, non c’avete neanche il padre!” disse, sentendo il gelo della pista ingoiarlo in una rovinosa caduta, “Tuo padre deve essere intelligente quanto te, che fa va a rotelle in casa?!” disse Zaccaria con una rabbia clinica, misurata; Drogba ostentò un ghigno feroce, Alessandro si mise a sbuffare e a quel punto la Iena Ridens stupita di avere davanti bambini vivi, invece dei soliti silenziosi cadaveri, puntò dritto a quello che individuò come il più forte, Drogba “Che cazzo ti ridi negro … ma ti vedi SFREGIATO, c’hai una cicatrice lunga come una tangenziale in quella fronte del cazzo!!!”, il ghigno di Drogba, intimamente ferito, si accentuò in un sorriso aperto di denti bianchissimi e modulazione di fiato “E’ il buco per le monete, tua madre ne mette una ogni volta che mi vuole scopare!”. Era la rivoluzione. Si presero una dose caotica di botte – spintoni, schiaffi, pugni poco convincenti- considerevoli tutti e tre, senza muovere un dito, un po’ perché la paura aveva incominciato a farsi sentire e un po’ perché Drogba gli diceva di non muoversi- voleva che il tipo sentisse quanto il suo male fosse impotente. Quando da Drogba uscì del sangue del naso, la gelataia che aveva visto bonariamente il tafferuglio iniziale, smontò dal bancone correndo come una fiera “RAGAZZO CHE DIAVOOOOLO FAI!!!” e gli si avventò addosso come se ognuno dei tre puttanocchi – anche lei li chiamava così- fosse un suo cucciolo. La Iena Ridens si prese il ceffone sonoro più grande di tutta la sua vita, non pianse solo grazie a un autocontrollo tirato al massimo, esangue. “Che diavolo è successo, come fai ha prendertela con dei bambini?!”, disse al ragazzo. Dal pubblico dei coetanei salì un ritardatario ‘Vigliacco’, “Fai schifo al cazzo” disse, uno dall’alto dei suoi diciassette anni con ovazione di sguardi. Dai tre ragazzini neanche una parola. Seduti, si risistemarono sulla staccionata, poi tornò la quiete confusa del luogo.
La Iena Ridens, ci mise più di due settimane prima di ritentare il campo, al ritorno i tre ragazzi erano lì seduti sullo stesso posto come se non fossero mai andati via. “Svitato!” disse Drogba salutandolo senza nessun riferimento all’ultima volta, “Negraccio!” disse il ragazzo senza nessuna incrinatura nella voce e facendo l’occhiolino come volesse scusarsi per quella cosa sui padri, Drogba annuì. “Maialo!, Ebreo!”, l’Ex-Iena Ridens salutò asciutto gli altri due, “Ciao Svitato” risposero loro. I tre, seduti, continuarono calmi a leccare il gelato fissando la pista e lui, con un po’ di timidezza iniziale, riprese a scivolare nella turma inquieta di quindicenni.
“Che fate qui?”, “Passavamo a trovare la nonna di Eby”, “Sta qui?”, “Si Neo, mia nonna sta al reparto Casa di Riposo”, “L’avete tagliata a fette e la tenete dentro le borse?” ironizzò Drogba indicandole “Te l’avevo detto che si sarebbero accorti!” rispose Alessandro “No, se uccidiamo anche lui” stette al pezzo Zaccaria. “Mi coglionate? … dai che fate con ‘ste borse”, “E tu da quando spacci?” chiese Zaccaria alzando il mento verso la strana sigaretta, “… ah questa?, no da oggi fumo!”, “Non sembra una sigaretta”, “Maria con tabacco”, “E di che sa?”, “Maria e tabacco”, “Quindi sei un drogato adesso?” indagò Alessandro, “… bhà credo”. Si tolsero le borse e si sedettero allineati uno di fianco all’altro. Percepirono che Drogba aveva qualcosa di uggioloso, era come quando faceva le sue meditazioni, ma sotto sembrava che stesse come per eruttare. Zaccaria considerò guardandolo un attimo di striscio che si trattava di qualcosa di liquido e vischioso che si confondeva con i suoi polmoni e forse più sotto ancora. “Tu che fai qui?”, “Sam”. Sia Zaccaria che Alessandro sapevano bene delle crisi di Sam, entrambi reagivano in modo diverso. Alessandro trovava che fosse una specie di squilibrato e non gli stava molto simpatico. Sam aveva un modo di guardarlo da omicida seriale, poi sembrava una donna con quel viso affilato, i capelli corti su quegli occhi verdi. Oh! uno mica se lo poteva immaginare da uno tanto delicato tutta quella follia, era inquietante. Zaccaria era sicuro che quello che aveva Sam aveva pure un senso da qualche parte, magari non in questo mondo ma certamente in un altro, pensava che le persone come Sam fossero come pensieri gridati che possiedono un ritmo e un’intensità di un altro mondo ecco. Sem era come il muco che cola dal naso, la bava che esce dal labbro, la bile aspra e il solletico: un’ esistenza dislocata. sarebbe piaciuto molto a sua nonna, anche.
Si misero a sputare per terra mentre parlavano, cercavano di sputare vicino alle formiche il più vicino possibile senza beccarle. Le poche formiche che si salvavano tra i tiri imprecisi di Drogba e Alessandro, tornavano a casa inzuppate. “Non l’accendi ?” chiese Alessandro, “No ho detto a mia madre solo una al giorno”, “ E con quella allora che ci fai?”, “Ci medito”, “Mmmmh”. “Neo, devi venire con noi”, disse Zaccaria emerso dai suoi pensieri, come un taglio nell’aria. Sputò due volte. Aveva evitato una formica con precisione millimetrica. “E dove andate?”, “Ce ne andiamo a cercare i nostri padri” spiegò Alessandro andando al punto della questione. Drogba centrò in pieno una formica, ebbe voglia di salvarla prima di fracassarla sul grigio patio con le scarpe. “Ok, mi accendo questa!”. Si guardò la punta delle scarpe. La prima boccata di fumo fu da origine del mondo: prodigiosa. Le due successive non furono da meno. Verso il quarto tiro la boccata acquisì quella plasticità inquieta, urbana che- da lui fu come James Dean bello e in moto- fa tanto uomini soli e risoluti. Alessandro lo guardò con ammirazione, anche se non avrebbe mai volontariamente schiacciato una formica. Zaccaria pensò che un giorno avrebbe sfumacchiato anche lui, verso i trentasette anni magari. Quando Drogba riguardò gli amici, aveva gli occhi umidi e stanchi in modo indicibile. Non pianse. “E com’è questa storia?” chiese, sentendosi come una vetrata scheggiata.
“Aspettate qui, ci devo pensare” disse, grave, quando i due gli ebbero spiegato ogni cosa del piano. Li lasciò all’ingresso e salì da Sam. “Che facciamo?” chiese Alessandro, “Aspettiamo!”, “Ma se non viene?”, “Se non viene, suo padre è l’ultimo che cerchiamo”.
Per gentile concessione dell’autore,
foto in evidenza di Melina Piccolo.