Sulle ali di giovani poeti bengalesi. Parte II, a cura di Aritra Sanyal, traduzioni dall’inglese di Pina Piccolo

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Sanghamitra Halder

 

Luce – Tenebre

 

Mi sento di dire, cresci

cresci ancora, oltrepassa questa spalla

come insetto insignificante che va oltre

 

Vedo l’insetto camminare proprio così

Innocente

come se nessuno sia mai stato segnato presente su questa terra

come se questa terra iniziasse solo ora la sua gravidanza

 

Mi scopro tra le ciglia di quel desiderio

 

Appare la sirena del cervello, con le gambe bagnate

 

 

 

Nah

 

Nah, questo non è quel tipo di emozione

di cui fare tesoro in uno scrigno

 

So solo

di non avere i requisiti per unirmi alla folla

né ho mai avuto quelli della solitudine

Oggi mi sento una gemella

Fuoriesce da me un virgulto

 

Quel viaggio non finisce negli occhi

Dovrebbero passeggiare a loro piacere le pupille

 

 

 

Casa perduta

 

Andrei a casa – vi è in queste parole un ricordo

La guarigione dalle depressioni e

vi è pure intrecciata una casa antica

un uccello selvatico nascosto nel petto di un gentiluomo

 

Come se non appena possibile volessi separarmi

dai tuoi assembramenti e starmene sola

 

Come volessi essere l’arbitro del bosco di sandalo

divenuto leggenda a furia di voci

 

Hey…

 

Chi altro ipnotizza tutto il giorno

Dimmelo, chi altro c’è se non tu

Questo viaggio da soggetto a oggetto

 

L’acqua sorpassa le vene

Distruggi questi nervi in via di guarigione se puoi

O a tua insaputa, portami alla tua meravigliosa sconoscenza

 

Portami faccia a faccia alle tue passioni

 

 

 

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Sanghamitra Halder è una poeta bengalese e prosatrice nata a Kolkata nel 1984. Ha conseguito la laurea di Master in Lingua e Letteratura Bengalese.  La sua prima poesia è stata pubblicata nel 2004 e finora ha pubblicato quattro raccolte di poesia in bengalese — NAAMAANO RUCKSACK (2010), DEERGHO-EE (2014), HEY EKTI SAMBODHAN (2016), ANUPOSTHITIR SHABDO (2017) e una raccolta di scritti in prosa – RANDHANSHALAR SHIS (2017).

 

 

 

 

 

 


 

 

Indranil Ghosh

 

 

Pegaso, animaletto da compagnia

 

 

Mi guadagno la miriade della luce

Il suo attardarsi, il verde che dorme…

Tutti i miei improvvisi balzi dentro il mondo

non sono che suture di Pegaso che mai cessano

Solo la nobiltà dei fili

affumica

soddisfa i bozzoli in crescita

 

 

Con delicatezza mi adeguo all’ondeggiare

del percorso da bozzolo a farfalla

 

Traduzione dal bengalese all’inglese Debadrita Bose

 

 

Limite del passo

 

Nazione che gioca d’azzardo attorno al davanzale il giorno tutti

i discorsi di fiumi tremanti in fili colorati…

Shrinivas sente la strada

Ascolta i piedi con il suo stetoscopio

La strada è seduta con la vulva frammentata

dopo aver espulso un’inondazione –

Non posso proprio sopportare la vivida vertigine

 

 

Il battito cardiaco invernale

Shrinivas a suo padre

A un padre più grande

Questo intero albero è un’ombra che si scioglie

sulla terra

 

Traduzione dal bengalese all’inglese: Kaushik Chakrabarty

 

 

La Città

 

La Regina costruisce un piano sopra la Regina

Lunghe canzoni di rematori

Lungo il faro

Su carri galleggianti la carezza del crollo

 

L’oceano ci ha fatto invecchiare, Shravanti

Allee favole di molte principesse è cresciuta la pelle

Vederle incarnate mi spinge a cospargerle

di latte e miele

 

O corpo mio

O corpo della mina

 

Navighiamo le Mille e Una Notte

La traduzione di una lunga fila di occhi

ha fatto aprire le acque…

 

Nessuna pioggia. Non piove

Penso a perché non scrosci l’acqua

Che ne sarà del raccolto

Piedi mezzo aperti come foglie mezze aperte

Che ne sarà di loro?

