Stagioni scalene (Ensemble 2021) di Edoardo Olmi – pillole di lettura a cura di Bartolomeo Bellanova

Cover+quarta

Stagioni scalene è la terza raccolta poetica pubblicata da Edoardo Olmi, già noto ai lettori di LMS per la precedente R:exist-tance (Ensemble 2017) recensito nel nostro numero 15 del luglio 2019. Diversi sono gli elementi di continuità, e diverse sono le discontinuità di questo nuovo lavoro che evidenzia un percorso di ulteriore maturazione dell’autore. Le “stagioni”  sono qui da leggersi nelle loro molteplici accezioni: non tanto come stagioni dell’anno solare che si susseguono con le loro peculiari caratteristiche paesaggistiche o meteorologiche, qui ridotte al minimo, ma in quanto stagioni di vita, momenti esistenziali a tutto tondo che comprendono la lotta politica, gli accadimenti sessuali e affettivi (questi ultimi restano in secondo piano) e l’emotività acuta dello sguardo dell’autore su un mondo destrutturato e incattivito in ogni aspetto della coesistenza sociale.

Olmi sovverte anche il susseguirsi temporali delle “stagioni”, in quanto come dichiarato dallo stesso autore nella esaustiva prefazione di Antonella Sarti Evans, la sincronicità spazio temporale è uno degli elementi portanti dell’opera. Sincronicità che riguarda sia le singole sezioni, sia i componimenti in esse contenuti, scritti dal 2015 a tutto il 2020.

L’autore attraverso la frammentazione del verso, l’abbandono della maiuscola dopo il punto e capo e l’uso di un linguaggio tecnico – informatico – economico con numerosi prestiti dall’inglese (post-truth society, breaking news, touch-screen, music awards …) e dal parlato comune (twittare, linkato …) intende rappresentare dei fotogrammi di una realtà sociale ed esistenziale non più configuarabile dentro a un ordito di senso, dentro allo sviluppo di una trama civile. La contemporaneità di azioni e situazioni simultanee tra loro irrelate, ha lo scopo di disorientare e mettere alle corde il lettore per costringerlo ad accettare di entrare nelle pagine della raccolta senza boe di senso o punti fermi di riferimento.

Allora la vita diviene uno sminuzzamento di attimi a sé stante, un susseguirsi di click sulla tastiera del p.c., che spesso non ci si rende conto di vivere, ma di essere sopravvissuti alla meno peggio al dileguarsi del Logo che al principio si fece parola in mezzo al consorzio umano ed ora è scappato lontano dalle nostre nevrosi e dalle nostre patologie sempre più numerose e profonde.

La raccolta si apre con Primavere che contiene al suo interno il primo testo della raccolta dicerie degli untori, che precede le due sotto sezioni: MODERNITA’ IN POLVERE e ROMA NASONA, quest’ultima relativa agli anni di vita romana dell’autore (tra il 2011 e il 2015).  dicerie degli untori è un testo “pandemico” dove lo sguardo sulla società malata viene snudato definitamente dal Covid-19 che porta a galla le contraddizioni e le assurdità del nostro sistema sociale.

Edoardo Olmi

(Foto dell’autore)

dicerie degli untori

FASE 1 DI

siamo banditi del progresso,

malati terminali in una civiltà

dove i droni annunciano equinozi di primavera

 

la fuga di Olympia in diretta da Barbara D’Urso

per applicare la sharia della sanità

agli spazi liberati del toccare.

 

mendichiamo un’ora d’aria di libertà

al sacramento dell’#iorestoacasa;

contrabbandiamo sguardi e passeggiate con il cane.

 

ipocondriaci per Dpcm/

immunodepressi

nel difendere la vita ed i più deboli

 

col distanziamento sociale delle (r)esistenze

– dentro la Wuhan della Bassa Padana

Golia che si è arresa ad un millesimo di micron –

 

indossiamo le inferriate

evitando di inalare moscerini;

nel giro del cortile

in cinquantaquattro giorni.

rimandiamo a fine anno la guerriglia partigiana,

raccontandoci che niente

sarà più come prima.

 

eppure le stagioni sfrigolano

i tassi corrono veloci lungo via Pietrapiana,

delfini vanno a caccia attorno al Lido di Venezia.

 

orsi che sgambettano sul passo del Tonale;

ippopotami nei resort

fra le spiagge dell’oceano indiano.

 

il mondo si è preso qualche anno sabbatico;

la scienza ci riduce a particelle di particolato

negli spasmi interstiziali della modernità.

