Stralci dal libro “Perché non mi dai un bacio?” di Francesca Caminoli

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Ho vissuto nel circo fino a cinque anni. Il nonno mandava in giro gli imbonitori per invitare la gente ad andare agli spettacoli. Uno degli imbonitori era mio padre, bellissimo con i suoi pantaloni rossi e la camicia bianca, era trapezista – lo ricordo sul trapezio, ogni volta una gara con la morte, sotto di lui c’era solo un paglione, la rete non era ancora stata inventata – era acrobata, si appendeva agli anelli e suonava anche la tromba. Zio Umberto faceva il pagliaccio, poi è andato al circo Orfei e al Zanfretta. Zia Zaira, bellissima, capelli neri e occhi verdi, camminava su una palla, stretta dentro un bikini a vita alta, come si usava a quei tempi, pieno di lustrini. Zio Angelino suonava la caccavella, una specie di stantuffo di tela, dentro entrava un bastone e faceva vuuum, vuuum. Lo sketch era che zio Angelino si innamorava di una ragazza e le cantava “dimme, dimme chi t’ha fatto, chi ha commesso sto’ delitto sono cotto e son straccotto parola d’onor” e vuuum partiva la caccavella.

Al circo c’era solo un animale, la Titina, una scimmietta con le mutande rosse. Tutti gli artisti cantavano “io cerco la Titina, la cerco e non la trovo, ma quella disgraziata chissà dove sarà?,” in mezzo alle risa del pubblico adulto e la paura dei bambini.

Rudi e Ada ballavano il tango, lui a petto nudo ma con una cravatta rossa e una rosa rossa in bocca. Ero innamorata pazza di Rudi. Ada aveva lunghi capelli nerissimi. Non era bella ma ballava benissimo e quando Rudi le metteva la rosa rossa in bocca e poi zam, la buttava giù, diventava bellissima.

Anche io e Miriam, mia sorella, bambinette,  ballavamo e cantavamo “tu sì o’ guaglione” di Renato Carosone.

 

… La mia vita cambiò. Scoprii l’anarchia. Un giorno noi ragazzi dei gruppi extraparlamentari siamo stati invitati a una riunione dal Pci che, siccome in quegli anni certo non scorreva buon sangue tra di noi, voleva provare ad avvicinarci. Siamo andati in massa.

L’incontro non servì granché politicamente, ma mi fece incontrare una persona speciale, Sergio Atzeni, lo scrittore, che era della Fgci. Non aveva ancora pubblicato libri, a quei tempi scriveva articoli per giornali, anche per l’Unità mi sembra. Aveva un viso inquieto, capelli lunghi, un sorriso bellissimo ed era molto timido. Ci furono altri incontri al Pci, ci andai sempre, ma non per la discussione politica, per incontrare Sergio. Dopo le riunioni spesso si cenava tutti insieme, si discuteva, si facevano dei giochi e l’ho conosciuto un po’ di più.

Una sera c’è stato un guardarsi negli occhi più intimo, ma il giorno dopo ho conosciuto G, con la sua moto e la giacca di jeans, e mi sono dimenticata di Sergio. A distanza di anni ho saputo che era morto, in mare, lui che era un ottimo nuotatore.

Quando torno in Sardegna mi capita a volte di pensarlo. Ricordo una cosa scritta da lui quando era in Germania e non aveva quasi niente da mangiare. Racconta di aver sentito il profumo delle cozze dei baretti sul mare di Cagliari e di aver immaginato di mangiarle e già solo così era felice.

“Portami a un baretto sul mare,” chiesi una volta a mia sorella, appena arrivata a Cagliari dal Nicaragua.

“Ze, ma non sei stanca?” mi chiese lei.

“Ti prego, portami sul mare, voglio mangiare le cozze e bere un bicchiere di vino.”

Mangiavo le cozze, bevevo il vino e mi venivano le lacrime agli occhi.

 

…“Adelante compañera! Adelante! Dai compagna, dai che ce la fai!”

L’urlo di un giovane guerrigliero che stava dall’altra parte del ponte che collegava l’Honduras con il Nicaragua segnò l’inizio della mia seconda vita. Stavo facendo un giro da sola per alcuni stati dell’America Centrale, volevo anche andare in Nicaragua, ma non avevo proprio pensato che arrivarci dall’Honduras in quegli anni, era il 1986, non sarebbe stata una passeggiata: si era in piena guerra tra i contras finanziati dagli Stati Uniti e i sandinisti. Nessun auto, né autobus, né taxi poteva attraversare il confine. Si passava solo a piedi.