I nostri viaggi

diventerebbero più luminescenti

La luna s’appienerebbe di luglio

La moglie si nutrirebbe

Le mucche muggiranno nelle stalle

Questa è la strada

La casa è piena

Le nostre nascite sono bisbigliate nelle orecchie dell’utero

 

Oh Oh Utero!

Non sembra che

Sua Altezza abbia aperto la porta?

 

Credo che il palmo di Shravanti sia una bella barca

quando ritorna

mi metto a cercare il pesce

pesce fresco pesce nuovo

che salta fuori e Shravanti si sposa

 

 

Luce muta

 

La città disabile è bloccata nel sonno

Riempiamo d’acqua dal tubo del pozzo

Costruiamo mulini

Cuciamo la libertà sulle bandiere

L’inno nazionali dei Muti

Miglia di tenebre a bollire in una pentola

La città sente il mare…

 

Traduzione dal bengalese all’inglese: Nabendu Bikash Roy e Debadrita Bose

 

 

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Indranil Ghosh è autore di tre volumi di poesia (Ratre Deko Na Please, Julywala, Lokta Pakhi Ora Niye Bolche) e affermato poeta dai primi anni del duemila. Dottorando all’Istituto Indiano di Tecnologia di Kharagpur, Indranil ha lasciato il suo lavoro e la sua azienda per potersi dedicare interamente alle attività letterarie. Oltre ad essere poeta è un prolifico scrittore di prosa. Il suo romanzo ”Alla ricerca di Korchen Debanjan” pubblicato nel 2015, tratta principalmente di teorie di ricezione letteraria. L’ultima opera di Indranil Ghosh  ‘Nulor prithibi o onyanyo galpo’ (Il mondo di Nulo e altre storie)  è una raccolta di racconti pubblicata nel 2016. È stato redattore associato delle riviste bengalesi ‘Boikhori Bhaashyo’ e ‘Natun Kabita’.  È fondatore ed editore della rivista digitale multilingue “Indiaree”.

 


 

 

Anupam Mukhopadhyay

 

La mia religione

 

Questa gabbia toracica. Senza prati. Senza erba non vi è poesia. Amore. Acqua. Induismo. Quelle tre parole o un osso fratturato nei miei sogni. I miei sogni cambiano quando mi giro. Una ferrovia e un filo d’erba mi ipnotizzano. Adesso la parola è “laico” ed è più terrificante di “Jihad”. Cerco di crearmi un ritmo, in perfetta sintonia con l’universo. Mi lavo il viso. Mi lavo le mani. Analizzo la situazione. Sono un flauto che esegue un assolo.  Un flauto resistente e curioso.  Il disappunto è la mia scuderia. Chiunque mi abbia dato una goccia d’acqua la chiamo madre. Non me ne andrò mai da qui. Chiederò l’elemosina per moda non per necessità. Ho dato fuoco alla riva del fiume e ascoltato l’onda della risata della iena.  Né la parola “No”. Né la parola “Sì”.  Ho ascoltato attraverso il fumo. Tutti quegli affidabili villaggi dei pigmei. Mi sento alto ed è la mia religione.

(Tradotto dal bengalese all’inglese da  Shanu Chowdhury)

 

Non preoccuparti Syed Karim

Fagli il saluto militare. La pietra appiccherà il fuoco.  Se vuoi spezzare la pietra punta il fucile al suo cuore.  Questo testo è la mia arte del governare e una guerra.  Non tentare di trovare il tasto giusto. Il mio testo scoppierà come un sole lurido & si disperderà su una frontiera caotica. Più che nella morte, è nel nucleo del cuore che si ripristinano le tenebre. Il potere incoerente del gusto.  Miglioralo con una mentina. I sentimenti slavati potrebbero piegare la tua baionetta. Le letterature bandite sono più pericolose di un negro in cattività.  Il redattore si lava le corde vocali.  La saliva viene risciacquata dai portici della vita.  Le colonne si sentono sopraffatte.  Inchinalo.  Il redattore ha mantenuto il controllo.  Prova più forte. La superficie si frantuma.  L’aria è sradicata.  Piastrelle rosse.  La pace di una parete bianca.  Una finestra verde.  La casa sotto la collina.  Il mio freddo o è rimasto in quella casa o in un caldo sogno. Quella casa.  Quella terra.  Non per tutti. Syed Karim.  Due parole provengono dal cimitero adiacente o da un antico villaggio persiano.  Il nome Syed Karim.  O. Nell’epoca britannica conosceva il negozio di Thacker & Spink. Non ha importanza. Un gallo triste lo sveglia nella notte sbagliata. Ecco. Prendilo dalla collottola & costringilo a dire “Wow!”. Proprio come una tigre domata.

