“Sull’orlo delle cose” raccolta poetica di Livia Claudia Bazu, recensione di Elena Cesari e Pina Piccolo

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“Sull’orlo delle cose”, il titolo dell’ultima raccolta di Livia Claudia Bazu comprendente 67 poesie e pubblicata nel 2015 dalla Cosmo Iannone Editore richiama il posizionamento della poeta rispetto a un termine indefinito riassunto nella parola “cose”. Come noi autrici di questa recensione, Elena Cesari e Pina Piccolo, abbiamo scoperto presentando la raccolta a Bologna in presenza dell’autrice e dietro gradito stimolo dell’associazione Eks&tra, le “cose” sono le grandi questioni della vita che a volte si lasciano intravedere in flash del quotidiano, perfino in determinati oggetti o relazioni che a prima vista potrebbero sembrare banali. Si tratta di epifanie che hanno un sapore diverso rispetto a quello a cui siamo stati abituate dai testi canonici della poesia italiana, e spesso rispecchiano il tipo di apertura verso l’esistente legato ai saperi nuovi/ancestrali scoperti o riscoperti a  fine-inizio millennio come pure le nuove scoperte scientifiche sul mondo vegetale, minerale ed animale, (“Andando” “Intercontinentale”, “Namasté” “I sacrifici umani”, “Il risveglio” “Il guaritore”). Altri elementi accolti nelle epifanie dell’autrice e che le rendono particolarmente attuali sono i mezzi tecnologici che  consentono una fruizione non elitaria dei saperi delineati sopra, e ultimo, ma non per questo meno importante, la centralità dell’esperienza femminile, esplorazione quest’ultima consentita anche dalla “scesa in campo” in maniera massiccia delle donne nella scrittura.

Negli studi di critica letteraria canonici si parla spesso di margine o liminalità, a volte di confine e contaminazione, mentre invece il titolo della raccolta mette in evidenza la parola “orlo” che ci riporta sia all’orlo di un precipizio che all’orlo di un indumento, elemento caratterizzato da una qualità estetica (abbellimento) e da una funzionalità pratica (evitare lo sfilacciamento), ed è quasi esclusivamente di pertinenza femminile. E’ esattamente quella attenzione alla minuzia delle cose, alla ricerca di un’anima in ogni manifestazione della materia (sia che si tratti di cose, persone, animali), che ricorda un po’ quella fine operazione che è il ricamo. Quest’ultima è una fra le innumerevoli arti della cura, della sfera anche domestica delle relazioni, un’attività che presuppone un’intimità profonda con se stessi e con gli altri. Ad illustrare questa ricerca di una completezza ed intimità con l’altro, mai fini a se stesse ma come tramite all’acquisizione del senso di appartenenza ad un unicum vivente dotato di continuità,  non ci poteva essere una migliore poesia che So-i-né, il termine giapponese che indica l’atto di dormire accanto a un neonato. Non ci sembra un caso che questo  concetto abbia attirato l’interesse dell’autrice la cui vicenda biografica è caratterizzata da migrazione e apertura verso le diverse culture del mondo, oltre che da studi approfonditi di linguistica e di ostetricia-per questi ultimi, vedi le poesie “Incipienza”, “La levatrice”, “Fertilità”:

 

L’inesprimibile

(a parte che in giapponese)

dolcezza di dormire

accanto a un neonato

occhio velato

nel ciclone del mondo

lacrima dorata

di poter essere

così

tutt’uno e senza io

invulnerabili

che nessuna guerra è mai

esistita

E tutte le lingue

Ci sono

 

Come dicevamo, l’attenzione della poeta per la morbidezza  e il rapporto con il neonato, creatura ancora esente dalle separazioni e dalle linee nette che denotano il mondo degli adulti, non è casuale. Infatti nel VII Seminario della Rivista Sagarana, diretta dal compianto Julio Monteiro Martins, Livia Bazu parlava del proprio concetto di intimità, “Per parlarvi di intimità vorrei partire dal modo in cui la concepisce un autore a me caro perché mi ha accompagnato nella mia formazione adolescenziale, Mircea Eliade. Autore conosciuto più come studioso delle religioni e meno come romanziere, a torto perché scrive delle cose bellissime che trattano dell’amore, della trascendenza e dell’amore come trascendenza, ma non una trascendenza retorica, in lui c’è una morbidezza, una trascendenza verso il basso, direi, una fusione carnale tra due persone che allo stesso tempo è altro. Sta di fatto che la mia nozione di intimità si è venuta costruendo, crescendo in questo modo, cosa che qui in Italia non ho trovato.”