 

FASE 2 DI

i rave in equilibrio sull’elastico

le feste di laurea sulle piste ciclabili –

sgomitando affetti stabili di secondo grado

rimasti troppo tempo senza aperitivo sui Navigli.

assembramenti dei rider

al protocollo per le attività economiche (già) essenziali;

ma chi dai primi giorni a mala pena ti scansava

adesso fa lo yoga in fila al supermercato.

pane e coperto servito sotto i portici

nel masticare un senso di horror vacui,

fra i Cuba libre offerti alla municipale

nella movida a prova di aerosol.

e schermi piatti con le cicatrici

dov’è impossibile rimarginare un futuro;

lapidato da parole apprese

affilate coi pronomi determinativi.

i bagni turchi nelle librerie

sfogliando Hikmet con i preservativi per le mani

dispositivi indossati a tracolla

da fare invidia alle borsette H&M –

ed il design di braccialetti accattivanti

per corteggiarsi nel #restiamoadistanza

o app Immuni per mappare se anche Wally

è prossimo alla soglia di Rt 0;

sul profilo FB delle Pari Opportunità

le giornate per l’indipendenza dei nativi digitali.

perché il governatore medio non aspettava altro

che un hashtag con cui giocare agli eroi mascherati

e commentare «Il sacrificio della patria nostra è

consumato!»

comodamente seduti sul portatile di casa.

pascolando fra i recinti del #riparTIAMOItalia,

ruminando breaking news nella post-truth society

ma preparando assalti frontali

ai virus della diffidenza e dell’autodafé

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Dalla Sezione ROMA NASONA riporto un estratto che rimanda alle atmosfere di degrado e assenza di futuro della suburra romana, preconizzate da tanti versi e scritti di Pier Paolo Pasolini:

…le gru accasciate a sera a margine dei cantieri

– prede di contrabbandieri del cemento

su carcasse di catrame,

bianche morti del cigno

nella danza macabra del caporalato

bici si prendono in orgasmi di lamiere;

amandosi sul ciglio della strada.

consueti ed allo stesso tempo inaspettati

piccioni e mozziconi di sigaretta sull’asfalto –

ragazzine con le tette a dieci anni

e un’infanzia ormai caduta in prescrizione

ai primi amplessi nei vecchi

capannoni industriali.

candele votive dimenticate accese

per i maiali sacrificali del dio Kebab;

avvampano jihadisti dell’hip hop

kamikaze di spalle sui balconi

mentre parlano al telefono coi serial killer

dell’identità….

===

Fa parte di queste “Primavere” il componimento “Ulisse”, formalmente e stilisticamente diverso da tutti gli altri della raccolta, nel quale l’autore riprende gli ultimi versi del XXVI Canto dell’Inferno dantesco e sostituisce le vicende di Ulisse con quella degli uomini che, in particolare dall’inizio del secolo scorso, (il riferimento alle “tre generazioni”), hanno sfruttato in modo intensivo e violento le risorse naturali. La quarta generazione, l’attuale, dovrà fare definitivamente i conti, se non invertirà la rotta, con il collasso ambientale del pianeta che provocherà la sesta estinzione di specie già in atto, mettendo la parola fine alla breve parentesi umana sul  pianeta terra.

 

Ulisse

Da tre generazioni inquini lidi e tutte l’acque;

e percuoti del merlo il primo canto.

A la quarta levar l’oceano in suso

e la terra ire in giù, come a nessuno piacque

infin che ‘l mar

è sovra noi richiuso.

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Seguono le Estati, che contengono una Sezione di AMORE EPILESSI (canti elbani). La definizione del dizionario Treccani di epilessia è: “Sindrome neurologica complessa, caratterizzata dal periodico ripetersi di manifestazioni psicofisiche improvvise, quali sospensione o perdita della coscienza, stato confusionale ecc …”, che qui si unisce al sostantivo Amore, che ricorre poche volte nell’intera raccolta. Per l’autore l’Isola d’Elba rappresenta contemporaneamente la perdita e lo spaesamento che si palesano d’improvviso insieme all’appagamento e alla profondità di un vero e autentico amore. Si concretizzano in questa sezione visioni profonde, a tratti liriche, mai banalizzate in facili suggestioni turistico balneari.

 

quel corpo fatto per resistere all’abisso

ricevette una spinta verso l’alto

pari alla massa d’acqua spostata

dal suo dolore.