Tradotto dal bengalese all’inglese da Shanu Chowdhury

 

 

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Anupam Mukhopadhya è nato nel 1979 e vive a Ghatal, un piccolo paese del Bengala occidentale. Ha iniziato a pubblicare le sue poesie nel 2000 e ha al suo attivo sette raccolte di poesia.

 

 


 

 

Paulami Sengupta

 

Maximum love a Patel Nagar

 

Amore, non dirmi che dobbiamo partecipare al reality “Maximum Love”!!!

Come potranno i nostri amori

essere un serial

per l’ora di massimo ascolto

Quando tutta Patel Nagar si darà battaglia a sangue col telecomando?

 

Hanno mandato le telecamere?

Va bene, allora.

 

Alle 19

mi tolgo il salario e l’entusiasmo come una cintura

e ci aggiungo una mezza maratona e del sale

quel poco di spesa che facciamo

per stare a galla

 

 

Tanto amore per il lavoro

che scricchiola nel rickshaw malandato

ed esamina quel dal

che ti cucino tardi la sera

Sì, cucino, io cucino

improvviso manicaretti

dubbi senza zucchero per te

ogni sera

 

Maximum

Emozioni extra large che ruminano, amore!

Ciomp ciomp

 

 

Segno

 

Brillano le braccia come la sabbia

Si distoglie lo sguardo dai volti

Le ginocchia fuori controllo

I talloni pronti per le frecce

Questo venerdì

frullo spiriti spumeggianti e mi metto in posa come turista, emancipata.

 

Il mio desiderio di Maughm

isolamento, lentezza, penisola

è secco e salato.

Se mi ricordi

delle due guerre

e di una prigione

finisco il pamphlet

in cinque minuti.

Assaporo le spiagge

come pezzi di cocco

fisso i bunker

e i traghetti dall’altra parte della riva come fossero i miei.

 

Poi condivido foto di nuovi inizi, ma proprio nuovi

Puoi vedere il segno sul mio braccio sinistro

Un’isola in quest’isola?

 

 

 

Affamata

 

L’aria profuma di origano e fango.

Gli opposti si scovano e chiacchierano – di qualsiasi cosa tranne i monsoni.

Distolgo lo sguardo dalla simmetria di questi negozi lungo la strada e addento delle fette perfette mentre ingoio parole all’olio.

I miei spigoli vengono massaggiati.

 

 

 

Dopo il bagno

 

Dopo il bagno

i miei arti erano tranquilli.

 

 

Mi sono messa ad esaminare le vecchie mattine- con competenza

 

Sono ritornata.

Vedendo una piscina tranquilla e una porta chiusa

mi sono fermata a pensare e poi mi sono cosparsa di borotalco il collo

 

Tradotte dal bengalese in inglese dall’autrice.

 

 

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Paulami Sengupta è una scrittrice di professione con base a Delhi.  Le sue poesie (in inglese e bengalese) e traduzioni sono state pubblicate nelle riviste Muse IndiaNetherKrityaIndian LiteratureParabas, The Sunflower Collective and Cold Noon.La sua raccolta di poesie in bengalese si intitola  Jiwhai Barbar Fire Ashe Laban (2007).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Arnab Roy

 

Composta per il bambino – 1

 

Dopo aver raccolto l’ombra del suo bambino, l’uomo

a testa bassa, lascia ora la casa.

Viaggia verso l’altra parte dei suoi sensi.

Ha sentito per caso che suo figlio ha imparato

“Papà. Da nessuna parte”

 

 

Dopo il conio di tali parole,

non può più proiettare la sua ombra,

Non c’è più nessuno che lo chiami per nome.

La sua casa è inghiottita dalla rabbia.

Non c’è nessuno là che gli possa dare uno schiaffo

per restituirlo ai sensi.

 

Una volta ebbe la visione, un bambino, come una nuova foglia. Oddio…

Quella foglia ora è trasportata sul vento di un altro.

