SETTE PAIA DI SCARPE HO CONSUMATE… ovvero addomesticare* l’impossibile (Marina Mazzolani)

Foto12

 

 

Metti una Rete di gruppi teatrali insistenti in un territorio vasto come quello di una provincia, anche se ora non si chiama più Provincia ma Città Metropolitana, metti che quindi possano anche essere in tanti, ovvero oltre la ventina, metti che qualcuno arrivi un giorno e dica: facciamo uno spettacolo tutti assieme? In realtà che fossero tanti o fossero pochi, non importerebbe, e nemmeno importerebbe molto se si conoscessero, anche bene, e se avessero già collaborato tra loro: ovunque e in qualsiasi ambito del teatro (per attenerci soltanto al teatro) le risposte sarebbero variazioni sul tema del NO.

Non è possibile, non ne risulterebbe un tutto armonico, non questo, non quest’altro… per mille diverse e ragionevolissime ragioni, di forma, di contenuto, tecniche, poetiche… Vincerebbe il fronte dei NO.

È così. È così.

E così, infatti, è partita.

Ma poi è nato “Sette paia di scarpe ho consumate…”, dopo una gestazione di 9 mesi o giù di lì (bisogna sempre suscitare e poi alimentare il mito, ad ogni occasione di nuovo racconto, quando si riconosca la natura eccezionale di un fatto), ovvero è nata, in teatro, una-cosa-che-non-c’è.

È nata all’interno di un festival, che si chiama “DDT – Diversi Dirompenti Teatri”, alla settima edizione, ideato e organizzato dall’Associazione ExtraVagantis, e replicherà a Bologna, il 24 e 25 settembre prossimi, in dialogo con uno spazio completamente diverso da quello del debutto.

Nel pieghevole per Imola si legge:

Le scarpe sono quelle del “cammina, cammina…” di fiabe che alludono ai lontani versi carducciani, consumate in viaggi d’iniziazione, in avventure con donatori magici e orridi mostri guardiani, in prove straordinarie… le scarpe sono quelle, sempre fuori misura, quando pure ci sono, dei migranti… le scarpe sono babbucce, infradito, scarpine di vetro, zoccoli, stivali dalle sette leghe, scarponi di soldati… le scarpe sono quelle in mucchi nei lager nazisti… sono quelle dei primi passi conservate nei cassetti… le scarpe dicono di noi, dei nostri cammini, faticosi o lievi, controvento, col vento in poppa, dritti o storti, delle nostre mete, reali o immaginate, dei nostri sogni, delle nostre ricerche, delle soste, delle nostre tenaci resistenze… Queste ed altre suggestioni alimentano Sette paia di scarpe ho consumate…”, azione teatrale plurale, per pubblico itinerante. A realizzarla sono 11 diversi gruppi teatrali e un gruppo musicale appartenenti alla Rete dei Teatri Solidali della Città Metropolitana di Bologna (www.teatrisolidali.it): in un unico impianto drammaturgico, ma in una successione di performance, si mostrano le diverse poetiche, le differenti pratiche e regie di gruppi accomunati dal lavoro teatrale sui temi delle differenze, dell’inclusione e del disagio sociale. L’azione si sviluppa in un itinerario tra diverse stazioni teatrali, al chiuso e all’aperto, che il pubblico segue, accompagnato da attori e musici.

Non c’è molto di più da dire, se non che a settembre sarà interessante la sperimentazione di questo itinerario, di questa narrazione per stazioni, in un edificio storico restaurato al grezzo, occupando tipologie architettoniche diversificate, dal portico sulla strada a una chiesa, a sale di varie dimensioni, al cortile interno, in pratica l’intero piano terra.

Da dire, ora, per La macchina sognante, c’è questa segnalazione dell’avvenuta realizzazione di un’idea “impossibile” e, nello specifico drammaturgico, la nota tecnica di aver potuto dar vita ad un unicum che, pur tutelando e valorizzando la diversità dei differenti gruppi, del loro diverso approccio al teatro e dei diversi risultati teatrali, ha la compiutezza, la solidità, l’armonia, la fluidità di un’unica opera. E questo in assenza di un ruolo di regia, o anche solo di coordinatore dell’insieme.

Foto4

La necessità di base era quella di dare valore alla diversità delle ricerche teatrali accorpate sotto la definizione di “Rete dei Teatri Solidali della Città Metropolitana di Bologna” e, quindi, all’interno di questa diversità, anche quella delle differenti drammaturgie. La necessità però era anche quella di dotarsi di una scrittura drammaturgica specifica per questa operazione, per questa idea, ovvero che diventasse “contenuto da raccontare” il racconto stesso. Così come Amleto racconta la storia di un figlio che deve prendere atto del turpe assassinio del padre… ecc.… così come Macbeth è un racconto di ambizione, delitto… ecc…. così qui si doveva raccontare, e giustificare così drammaturgicamente, il viaggio (fisico oltre che, ovviamente, emotivo) del pubblico attraverso diversi “ambienti” teatrali, attraverso diverse storie, diverse sollecitazioni, in contatto con attori con corpi e voci anche molto (molto) lontani da quelli che calcano i palcoscenici dei cartelloni per gli abbonati.

Come si è fatto, quindi?