 

cambiò la pelle alla memoria,

come rinasce quella dei serpenti

guardando sul barometro dei rimorsi;

 

«hai gridato tremando a Punta della Gioma

‘con la rosa dei venti domani siamo pari’»

 

vorrei tu fossi femmina

dirà il desiderio;

 

la marea non ha bisogno di dare spiegazioni

e di notte non ha voglia di chiedere il permesso

 

terra di macigni vivi

stesi come gatti rotolati al sole –

 

Marina che riposi in pace

incava nel sonno.

III.

a Chiessi il pesce arrivava la mattina dal mare

dopo i tramonti della Costa del Sole,

 

dove si fa l’amore a strapiombo sul Tirreno

scansando le cadute di massi dal Capanne.

 

giochi a gara di pesca con i cormorani

mentre il libeccio ne frantuma l’eco sugli scogli

 

e capisci perché la Corsica non si vede mai

dalle rive francesi

 

– sentieri arrampicati sui vitigni

che sanno di oleandro e di ginepro

 

fra i fichi d’india sparsi nei terrazzamenti

che salgono sui ruderi di San Bartolomeo –

 

ma una volta che accetti la sfida

sei solo tu, davanti l’orizzonte

 

dalla cresta delle montagne

anche i giganti se ne sono innamorati

e passano le epoche perduti negli abissi

 

con la tristezza

poggiata su un fianco.

==

[…]

…vorrei essere come questa terra

un verbo che non ha soggetto.

 

addormentarmi al vespro

alla finestra degli abissi

fra le rive del sonno – risvegliandomi sul ciglio di una strada

fra colline rosse d’imbarazzo.

 

se la ascolti è come un quadro di van Gogh

stessi pochi, poveri pastelli;

mai una volta in cui due tele siano uguali

mai due sguardi della stessa confusione.

 

ti saluta con l’abbraccio di un sorriso frastagliato

finché a un tratto sparisce

dietro al molo ancora aperto di Piombino

 

nel riso delle ragazze

nel rimestare delle stagioni.

 

Le successive poesie di Olmi sono molto intense e costituiscono alcuni dei testi più significativi della raccolta.

La prima è Il governo del cambiamento, riferito alla stagione dell’esecutivo “giallo verde” (M5 e Lega), della quale riporto uno stralcio:

… dopo che il Generale Ferragosto

– ed un Papeete in scala quaranta –

hanno portato i souvenir

della campagna di Russia.

 

con il telecomando giocano a battaglia navale;

colpiti-affondati nell’eco degli abissi

di grida dai campi di concentramento della Libia

o raid aerei

dopo il calciomercato.

 

sul libro Cuore del telegiornale

hanno arrestato gli assassini comunisti

– che devono marcire in galera

fino alla fine dei loro giorni –

 

con gli stessi soldi dei contribuenti

con cui facevano gli espropri proletari;

sbattendo dentro centinaia di innocenti

sopravvissuti al genio senza nome dell’eroina

 

rifugiati politici in casa nostra,

con le guerre procurate a casa loro –

 

generazioni fucilate per emendamento

desaparecidos nell’arco costituzionale

 

ognuno/a ostaggio di un paese

che elargisce libertà senza martirio

 

l’Italia è una promessa

che non si può mantenere.

 

La seconda, Hasan dedicata a “Hasan Atiya Al Nassar (Dhi Qar, 1954 – Firenze, 2017). Poeta iracheno costretto a fuggire dall’Iraq in quanto oppositore al regime di Saddam Hussein. Ha vissuto molti anni in Italia – e in particolare a Firenze – dove aveva ottenuto lo status di rifugiato politico. Nel testo i ricordi dell’autore si mischiano a versi, immagini e suggestioni delle poesie dello stesso Al Nassar. (NdA)”. Il profondo affetto per Hasan, la compartecipazione alle sue vicende di esilio, danno vita a versi di grande emozione:

“… tutti dicevano di averti visto lì l’ultima volta

bere, scrivere, ascoltare nel vuoto

 

le ragazze sembravano portare tue poesie

nei ventri inanellati di farfalle.

 

venivano a renderti omaggio

i doni del caos –

amici, conoscenti, profeti

compagni di lavoro per un anno

bevute per un giorno,

 

tu stesso dei pirati

eri detto il profeta.

 

a quello stupore fra ricordi e promesse

libri rilegati dal vento offrivi in sacrificio,

ti era ufficio stampa in via dell’Ariento

la Casa del Vino…

 

… quando gridò un’ultima volta il rumore del vento

sulla Firenze che ti ha amato

e la Firenze che ti ha odiato,

che ti ha donato

il sorriso invernale nell’estate –

 

delta di due fiumi,

ti ha gettato nel mare un’altra volta.