Ha cercato intensamente una metafora a cui

Compararlo…

una volta la foglia si è posata sulla sua spalla… ma solo un attimo.

 

Che altro serve per avvolgersi dentro?

Ora, camminando raccoglie anche le proprie orme.

Se mai avesse potuto mettere dei colori da qualche parte

l’eco di quel “Da nessuna parte” li sta cancellando tutti.

 

 

Composta per il bambino – 2

 

Passeggiando da un nulla all’altro,

il bambino, ora lo si può vedere in piedi,

nel pieno del sangue, ciclo della vita., nel suo verde lussureggiante,

il mondo si dondola, la sua casa delle bambole è sparsa

da questo all’angolo più remoto di questo universo.

Muovendo i passi, i suoi nuovi passi sulle stelle

si ferma un momento, inconsciamente,

chiama, “PAPÀ”

poi si corregge. “non c’è, non è qui.”

 

Il cielo si ferma,

pensa, nella sua vastità azzurra, a che serve?

Ma perché cercare di avere la mente aperta, o fingere di averla?

Piuttosto meglio cadere con tutte le emozioni

dentro al petto, come fragile parete di cristallo.

Meglio precipitare e frantumarsi.

 

 

Composta per il bambino – 3

 

Composta solo per i bambini.

Composta solo per i bambini.

 

Ha perso il suo fanciullino interiore dentro al padre.

Ha dimenticato il suo fanciullino interiore da qualche parte nella pila dei giocattoli,

da qualche parte nella distrazione, il bambino

si è trasformato da un bambino in un altro e

infine in tutta una serie di bambini.

 

In una lingua più comune, questo lo chiameremmo essersi persi,

queste sono le parole che fanno sospirare

le alte cime degli alberi,

mentre le ragazze fanno il picnic sulle rive accoglienti,

per divenire di nuovo immacolate –

 

Quindi, questo è l’avviso

“PAPÀ SUL SERIO (PUNTO) RITORNA”,

e appenderlo

come venticello su solitarie buchette delle lettere,

o inchiodarlo come volantino sulle corna dei bufali che ruminano all’alba,

o piantarlo come semi dei frutti preferiti degli uccelli.

Così, un giorno, ricoprendo il cielo e la terra,

sui semi e sulle cortecce,

sulle lumache e sulle galassie, tutte insieme,

appariranno parole.

Spero che allora saprà leggerle.

 

 

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Arnab Roy è nato nel 1982 in una città provinciale chiamata maida  al nord fdel Bengala occidentale.  Poi è stato allevato in varie altre città  del bengala. Si è laureato all’università di Kolkata e ha poi ottenuto il Master’s a varanasi. Ora insegna in un’altra città del bengala occidentale, Raghunathgannj.  Ha al suo attivo due raccolte di poesia, Rwju Chilon Bismito Sorol (tradotto sarebbe all’incirca “Diritto in piedi Levigato Sorpreso Semplice”)  e Korunasomogro (L’omnibus del compianto forse). Ha anche pubblicato una raccolta di racconti.

 

 

 

 


 

 

Souva Chattopadhyay

 

Passandoci in silenzio

 

1.

 

La casa era chiusa a chiave. Tempo fa,

siamo tornati, dopo una settimana passata

in montagna. Appena entrati

in casa, sembrava ci fosse stato un temporale,

forse era piovuto. Forse avevamo dimenticato di chiudere

la finestra della camera da letto, e ora il pavimento era fradicio

di acqua sporca, polvere e detriti.

 

 

Rimasi scosso, dall’ombra di una calamità

tanto remota, che mi aggrediva così

a casa mia. Muniya, invece, era calma

e paziente.  Si mise subito a pulire.

 

Più tardi fu Muniya a scoprire sul suo balcone

il nido d’uccello, tutto rovinato ora. C’erano

anche frammenti di guscio, rimasugli di tuorlo,

gialli e appiccicosi, sparsi dappertutto.

 

2.

 

Conosci tutti i miei segreti. Sebbene,

adesso dubito, avessi saputo

spiegarti tutto per bene.

 

Altrimenti, come potresti ridere con tanta leggerezza,

mentre ascolti cose tanto serie?

Come puoi spegnere le luci e tornare

a dormire così tranquillamente, accanto a Ruba’i?

