Sugli alberi gridando libertà. Stralci dal libro Xylella Report (Marilù Mastrogiovanni)

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SUGLI ALBERI GRIDANDO LIBERTÁ

 

 

Dal libro Xylella Report, Marilù Mastrogiovanni, Edizioni Il Tacco d’Italia, Casarano 2015

INTRODUZIONE

Scrivere questo libro è stato faticoso e bellissimo.

Non perché mi sia piaciuto scoprire che incompetenza, malafede, azioni al limite della legalità, lentezza cronica e improvvise accelerate, eccesso di burocrazia, hanno generato poi un’emergenza che ormai è sfuggita di mano.

Non perché per farlo abbia dovuto leggere centinaia di atti e qualche migliaio di pagine, tra leggi, direttive, decreti, determine, delibere, convenzioni, linee guida, per scoprire tra le pieghe come si costruisce una truffa e si pilotano bandi e appalti.

Non perché mi sia resa conto che l’affaire xylella mette in pericolo la democrazia e l’autodeterminazione di un popolo.

Non perché abbia capito che l’espianto e la riconversione degli uliveti secolari di Puglia è una volontà preordinata dei politici in concorso con alcune categorie di agricoltori.

Ma perché ho percepito, crescente, la consapevolezza che per tutti la xylella sta diventando un’occasione per riappropriarsi della terra, di un modello di sviluppo che sembra antico ma che, al contrario è modernissimo: “vendere” la propria storia, che è unica al mondo, fare degli ulivi secolari e millenari un brand grazie al quale vendere l’olio a prezzi molto remunerativi, puntare tutto sulle varietà autoctone, che sono qui e ora e che nessuna Monsanto potrà sostituire.

Ma è davvero così?

La paura di perdere il proprio dna, la propria identità, legata indissolubilmente ai tronchi contorti e sofferenti, ora più che mai, degli ulivi secolari, sta facendo svegliare dall’inedia tanti agricoltori pugliesi, che hanno da anni abbandonato le campagne, accontentandosi dell’indennizzo che arriva dalla Ue e che è collegato alla proprietà degli alberi d’ulivo, non alla produzione.

Concorrenza, contraffazione, agromafie, hanno fatto il resto. Gli alberi sono stati abbandonati perché coltivarli significava andare in perdita. Ma è accaduto anche il contrario: coltivarli significava andare in perdita perché ormai erano stati abbandonati.

Ma davvero gli ulivi secolari non sono più convenienti da tenere? Sono solo un oggetto per abbellire i giardini dei resort?

No, se è vero che sono tanti i produttori che puntano sulla qualità, sulle pratiche agronomiche tradizionali e naturali, sul marchio.

Per questo ho voluto chiudere il libro con il racconto di due esperienze che danno speranza.

Se riuscirete ad indignarvi per quello che leggerete dovrete anche riuscire ad immaginare un futuro diverso.

Sennò rimarremo i soliti meridionali piagnoni che si fanno fregare le terre. Pensando di possedere un pezzo di vetro. Invece era un diamante.

L’introduzione doveva finire così.

Poi è arrivata la telefonata di Maria Luisa Toto, responsabile del centro antiviolenza “Renata Fonte”, la consigliera comunale di Nardò, uccisa dalla mafia perché si opponeva alla costruzione di un resort all’interno di quello che diventerà il Parco di Porto Selvaggio. Ma che oggi non porta il suo nome.

Maria Luisa Toto mi ha comunicato che mi sarà conferito il premio “Renata Fonte” alla Legalità e alla non violenza.

Io penso di averla travolta con le mie manifestazioni di gioia: sono grata e felice che questo premio arrivi ora, mentre scrivo questo libro, che sia intitolato a “Renata Fonte”, che celebri la legalità e la non violenza. L’informazione può essere un’arma pericolosa e sceglierla come strumento di servizio e non di potere, non di violenza, significa usarla come strumento democratico.

Io in quest’uso dell’informazione mi riconosco.

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POSTFAZIONE

//SUGLI ALBERI, PER RESISTERE ALL’OMOLOGAZIONE

Non credete a chi dice e scrive che si tratta di quattro ambientalisti scalmanati.

Integralisti del verde a tutti i costi che non rispettano l’autorità costituita, che non accettano quello che lo Stato ha deciso per il bene di tutti.

Venite tra i boschi di ulivi secolari, dove Stefania, Francesco, Tina, Ivano, passano le notti insieme a decine di persone, aspettando che altre (e il numero cresce di giorno in giorno), diano loro il cambio.

Aspettando che portino loro un pasto caldo, acqua, caffè, per resistere.

Dovete parlarci, dovete vederli. Dovete guardare le loro mani e le rughe del volto bianche, all’interno, perché corrugando la fronte lì, il sole, non arriva.

Dovete vederli sui campi, con i bambini e i nonni, tutte le famiglie, unite.

Sono contadini, non sono ambientalisti. Difendono non gli alberi, ma il proprio futuro e quello dei loro figli.