 

Hasan, quante parole inutili

per quello che ci siamo sempre detti

 

nei respiri che assomigliano al profilo della luna;

di poesia e di poeti non si parla

ma si è.

 

quante volte hai chiesto aiuto

dentro l’orto del tuo cuore

districandoti fra i roghi della gioia di vivere,

 

partigiano di un bagliore apolide

che ho incontrato negli occhi dei profughi

e dei refrattari…

===

 

Seguono gli AUTUNNI con Ateneo libertario e poesia leninista:

Ateneo libertario

i ditalini all’asta della bandiera,

prima con l’indice poi con il medio;

non avevo mai fatto l’amore con un elfo –

apostrofo di borgo Pinti

a forte Belvedere.

scale spianate su SS. Annunziata,

santa protettrice dei ritardatari

sotto l’Arco di Trionfo dell’Innocenza;

quello che sei prima di avere un cognome

ed una firma per poterlo autenticare.

– parte Linoleum all’imbocco di via Capponi

ed il Duomo sembra non avere più un vero scopo

pace dei sensi

nel mantra di un refuso,

le scarpe danno la buonanotte.

sulla verginità delle colline adiacenti

la provincia puntava al risparmio energetico.

rivendicato genuino e clandestino

il pane di grani antichi di Mondeggi;

affinità e divergenza

fra comuni e movimenti

nella Storia e nell’attualità –

fra un bis di penne con lo zafferano

o una zuppa di lenticchie col coriandolo,

non protestare

se non hai fatto i conti con il monte

ed un respiro strozzato.

portare la rivoluzione addosso al treno

e sbatterci la testa;

seduti contromano

da Statuto fino a Borgo.

sul binario da viale Lami a Bologna

non ho mai creduto nella colpevolezza,

come i post che non si possono cancellare – Ak

le tue premure cambiano d’abito al mondo

sotto al sedile sei ancora più bella

che davanti ai tuoi baci.

===

poesia leninista

in considerazione del fatto

che alle 07:00 bisogna pur sempre andare a dormire

questo “Che fare” ha un tempo finito

per essere fatto.

 

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Da INVERNI propongo Bologna Centrale, un testo breve che riporta con grande potenza espressiva al ricordo dell’impunita strage del 2 agosto 1980:

Bologna Centrale

underground ormai

è sinonimo di Eurostar

o di guerra parallela;

ma chi ha bisogno di incorporare pace

trattiene il respiro

contro un orologio

un’ora esatta dopo

gli ultimi versi della storia

 

Chiude la raccolta Scalene, sintesi potente del paesaggio interiore del poeta. Sono versi che racchiudono le lotte, gli amori, le illusioni, i dolori delle tante stagioni di una vita vissuta con l’unica infreddolita certezza, che su quel che è stato fatto non si può mai più tornare.

scalene

scalare in quarta

al momento del decollo;

se ti viene da ruttare

devi smettere di pensare.

finché senti senza elaborare

sei puro come il bimbo

che gli anni hanno stuprato.

la verità di ogni adolescenza

– più vera della scienza –

è non portare a compimento

nessuna teoria:

il ponte stecchito

fra le braccia della sera

sotto il rivo nella neve

si è fatto ormai torrente.

beata pienezza

che sgorga mattutina

sopra campi di ricordi,

portando a sé detriti

dell’immaturità

se nel delta di quel che è stato fatto

resta sale di quello che è da fare.

– aironi increspano desideri nel vento

e storni come mani

sui vitigni addormentati.

mentre il sole nel meriggio

non sa che giorno è

(quella notte la nebbia

diradava la montagna).

una luce restò accesa

socchiusa a pianoterra,

il fuoco che ti era domandato –

nel buio il mistero innominato

che trasforma il sonno in sazietà.

boschi inalano in silenzio

i fumi all’imbrunire,

condensando come pelle

screpolata sopra al fiume.

i cieli issano le vele –

e si infrangono nei frangiflutti

dei tuoi occhi.

una stella infreddolita

vi si spegne a intermittenza;

prende il largo nel silenzio

verso albe clandestine…

le correnti affogheranno i nostri corpi,

aggrappati ad una riva di dolore;

estuario

di un amplesso ribaltato

poi nel mare la certezza senza nome

che su quel che è stato fatto non si può mai più tornare

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Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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