“Tormento” di Virgilia D’Andrea (Ensemble 2019) nota di lettura di Bartolomeo Bellanova

Copertina Tormento

D’Andrea nacque a Sulmona (AQ) l’11 febbraio 1888. La sua vita venne segnata già in tenera età dalla perdita della madre e dall’assassinio del padre, a seguito del quale fu mandata a studiare in un collegio di suore dall’età di sei anni, uscendone solo col compimento della maggiore età.

Sono anni di sviluppo industriale nel nord Italia dove nelle città la massa di proletari arrivati dalle campagne sopravvive di stenti in ghetti cadenti separati anni luce dai palazzi coi marmi, gli ori e gli agi della borghesia velocemente arricchitasi e della nobiltà fondiaria convertita ai lucrosi business mercantili. Si stanno diffondendo in questa realtà, per i più dolorosa e insostenibile, le teorie marxiste e anarchiche, c’è fermento di rivolta e si diffonde la speranza in un “luminoso” avvenire.

In questo clima si inserisce “lo sciopero del pane”, la rivolta di quattro giorni delle budella vuote, che iniziò a Milano il 6 maggio 1898, dapprima tra gli operai della Pirelli, poi estesasi velocemente ad altri operai, studenti, disoccupati, attivisti repubblicani, socialisti e anarchici, che accusavano il governo di essere corresponsabile della carestia che colpiva il popolo. Il generale Bava Beccaris ottenne il mandato di ristabilire l’ordine, ma nel frattempo le barricate si erano estese e il suo compito sembrava più arduo del previsto. Allora ordinò di sparare sulla folla radunata vicino a Porta Ticinese e, il giorno successivo, fece uso di un cannone per far breccia nel muro di un convento dove forse si nascondevano dei rivoltosi. Alla fine di quei quattro giorni morirono oltre 80 manifestanti e centinaia furono feriti prima che la situazione in città fosse normalizzata. Seguirono poi arresti a migliaia e la chiusura di diversi quotidiani considerati pericolosi o sovversivi. Per i suoi grandi meriti di macellaio il generale fu insignito con la Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia e diventò senatore.

Poco più di due anni dopo, la sera del 29 luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci,  giustiziò re Umberto I ritenuto il mandante della feroce repressione e dei domicili coatti a cui erano stati sottoposti molti attivisti anarchici.

All’atto di Bresci seguì un’ondata di indignazione, una continua e feroce richiesta di pene maggiori per gli anarchici. Anche nei collegi si pregava esecrando Bresci il pazzo, il criminale e Virgilia fu obbligata a pregare per il re ucciso e a maledire gli anarchici descritti come mostri e belve sanguinarie.

Virgilia, da orfana quale era, aveva maturato una grande sensibilità alla sofferenza e volle comprendere la ragione del gesto disperato di Bresci, alla cui comprensione contribuì una lirica di Ada Negri, entrata clandestinamente nel collegio. Parlava di Bresci e del suo desiderio di giustizia.

Uscita dall’istituto religioso, Virgilia lasciò Sulmona per trasferirsi a Napoli, dove compì gli studi universitari. Tornata in Abruzzo, cominciò a insegnare nei paesini attorno alla sua cittadina.

Nel 1917, all’Impruneta dove era internato per la sua strenua opposizione alla guerra, conobbe Armando Borghi, leader anarchico di primo piano e Segretario nazionale dell’Unione Sindacale Italiana. Fu l’inizio di un legame forte e profondo che disegnò per la vita intera il destino di Virgilia. Da quel momento la giovane si diede interamente alla propaganda dell’ideale anarchico, tenendo conferenze in tutta la penisola, scrivendo articoli e poesie cariche di fede e amore per l’umanità. La poesia sarà per Virgilia l’arma carica di passione che utilizzerà per esprimere la sua lotta contro le ingiustizie e i poteri forti dell’epoca.

La prima edizione di Tormento fu pubblicata a Milano nel 1922 con una prefazione di Errico Malatesta, che così descrisse la poetica della D’Andrea: “… Qui troverai, o lettore, la storia di questi ultimi anni quale fu sentita e vissuta da chi nelle alterne vicende di vittorie e di sconfitte, di fulgide speranze e di disinganni amari conservò fede nell’ideale di fratellanza umana, di giustizia, di benessere, di pace e di progresso per tutti … Ella si serve della letteratura come di un’arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico, o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che alla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta”.