 

Adesso ho paura. Ora non posso smettere di parlare.

In questo buio la mia stessa voce

è l’unica identità che possiedo.

Naturalmente, sai, che attraverso il suono

possiamo anche misurare le distanze.

 

3.

Dalla balaustra di questa fortezza, posso vedere

quelle casette, le vite

disordinate della gente. C’è anche dell’altro

in tutto questo? Nel freddo nulla, nella luce pallida del cielo,

i piccioni, che svolazzano in tondo da un po’,

ora iniziano a sistemarsi, sul tetto quadrato,

che sembra una grande piscina di polvere di rame.

 

Ora sento una musica lontana, un canto

in una lingua sconosciuta, commovente.

Forse, tutti questi sforzi, queste robuste

attività umane, non sono vane.

Sembrano però pallide e malaticce,

sotto questa strana luce serale.

 

 

4.

 

Una volta, guardando da lontano, ho trovato che la terra

mi era in un certo modo familiare. Quasi fosse mia nonna –

calma, un po’ disordinata con il vestito

che le scivolava sempre dalle spalle.

Sotto quegli occhi opachi, potevo vedere baluginare

le ombre di una sera infinita, le dita dei piedi screpolate

che si riempivano di terra e radici contorte.

 

Più mi avvicinavo alla terra, più potevo sentire l’odore

dei suoi vestiti morbidi e lavati raramente. Dalla mia finestra,

potevo vedere la sua faccia, come un ritratto dimenticato

scuro, fuligginoso e consumato dalle tarme.

 

 

 

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Souva Chattopadhyay è nato nel 1983 ed è l’autore di tre libri Anantar GharBari, Hatighora O Onyanyo, Muniya O Anjaan Byuha and Mayakanan. Attualmente abita a Delhi.

 

 

 

 


 

Pushpanjana Karmakar

Armadio dell’estasi

Non ci sono vestiti

chiusi nell’armadio.

Un vulcano dormiente

di sagome di argilla, muschio, fiori di shuli, libri di Woolf con le orecchie alle pagine,

foto di insopportabili di rifugiati e un dialetto d’amore redatto in cactus.

 

C’è l’amore patologico di Kant

che bussa come un pazzo alle cerniere della mia porta

Da esso si eleva:

il Gange a Dakshineshwar di notte,

lingua d’estasi di Calcutta.

Il bambino nudo e zelante

pronto a immergere le mie preghiere arrotolate,

dove non trovo mai me stessa

tranne che in presentimenti stesi dalla mia famiglia

sulle pareti di casa nostra.

Le sue mani piene di cotone

che drappeggiano la mia assenza in un rosso sogno di ibisco.

Il mio corpo che cade su di lui come una rete gettata sul mare.

Il bambino dai capelli infeltriti

s’infradicia alle prime piogge alla stazione di Sealdah

danzando senza corpo.

I suoi piedi: corrono attraversando le costole fedeli del mio cuore

precipitando come fiore di frangipane che cade

Mi sento libera, sostenuta

in quell’armadio

come mi importasse più del fumo che del fuoco.

Rimangono in quell’armadio

come un sogno che emerge

l’amore trattenuto da un catenaccio.

 

 

 

Il muro oltre

 

In questo silenzio estenuante

l’idraulico non deve riparare

il rubinetto che perde.

Che permetta il tic tac

nel nucleo del mio cervello.

Il tonfo dell’ansia da predatore

I morti alla porta

tossiscono espettorando il piccione

tutto pronto a sbattere

e allentare i fili dei cuori persi

a pesare i guai per trasformarli in ilarità.

Il sole serpentino scava un tunnel

nella mia stanza in un pomeriggio d’inverno

nutrendomi del veleno del calore

E’ un silenzio profondo, baritonale

che mi richiama alla reclusione

di

amore appassito

rabbia indurita come guscio di noce

perdita sepolta in profondità

e un oblio

una condotta di vita tanto ordinaria.

 

II

 

In questo silenzio

le lamiere vengono forgiate

ad assumere la forma

del mio cuore

Quando dalle ascelle mi penetra la paura

un danzatore smemorato e confuso va all’assalto del nocciolo del mio cuore

Io distaccata, deplorante.