E’ questo che gli ulivi rappresentano: sono tutto ciò che possiedono.

Hanno fermato tutte le loro attività per presidiare le campagne e saltare, appena si profila all’orizzonte un mezzo pesante, chi sugli alberi, per proteggerli, chi sulle ruspe, per impedire al corpo di polizia della Forestale di abbattere gli ulivi.

Ho riletto il racconto degli ultimi eroi viventi delle lotte contadine degli anni Cinquanta, quando le donne e gli uomini d’Arneo occuparono le terre dei latifondisti, escluse dalla riforma Agraria che le restituiva ai legittimi proprietari, i braccianti.

Il figlio di Salvatore Mellone, che oggi non possiede neanche un centimetro quadrato di quella terra che suo padre occupò, perché Salvatore “non la chiese mai, non fece domanda. Non voleva la terra. Aveva combattuto solo per sostenere un’idea”.

Ho riletto le parole di Giovanni Pulli, che ricorda il padre Cosimo, che diceva: “E’ servito lottare. E’ servito togliere le terre ai padroni, a non essere più loro schiavo, ad essere persone libere”.

Il racconto di Uccio De Marco, che assistette al rogo di biciclette di proprietà dei braccianti, bruciate dai Carabinieri per impedire loro di spostarsi e occupare le terre. Uccio fu arrestato passò molti mesi in carcere, come tanti contadini che avevano occupato quella terra pietrosa e matrigna.

Dopo molti anni riuscì a pagare i soldi dell’avvocato, quando anche grazie a lui l’Arneo diventò proprietà dei contadini. E’ felice di “aver contribuito a cambiare le cose, essere intervenuto a cambiare le decisione prese dall’alto”.

Con loro i futuri deputati del PCI Calasso e Conchiglia, già dirigenti di partito, che dormivano all’addiaccio, nascosti sugli alberi.

Ad oggi invece nessun politico s’è recato su quei campi. Lo scollamento tra governanti e governati è definitivamente consumato.

Gli alberi d’ulivo diventati rifugio ma anche simbolo e strumento di riscatto.

Una storia rimossa dalla coscienza collettiva, questa delle lotte d’Arneo, come rimosso è stato il legame con la terra, considerata sempre matrigna e mai madre, anche dopo averla conquistata.

Un rifiuto di sé e delle proprie origini che ai pugliesi, affamati, ha fatto accettare, negli anni del boom economico, politiche industriali violente, che hanno stravolto una terra impregnata di bellezza e di cultura.

Non c’è posto per il turismo a Taranto, dove il mare è nero di petrolio. Non c’è posto per la bellezza a Brindisi, dove le campagne sono cosparse di carbone.

Il Salento, riscoperto mèta ambìta dai turisti di mezzo mondo, è aspro e selvaggio, in alcune parti strappate alla mafia e alla speculazione. Sulle coste non c’è abbastanza posto per far dormire i turisti, mentre i paesini, che nei centri storici mantengono spesso intatto l’incanto che deriva dalla perizia degli artigiani che nei secoli hanno lavorato la pietra, sono semivuoti. Così come ancora intatto è l’incanto tra i boschi d’ulivi secolari, che altri, non noi, ha reso possibile.

I ragazzi vanno via: se non è la terra matrigna è, matrigna, la classe politica. Incrociando i rapporti della DNA (Direzione nazionale antimafia) e della Camera di Commercio, scopriamo non solo che la pressione della criminalità organizzata è crescente sulla pubblica amministrazione, e che cerca e ottiene il consenso dei cittadini, ma che le aziende sono sempre più permeabili alla mafia.

I colletti bianchi sempre più sporchi, le gare di evidenza pubblica sempre più opache (potrei raccontarvi di perle infilate a Ferragosto, in totale solitudine. Ne ho scritto, ma ora non è il contesto).

Eppure quella terra e quegli ulivi, il mix magico fatto di mare, muretti a secco, pajare, trulli, barocco, cibo sano e olio, quello “buono”, quello che tutti ci invidiano e che i giapponesi sono disposti a pagare 100 euro al litro, il nostro, non di altri, quella terra e quegli ulivi è tutto ciò che ci rimane e che nessuno ci può togliere.

Il paesaggio, l’agricoltura come settore primario, il cibo, hanno a che vedere con l’identità.

Lo sapevano quei contadini. Per 50 anni i loro figli l’hanno dimenticato. La terra è diventata matrigna. Fottere il sistema, una soddisfazione, per quella parte anarchica e brigante di sé che i salentini mai hanno, invece, rimosso. Gli incentivi europei negli ultimi 12 anni sono stati scollegati dalla produzione, ma collegati al possesso della terra. Coltivarla o non coltivarla ai fini dell’incentivo è uguale.

Il possesso. Era quello che i contadini volevano. Ora sono diventati piccoli proprietari, anche loro, ma negli anni, attivata la rimozione collettiva delle origini, la terra è ridiventata matrigna: rinnegata, abbandonata, dimenticati i saperi antichi delle pratiche agronomiche ecosostenibili, inondata da fitofarmaci.