Per accedere a tali esperienze, già nella lirica d’apertura che costituisce una specie di dichiarazione d’intenti, Livia Bazu avverte che occorre una continua esercitazione tesa ad acuire i sensi, e come avremo modo di vedere in altre liriche, sono particolarmente presenti il senso della vista, dell’udito ed altri a noi ignoti a livello razionale ma che certamente entrano in gioco per arrivare ad altre modalità di conoscenza (vedi le poesie “Conoscenza”, “Ribellione”, “Nelle cose”, “La migrazione degli dei”):

 

Si frange l’immagine

e

non si può stare

 

sui rami esterni

si rischia di cadere

per la luce

ma il sangue si affretta

in altalena col vento

e i sensi acuiti

mordicchiano

il limite del sospetto

i rovesci delle cuciture

dell’arazzo dell’essere

 

Il pieno costante e vertiginoso che circonda

Tutte le nostre separazioni.

 

Le due parole chiave appaiono alla fine della poesia “il pieno costante” e “le separazioni”, concetti che saranno poi approfonditi in altre liriche quali ”Continuo”, “Interstizi”, “Quel mezzo”, “Ubiquità”, “Il doppio”, “L’innesto è cosa delicata”:

 

Nessun buco,


nessuna interruzione,


metro per metro sfera


c’è


strada per strada


filo d’erba per filo d’erba


fiume per rivolo, incrocio per ponte,

storia tutta di chissaquante generazioni

per sguardo


c’è


vertiginosamente pieno di cose

che ognuna potrebbe essere


un me, qui
 e

un lontano da pensare

 

Ma l’ininterrotto non esclude gli interstizi, che costituiscono spazi di apprendimento interessanti. Nella poesia ”Gli interstizi” infatti emerge che:

 

Quello che gli adulti non dicono

Non dicono ai bambini


E la solenne delicata consistenza dell’udito

Quando non dovrebbe esserci nessuno,

E, adagiati nella propria aria,


Gli spazi si spogliano dalle forme

Imposte dall’occhio

del solito umano

[…]

E lo spazio si scioglie cade e ti rimescola in testa

Scivolano tirano e si arrotolano in nuovi segni

Gli orizzonti e le direzioni


Riunendosi infine per comporre il volume


Che adesso è palpabile.

 

E indovini passaggi segreti tra i continenti.

 

E non a caso la raccolta si conclude con una poesia intitolata “Passaggio” che sembra riassumere il senso di fluidità, di trasformazioni, ciclicità e passaggi della vita presente nella sua opera:

Lacrime così dolci

E piene

Si riversano dentro

Chiudono le palpebre

Sopra l’età

Dall’altra parte fanno

Il giro di molti mondi

Nel sangue sciolgono

Nella carne chiara

La pace struggente

Di aver vissuto

Un’era

Cresce il crepuscolo

Dietro le palpebre

e s’impregna

l’oblio

della nascita

Il mondo è morto,

Viva il mondo!

Fra i nuclei tematici  secondari della raccolta, interessante quello relativo al rapporto con il potere, che si esplica in diverse poesie tra cui “L’anello del potere” “Pagina di storia”, “Sotto la città”, e in maniera estremamente visiva ne “La cattura delle anime”

Gli stregoni degli imperi

 

Piccoli, piccolissimi, minuscoli, invisibili

Imperi casalinghi, domestici


imperi medi, grandi e planetari, ancora invisibili pubblici

e privatissimi

personali


e impersonalissimi

 

Da sempre

Catturano le anime

Prendendole per la vista per l’udito

Per le vibrazioni dell’intestino

 

Le aperture


All’essere


Diventano

Come la vagina


Vie per istillare il possesso

 

E non c’è differenza


Tra armi di ferro e di silicio

Di etere o di carne

 

Tra le diverse sartorie della crudeltà

Istituita e proibita .