L’occhio dietro l’occhio – una lucertola smagrita –

Appostati

per il prossimo passo di danza della farfalla

lungo le acque torbide del Gange a Dakshineshwar

trascinandomi nelle

correnti,

dove il tempo è un turbinio

di arrivi e ritiri senza il mio assenso.

E in questo silenzio invernale

È il dolore: il tempo si costruisce la carcassa prima del corpo

L’amore è un rudere in armonia.

 

 

 

Memoria

La memoria è guardiana del fuoco

che scala le facciate

salva gli aneddoti, i capricci, una visione, un amore, un tradimento duro come osso

dalla fiammata dell’ippocampo.

 

Perché ci ricordiamo i capricci?

 

La memoria è un gorgoglio dentro la bocca

che ti risciacqua l’agonia del passato.

Ogni vita dentro il cavo orale

è un uccello al crepuscolo

che ritorna al nido, che frena l’irrequietezza volando.

 

La memoria è una schiuma

La bolla più nuova schiaccia la vecchia

mentre il barista scuote

i sentimenti.

 

La memoria è una strada tinta di pioggia

Le falangi di foglie bagnate

ci conducono verso

l’abituale disperazione della vita.

 

 

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Pushpanjana Karmakar è nata e cresciuta a Kolkata. Le sue poesie sono presenti in riviste come The Harvest Millennium, Kritya, and Poetry India: Enchanting Echoes (All India Poetry Competition), Coldnoon Poeticse un racconto nella Indian Review e enlal |Bombay review.  . sattualmente abita a Delhi dove è avvocato.  Un suo articolo sulla corruzione ha vinto un concorso indetto dal quotidiano nazionale Times of India. Fa parte del gruppo di poesia Moonweavers di Delhi. I suoi autori preferiti sono Rabindranath Tagore, Amitav Ghosh, Anita Desai, Dom Moraes,Virginia Woolf, Italo Calvino, Haruki Murakami, Fyodor Dostoyevsky.  Alla ricerca di scoprire il nucleo del cuore umano, le piace rappresentare le anime degli esseri umani in preda ad indicibili angosce. Esamina anche fenomeni come il riso e la sua mancanza.

 

 

 


 

 

Rangit Mitra

 

Suono –

 

La mia gola è intessuta di alberi

mentre mi stendo

su un letto secco come un deserto.

Sono sconcertato

dall’assenza di suono

Sono rosicchiato

dall’assenza di luce.

La morte

fa capolino tra gli schiamazzi dell’esterno,

attraverso le ombre

spinate dell’oscurità.

 

 

Signori

 

Istruiti sono, i Signori,

appartengono a un mondo diverso.

 

Il loro trucco cascante,

il loro circolo di colletti bianchi

non fanno parte della mia identità.

 

Eppure sono diventato uno di loro

mentre cercavo di nuotare controcorrente.

 

Signore, è il mio nome della vergogna.

 

 

Blu

 

Corpo nudo steso come una vallata

secca e spoglia di natura

che allarga i suoi strati di eccitazione.

 

Impavida l’età siede accanto alla nudità,

mentre le intenzioni Carnali aiutano

il coraggio a crescere, sfidando Mercurio.

 

 

Non permetto mai all’altro uomo di crescere

mentre lo brucio durante la nostra sfida

 

cosparso del veleno della sfiducia

il suo corpo si è adesso trasformato in blu

 

 

 

Infine

 

Nessuno sopporta la bontà.

Perché preferisci sempre quelli

 

che non sono buoni.

 

 

Sfidando balbuzie e parole di etica

quella famiglia del Gujarat si riplasmata

in un verso di poesia

 

Tradotto dal bengalese all’inglese da  Mriganka Majumder

 

 

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Rangit Mitra è nato nel 1985 ed è l’autore di tre raccolte di poesia Rumale Beer’er Gondho, Bhalo Pagoler Astana, Columbuser Loading Stone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto dei poeti a cura degli stessi.

Immagine in evidenza: Foto di Aritra Sanyal.

 

La prima parte di questo progetto a cura di Aritra sanyal, si trova al seguente link Sulle ali di giovani poeti bengalesi. Parte II, a cura di Aritra Sanyal, traduzioni dall’inglese di Pina Piccolo e contiene le traduzioni italiane di poesie di Animikh Patra,  Anuradha Biswas, Himalaya Jana, Anindita Gupta Roy, Ritam Sen, Swagata Dasgupta e  Raka dDsgupta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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