I testi di Tormento sono una testimonianza storica importante e in molti casi la scrittura di Virgilia riesce ad arrivare forte e potente alla nostra empatia, a renderci partecipi di una vita di lotta, difficoltà e fede incrollabile nella liberazione dell’umanità. Sono i testi in cui Virgilia riesce a creare la sua originalità poetica e a distaccarsi maggiormente dai toni retorici tipici dell’epoca.

Il clima italiano prodromico all’avvento del fascismo non si addiceva all’attività pubblica e letteraria della D’Andrea che per la sua attività nell’Unione Sindacale Italiana fu anche incarcerata. Nel carcere di Milano nel 1920 scrisse il testo di Non sono vinta riportato di seguito. Espatriò poi in Francia, dove nel 1925 si iscrisse all’Università La Sorbona e pubblicò L’ora di Maramaldo, un’aspra e violenta critica al fascismo e a Mussolini, paragonato a un vile che sa infierire solo sui deboli. L’anno seguente Borghi decise di lasciare Parigi e raggiungere clandestinamente gli Stati Uniti. Virgilia lo raggiungerà solo alla fine del 1928. Gli anni dell’esilio americano la videro impegnata completamente in una dura campagna antifascista e antimilitarista: attraversò tutti gli Stati Uniti parlando nei parchi delle città, in piccole sale e in pubbliche assemblee e tenendo conferenze che attraevano un vasto pubblico, sebbene sempre seguita dalla polizia che temeva la sua forte influenza. I suoi discorsi erano incentrati attorno alla denuncia della religione e del concetto di patria, letti in chiave di perpetuazione del dominio di classe e di giustificazione del fascismo, strumentale al mantenimento dello sfruttamento.

Il lavoro di propaganda la impegnò senza sosta, ma le sue forze non l’aiutavano e Virgilia avrebbe voluto potersi dedicare con maggiore assiduità ai suoi studi e alle sue scritture. Nel 1932, durante un giro di conferenze nel Massachusetts, fu ricoverata d’urgenza per un’emorragia nell’ospedale di Boston, dove venne operata per un tumore all’intestino. Nel luglio dello stesso anno morì a Roma Errico Malatesta, in seguito a una grave crisi respiratoria.

Dopo l’operazione Virgilia tornò a New York, dove grazie a una momentanea ripresa, iniziò a lavorare alla stesura di Torce nella notte. Per diverso tempo l’impegno nella scrittura del libro, pur tra alti e bassi, l’aiutò a sopportare la malattia, ma nella primavera dell’anno seguente atroci dolori la costrinsero a un nuovo ricovero in ospedale a New York, dove morì l’11 maggio 1933. Poche ore prima della sua morte, uscì dalla tipografia Torce nella notte, il suo ultimo libro.

La poesia di Virgilia è inscindibile dalla sulla vita e quest’ultima è un tutt’uno con le sue passioni politico – civili che mettono al centro di ogni suo slancio la liberazione dell’uomo dalle catene materiali e spirituali che lo costringono a una vita indegna. L’attualità di Virgilia è duplice: da un lato l’atemporalità del suo impegno in un mondo come quello attuale, tanto diverso dal suo, ma non meno ingiusto e schiavizzante, e dall’altro il richiamo alla coerenza tra vita e scrittura che spesso viene stracciato con disinvoltura da tanti dei cosiddetti poeti “civili”, impegnati solo a promuovere le proprie finanze o ad accrescere posizioni di potere.

 

ANIMA ROSSA

 

Era bambina e la testina bruna

Quella sera vegliava…

E tra le siepi il raggio della luna

Un sogno mite all’ombra ricamava.

 

«Mamma», disse, d’un tratto, dolcemente:

«Che cosa è dunque il mondo?

Perché s’allarga e s’agita la mente

E il cuor diventa sempre più profondo?».

 

Ella rispose, cuore contro cuore:

«Per amare, piccina.

Non senti attorno attorno quanto amore

S’alza e divampa e l’anima trascina?»