Non si sono accorti che quella terra gliela stavano strappando di nuovo dalle braccia, le loro. Via gli ulivi, per far posto a produzioni intensive più remunerative: fichi, melograni, fichi d’india, piante da biomassa, speculazioni edilizie per un turismo mordi e fuggi.

E’ ciò che chiede il mercato: materia grezza, sono solo questo i fichi, i melograni, i fichi d’india, le piante da biomassa. Che non reggeranno mai la concorrenza di altri paesi, quando decideranno di coltivarli anche loro. Produzioni intensive per far fruttare le quali serve manodopera a basso costo, nuovi schiavi. Come i raccoglitori di angurie di Rosarno o Nardò.

Non è così per l’olio extra vergine d’oliva. L’olio da ulivi secolari è unico, esiste solo in Puglia.

La qualità di quell’olio è inimitabile, anche se sono in tanti a volerci mettere le grinfie sopra.

Quella qualità rende liberi. I contadini che ora sono sugli alberi l’hanno capito. Hanno anche capito di aver sbagliato a rinnegare madre terra. Non cederanno.

Nella competizione globale cui assisteremo sul palcoscenico dell’EXPO, l’olio extravergine d’oliva italiano sarà protagonista assoluto.

A volerlo fare fuori, in tanti. A desiderarlo, mezzo mondo. La Puglia, che produce il 40% dell’olio extravergine d’oliva italiano, ha già in sé gli anticorpi per resistere all’omologazione, sfoderando l’asso della tipicità, della unicità e collegare questo all’unicità del paesaggio, del mare, dell’artigianato, della cultura, dell’enogastronomia.

Dovrebbero solo ricordare, i pugliesi, da dove vengono. Perché il loro futuro di uomini liberi è lì.


Marilù Mastrogiovanni

Maria Luisa Mastrogiovanni, detta Marilù. Faccio la giornalista d’inchiesta investigativa e spero di non smettere mai. O di smettere in tempo. Sono iscritta all’Ordine dei giornalisti dal 1998 (dal 2008 nell’albo dei Professionisti) e collaboro con il Sole 24 Ore, il Fatto Quotidiano, il Manifesto, Left, Narcomafie, Rai News 24 e Striscia la notizia. Nel 2003 ho fondato il mensile d’inchiesta Il Tacco d’Italia, oggi uno dei quotidiani on line più diffusi in Puglia. Ho diretto decine di riviste tematiche o di settore (anche per committenti esteri), curandone ogni dettaglio, dall’ideazione del piano editoriale, al menabò, fino all’ “ok si stampi”, passando per la definizione del “timone” e del palinsesto. Ho scritto tre libri (due d’inchiesta) e prodotto e girato due documentari (lungometraggi) tra Italia, Olanda, Belgio, Grecia, Turchia e diversi reportage. Ho vinto diversi premi giornalistici internazionali, nazionali e regionali: due volte il premio “Campione, giornalista di Puglia”, il premio “Talento donna”, finalista al premio Ilarioa Alpi Biocr (Best International organized crime report award) Accanto all’attività giornalistica mi sono sempre occupata di piani operativi di comunicazione e progettazione comunitaria, per committenti pubblici e privati. Nel 2001 ho fondato l’agenzia di comunicazione, servizi editoriali, social media communication Idea Dinamica, che è anche editrice e proprietaria di diverse testate settoriali nazionali e internazionali.
Tra il 2010 e il 2012 ho subito minacce dalla criminalità organizzata per le mie inchieste sul business dei rifiuti. Anche per questo sono impegnata nell’attività di “
Ossigeno per l’informazione”, l’Osservatorio nazionale sui giornalismi minacciati diretto da Alberto Spampinato. Sono tra le prime firmatarie di Gi.U.LI.A. giornaliste unite, libere, autonome: libera associazione di giornaliste (cui aderiscono tutte le più autorevoli firme del panorama dell’informazione nazionale) per una comunicazione e un’informazione scevre da stereotipi di genere o sessismi e per la pari rappresentanza di donne e uomini in tutte le posizioni apicali e in ogni organismo elettivo, sia nelle aziende private sia in quelle pubbliche. Sono nel direttivo nazionale di Gi.U.LI.A e nel coordinamento regionale. Ho avviato decine di ragazze e ragazzi alla professione giornalistica, insegnando loro che i nostri unici padroni sono i lettori e il nostro Codice deontologico e la Costituzione italiana la nostra Bibbia laica. Vivo in una terra di frontiera, Finibus terrae, il Salento, e lo amo. Un amore (quando scrivo di sacra corona unita, corruzione politica e colletti bianchi fin troppo sporchi) molte volte non ricambiato.


Stralcio riprodotto per gentile concessione dell’autrice.

Foto in evidenza e nell’articolo per gentile concessione di Marilù Mastrogiovanni.

Foto dell’autrice a cura di Marilù Mastrogiovanni.

Inserito da: Lucia Cupertino

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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