Mi incamminai sul ponte terrorizzata, anche se non volevo darlo a vedere. Avanzavo con aria spavalda, ma il cuore mi batteva a cento all’ora.

“Puta, vai, vai da quelli, vai dai terroristi, puttana comunista!”, mi urlavano i soldati honduregni alle spalle.

 

Gli incitamenti del ragazzo mi diedero coraggio, cominciai a correre, arrivai dall’altra parte del ponte e mi buttai tra le sue braccia. Era poco più di un bambino, avrà avuto sedici, diciassette anni.

Arrivarono altri giovani da un bosco vicino.

“Che ci fate qui?”, chiesi, stupita dalla loro giovane età.

“Siamo sandinisti, difendiamo il nostro paese,” mi dissero con orgoglio e facendomi vedere il fazzoletto rosso e nero che tenevano legato al collo.

“Tu che cosa ci vieni a fare in Nicaragua?,” mi chiese il giovane che mi aveva incitato.

“A vedere,” risposi.

“A vedere la revolución?”

“Sì.”

 

… Giravo per le strade del Mercado Oriental e dintorni senza sapere bene come muovermi. Lasciai la pensione e affittai una casetta a Ciudad Jardin, proprio dietro il Mercado, la zona dove, dalla città e da tutto il Nicaragua, arrivavano i bambini di strada. Nel patio della mia casa c’era una pianta di guayaba, un frutto che, quando è maturo, è buonissimo. Un giorno vidi due bambini huelepega che raccoglievano da terra i frutti, ormai marci, che dal mio albero cadevano in strada. Mi avvicinai e chiesi, un po’ ingenuamente, perché mangiavano quei frutti marci.

“Perché abbiamo fame,” mi risposero guardandomi come se pensassero “ma questa da dove arriva?”.

Li invitai in casa, gli offrii pane e burro. Mi dissero che vivevano in strada, alla Chiesa del Calvario, all’ingresso dell’Oriental. Si chiamavano Harling e Hormiga.

Il giorno dopo andai a cercarli, ma non li trovai. Vidi però molti altri  bambini e ragazzi di strada riuniti in pandillas, in bande. Un gruppetto di loro stava seduto su un marciapiede in mezzo all’immondizia. Qualcuno fumava sigarette, altri sniffavano la pega, la colla. A pochi metri di distanza c’erano prostitute, alcolizzati, ragazzi più grandi che fumavano marijuana e crack. Mi avvicinai. Raccolsero delle pietre da terra e me le tirarono, scappai. Tornai il giorno dopo e mi accolsero nello stesso modo. Il terzo giorno mi riempii la borsa di pietre. Non appena cominciarono a tirarmele, aprii la borsetta, tirai fuori una pietra e gliela lanciai. Rimasero un attimo interdetti, poi ripresero il lancio. Io anche.

Arrivò una macchina della polizia. Nascosi le pietre nella borsetta. I poliziotti scesero dall’auto e mi chiesero se avessi dei problemi. I ragazzi mi tenevano d’occhio.

“Nessun problema, stiamo chiacchierando.”

“Stia attenta che questi sono dei delinquenti,” mi disse uno dei poliziotti.

Risalirono sull’auto e se ne andarono.

Mi avvicinai ai ragazzi. Non mi tirarono più le pietre.

“Buongiorno,” li salutai.

“Una chele,” ridacchiò quello che sembrava il capo.

Chele in slang nicaraguense significa bianco, anagramma di leche, latte.

“Hai dollari?” mi chiese.

“No.”

“Allora vattene.”

“Parliamo un po’.”

“E di che? Tutti i bianchi vengono qui a rompere.”

“Sei il capo?” gli chiesi.

“Vattene gringa.”

“Non sono gringa, sono italiana. Mi chiamo Zelinda,” gli dissi, porgendogli la mano.

“Sono il Churro,” mi rispose, mi prese la mano e me la strinse.

Sentii che forse qualcosa poteva cambiare.

senegal con bambini

 

Francesca Caminoli, giornalista, vive a Lucca. Con Jaca Book ha pubblicato Il Giorno di Bajram, 1999, La neve di Ahmed, 2003, Viaggio in requiem, 2010, La guerra di Boubacar, 2011, C’erano anche i cani, 2013.

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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