 

Più tardi, adolescente, ella sentiva

Nel collegio remoto,

Mentre dal Tronto un alito saliva

E della vita l’affannava il vuoto,

 

Balzar, d’un tratto, la domanda antica:

«Che cosa è dunque il mondo?

Perché si lotta invano e si fatica

E il vuoto si fa sempre più profondo,

 

E l’essere si frange e s’avventura

Ne le trame fiorite

E l’anima s’angoscia e s’impaura

E serba aperte tutte le ferite?».

 

«Perché vita è l’amore e tu, purezza,

Apri la mente al sole,

Di canti adorna intatta giovinezza,

Da’ campi strappa fasci di viole».

 

Ma quando alla ribalta ella si fece

Della scena sognata,

E della gioia e dell’amore invece

Sentì l’assillo d’anima affannata,

 

E vide regge maestose, altere,

Nei tramonti dorati,

Sognanti baci delle pure sere

Sopra giardini vasti e imbalsamati,

 

E soffitte poi vide ed il tormento

D’antri luridi, impuri,

Miseria, fame e sibilo di vento

E fonde piaghe di martirî oscuri,

 

E gemme, argento e seriche vestaglie

E schiamazzi di feste,

E cenci, angosce e lacrime e gramaglie

E serti d’oro su le bionde teste,

 

Questa, disse, è la vita e noi si vive

Per vederci soffrire:

Questa è, dunque, la vita e noi si vive

Per puntellare i troni e poi morire.

 

Schiavi e vigliacchi noi, che assecondiamo

D’essere cenci e strame,

Bruti ammansati noi, che l’accettiamo

Il nodo acerbo di catene infame.

 

E verso il sole alzò la pura fronte

E disse: «Alla riscossa»

Gettò dal mare, a la pianura, al monte

La sfida calda di giornata rossa.

 

(Firenze, Gennaio 1919).

 

NON SONO VINTA!   

No, non son vinta. Vibra, in me, più forte,

L’ardente fede ne l’angusta cella,

E frange i ferri e batte le ritorte,

L’onda del sogno, che il mio cor flagella.

 

No, non son morta. Ma più puri e alati

Getta la penna, nei tumulti, i versi,

Ed essi vanno, azzurri e fascinati,

Verso il nitore di bei cieli tersi.

 

Quando da sola l’anima cammina,

E insidie e frodi il mondo le congiura

E nel fosco de l’ombra essa indovina

Che v’è l’agguato bieco o la sventura,

E passa e lotta e resistente avanza,

Senza sgomento, verso l’alte cime

Ed aspra più diventa la distanza

E più le sembra il sogno suo sublime;

 

Quando… pur triste… e fragile parvenza

Inchioda, il mondo, ad ascoltar la voce,

Che dalla cupa e turbinosa essenza

Urla il martirio de la ingiusta croce,

 

Allor s’è fatto di granito il core.

E non cede, non muta e non dispera:

Canto è di sogno che, giammai, non muore…

Fonte ingemmata di bellezza vera.

 

Oh! ben lo so… che se cantato avessi

Le vostre glorie e le dorate sale..

Se nel tumulto de la vita avessi

Anch’io venduto o spento l’ideale,

 

Certo mi avreste aperto intero il mondo,

Rose m’avreste sparse sul cammino,

Rete di sogno mèmore e profondo…

Forse… l’alloro… in fondo al mio destino.

 

Ma ho cantato di cenci… e ho calpestato

Tenero, il fior, de le languenti dame;

Ma ho scoperto i solai… e ho profanato

L’aria col tanfo de l’occulta fame.

 

Ma ho cantato di stanchi e di perduti,

 

Di desolati nei singhiozzi proni,

Ho pianto sopra i morti ed i caduti,

E merito la gogna… e le prigioni.

 

Stringete, dunque, ancor… ferri e catene!

Le azzurre strofe mie battono l’ala

Verso le lotte de le grandi arene…

Le raccoglie la teppa e le immortala.

 

(Carceri di Milano, 28 Ottobre 1920).

 

 

PER NON VEDERTI ODIARE

 

Perché baciarti avrei dovuto… e al sole,

Come bel sogno che nel cor risplende,

Levarti puro e cinto di vïole

Con quella gioia che ogni donna accende.