 

Per quanto riguarda l’aspetto strutturale e stilistico dell’opera, si tratta di un materiale molto denso con  un alternarsi tra “gallerie” di personaggi (quasi un nuovo, rivisitato,  misterioso mazzo di  tarocchi comprendente Penelope, Persefone, i jinn,  il guaritore, la guaritrice, la curandera, la levatrice, il Custode, la donna più vecchia del mondo) e  situazioni/occasioni (Piacere di conoscerti, Il Risveglio,  Il segreto di un maschio, Quanto non mi viene detto, etc.).  La raccolta beneficerebbe di una divisione in sezioni mirate a fare da guida al lettore/lettrice o forse di accostamenti un po’ più ragionati, in grado di far risuonare meglio le poesie le une con le altre, aggrappandosi o al versante metaforico o metonimico, entrambi molto ricchi nella produzione della poeta.

Il tono piuttosto discorsivo della raccolta potrebbe trarre in inganno per quanto riguarda la sua complessità stilistica e di registro, che passa da crudi reportage giornalistici (Lui che non trovava il buco), a registri più meditabondi  (Non è ladra la gazza, Sull’orlo, Sotto la città),  e persino elegiaci (So-i-né, Dare, Ubiquità, Anotimpuri, La curandera) in cui quando l’aspetto razionale fa un passo indietro  l’autrice  riesce a comunicare in maniera molto efficace la  sensazione di perdita e di anelito, forse, per i sensi sepolti in noi  da riscoprire e che l’esperienza, gli aspetti viscerali dell’esperienza,  potrebbero far emergere.  In questo riguardo, sarebbe interessante esplorare  con maggiore attenzione gli spazi di silenzio che Livia Bazu segnala a chi legge con le parti bianche della pagina, un allenamento ad acuire il senso dell’udito oltre le parole.

 

di Elena Cesari e Pina PiccoloLogoCreativeCommons

 

 

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Livia Claudia Bazu sinistra, Pina Piccolo centro, Elena Cesari destra, presentazione alla libreria Ubik-Irnerio di Bologna il 24 marzo, 2016,  foto di Andrea Alfo Moretti.

Livia Claudia Bazu – Nata nel 1978 a Bucarest, laureata in Letteratura comparata, con la tesi Toni Morrison and Nadine Gordimer: writing on the colour line. Nel 2005 nasce suo figlio Leonardo. Nel 2008 consegue il Dottorato di ricerca in linguistica con la tesi Significare altrove: contaminazione e creatività nelle realtà interculturali italiane. Scrive poesia e racconti sulle riviste El Ghibli, Kumà, Sagarana e in antologie quali Impronte (Besa, 2003), Babel Hotel (Infinito Ed., 2012), Animali diversi (Nomos Ed. 2011), Tu sei il mio volto (Ensemble Ed., 2013). Conduce laboratori di scrittura creativa plurilingue e laboratori di educazione al plurilinguismo. Fa parte della Compagnia Internazionale delle Poete fondata da Mia Lecomte.

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Elena Cesari

Elena Cesari ha fatto parte del gruppo operativo de lamacchinasognante.com fino al numero 5. Elena Cesari abita a Salvaro in un condominio solidale. Nel 2014 esce la sua prima raccolta poetica, Una viola, una pigna, un'ombra (Fondazione Luzi, Roma). A luglio 2015 esce “L'essenziale delle cose perse” (LietoColle) . Educatrice e insegnante di italiano L2 ha condotto e collaborato alla realizzazione di corsi di italiano e progetti sperimentali di teatro e lingua con donne migranti. Attualmente lavora con un gruppo di richiedenti asilo bengalesi. Da tre anni collabora con il gruppo di teatro integrato Magnifico Teatrino Errante, realizzando progetti di teatro integrato e interculturale.

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