 

Se alla conquista, un giorno, del gran mondo,

Ridente alla gemmante giovinezza

Se nell’ardore d’animo profondo,

Folle di vita, esangue di dolcezza,

 

Vederti inetto avrei dovuto e vinto,

E nella lotta torbida cadere

Da un’altra folla, o figlio mio, respinto,

E aver d’angoscia le pupille nere?

 

Così… come tua madre, o figlio, un giorno

Sentito avresti l’impeto dei venti

E lampi e insidie e frodi a te d’attorno

E l’ansia di visioni prorompenti,

 

Ed il martirio de la gente umana

Che avanza, che si affanna e si calpesta,

E vince… i vinti… e nella lotta vana

Davanti all’oro, estatica, si arresta,

 

E incensa, con turiboli dorati,

I biechi, i vili, i perfidi venduti

E rende schiavi e fa disonorati

Giovani cor, che stanchi… son caduti…

 

Oh! quieti tempi!… quando adolescente,

Coi fili dei miei sogni io ricamava

Una gran tela… coloria la mente

La trama dolce, che nel sol raggiava…

 

E quando bianca risplendea la luna

Io ricercavo il trèmulo giardino

E le sfogliavo tutte, ad una, ad una

Le margherite, ansiosa del destino.

 

Come triste, fu l’urto!… Allor piegai

Muta la fronte ove il passato langue

E nel silenzio del tormento odiai

E n’ebbi, il volto, lividito, esangue.

 

Ecco… perché ti nego e luce e vita…

Per non vederti un dì, fanciullo, odiare.

E senza pace, il mio singhiozzo invita

Gli stanchi ed i caduti a vendicare.

 

Ma largo, allora! E tra i bei sogni morti,

Deh! fate, questa donna, alfin, passare!

Il viso è scarno e gli occhi sono assorti

Dove può il mondo falso naufragare.

(Bologna, Dicembre 1919).

 

CONGEDO

Ed ora, andate, o canti di ribelli,

Frecce d’amore a conquistare il mondo,

Ansie di cuori e lampi di coltelli,

E grande sogno d’un pensier profondo.

 

Andate, o nubi d’oro, verso il sole,

Ed ali azzurre su l’immenso mare,

Inni di salde e di robuste gole,

Fremiti ansanti di sconfitte amare.

 

Salite, ardenti, su pei verdi colli,

In vortici e tumulto di tempeste,

E ripetere i nostri sogni folli

Al cielo, al vento, alle acque, alle foreste.

 

E siamo, dite, sferza di cenciosi,

Strazio abbrutito per un marchio infame,

Sogni dispersi a l’urto dei marosi,

Stimmate, siamo, di tristezza e fame.

 

Febbre, passione, palpiti e pensieri,

Notti d’insonnia e di repressi pianti,

Carne per leve d’ingranaggi neri,

Per torbidi cantieri fumiganti,

 

E vuoti cuori cui non rise mai

Un raggio di riposo e di frescura,

Vite dolenti, verso cui giammai

Un’alba fulse placida e sicura.

 

Aprite, il varco, ai canti de le genti

Curve e pronate ad orride fatiche.

Dalle motrici urlanti e rilucenti,

Dalle miniere torbide e nemiche,

 

Dalle fornaci, rutilanti d’oro,

Dalle colate tragiche e scroscianti,

Dai vasti campi al sol di messidoro,

Dai forti magli minacciosi e ansanti,

 

Dalle cinghie stridenti agli ingranaggi,

E al fischio delle trepide sirene,

Dalle guizzanti fiamme in luci e raggi,

Dai fianchi delle mobili carene,

 

Dalle vallate fulgide di grano,

Dalle vette dei monti di granito,

Dagli appestati màceri del piano,

Dal solco, d’ossa e di sudor, nutrito,

 

Sale un gran voto di vendetta edace,

Che, verso il sole, in fiamma si disserra,

Che passa e brucia, in impeto tenace,

E ricade, in amor, sopra, la terra!

 

Aprite, dunque, a l’ali del dolore,

Il chiuso varco della vetta ardita

E, verso l’alto, carco di splendore,

Si libreranno a conquistar la vita.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

Pagina archivio del macchinista