Foto5Foto6Foto7Foto8

Si potrebbe dire che ci si è dotati di un espediente, quello di aggiungere una parte di drammaturgia, dedicata proprio a rispondere a queste necessità. Ecco, allora, che uno dei gruppi teatrali ha assunto il compito di rappresentare drammaturgicamente il collegamento, i contenuti, di rispondere alle domande che molto probabilmente il pubblico si sarebbe fatto, accompagnare lo stesso alla comprensione del meccanismo, rendendolo “docile all’insolito”, anzi, mutandolo in complice, in orgoglioso partecipante di un’esperienza innovativa.

Tant’è vero che al debutto, il pubblico viandante, dopo due ore e mezza di cammino, con possibilità di qualche seduta in alcune stazioni, appositamente interrogato, in qualità di cavia di insolito esperimento, appunto, ha dichiarato di non “aver fatto fatica”, che “il tempo era volato”.

Foto10

Il testo di questa azione teatrale è stato, alla fine, la somma dei testi delle azioni presentate da ciascun gruppo nelle varie stazioni più un nuovo testo costituito da un’introduzione iniziale e da alcune parti interne al racconto. Da segnalare la possibilità, calcolata e pattuita, come elemento caratterizzante l’esperimento, che, tenendo fissa la parte introduttiva, si potesse, all’occorrenza, combinare diversamente il percorso, quindi mutare l’ordine di successione delle performance, e di conseguenza la dislocazione delle parti interne di “raccordo”. Così infatti avverrà a Bologna: la successione delle performance non sarà la stessa di Imola. Altro “spericolato” elemento aggiunto ai patti comuni, caratterizzante l’esperimento, è la possibilità di sottrarre stazioni, quindi di presentare “Sette paia di scarpe ho consumate…” in versioni con numero diverso di gruppi partecipanti. Anche questo accadrà a Bologna.

Esempio, in sostanza, di… (come definirla? Drammaturgia aperta significa un’altra cosa…) “drammaturgia componibile e/o adattabile”, il testo scaturito, è, e rimarrà, pur con sussulti interni, racconto di un viaggio e dei “perché” del viaggio stesso, delle motivazioni di questa “strana cosa”; drammaturgia comprensiva di dialogo diretto con il pubblico, che ricorre, nelle parti di raccordo, di passaggio, alle tecniche e ai generi teatrali, improvvisazione compresa, che risultano più utili per questo compito. Così alcuni personaggi, un po’ servi di scena, un po’ maschere (quelli che indicano i posti a teatro), un po’ cialtroni un po’ guitti, in un rapporto col pubblico tendenzialmente di complicità, ma anche a volte di rude “smistamento”, organizzazione, deportazione… accennando quindi, però non sviluppando, cioè evocando, vari possibili viaggi di cammino collettivo verso direzioni anche molto cupe, costituiscono il legame tra le diverse diversità, giustificandole, annunciandole, introducendole, valorizzandole. I “portatori”, stabiliscono un rapporto fisicamente strettissimo con il pubblico (calcolandone i corpi reali, permettendosi il contatto, a volte), ma poi lo lasciano ai rovelli delle domande sui collegamenti, oppure alla risoluzione del convincersi della loro inutilità (in questo specifico caso), consegnandolo a lievi ma anche forti emozioni, alla commozione e alle fatiche, reali, del camminare, del rimanere in piedi a guardare, ad ascoltare, di condividere un cammino con vari sconosciuti – tra il pubblico e in scena -, in una situazione che perviene alla complicità, allo scambio, come di condivisione di un mistero.

Foto11

 

Misteriosa (ma non poi tanto…) è la forza del teatro, che ti sbatte in faccia l’artificio e che conta sulla volontà (necessità?) del pubblico di credere, se condotto ad arte, nel falso come vero.

Se volessimo, potremmo a questo punto scrivere per pagine e pagine (se pagine ci fossero, nel mondo virtuale dei contenitori di scrittura in rete), dotarci di paroloni a scopo definitorio e catalogatorio, per questo inedito “teatro-che-non-c’è”, ma non ci penso nemmeno, io mi fermo qui. Per ora, quindi, queste note, contando, per il numero di ottobre, o per quello successivo, di raccogliere specifici approfondimenti, andando a vedere più da vicino sia l’esperimento collettivo, “Sette paia di scarpe ho consumate…”, sia i contributi delle singole realtà teatrali a questo progetto comune.

Ricordo in conclusione l’appuntamento a Bologna, in Via d’Azeglio n. 41 (presso il complesso detto “i Bastardini”), alle ore 18 e alle ore 21 di sabato 24 e domenica 25 settembre.

INGRESSO LIBERO

Le rappresentazioni sono confermate anche in caso di pioggia. Prenotazione obbligatoria: massimo di 50 persone a replica.

Info e prenotazioni:  Cell.: 3392294412, Email:  extravagantis.teatrointegrato@gmail.com

 Con la partecipazione di:

Amorevole Compagnia Pneumatica, Crexida, ExtraVagantis, Fortemente, Gruppo di Lettura San Vitale, Gruppo Elettrogeno, Il Campanile dei ragazzi, Magnifico Teatrino Errante, Medinsud, Teatro del Pratello, Teatro delle Temperie, Tra un atto e l’altro, Zoè Teatri

e il supporto organizzativo del Teatro dell’Argine

Foto13

 

Foto14

 

 

 

Domenica 25 settembre è inoltre previsto un workshop teorico-pratico, sempre proposto dalla Rete dei Teatri Solidali della Città Metropolitana di Bologna (www.teatrisolidali.it), rivolto ad operatori teatrali e socio-sanitari, educatori, docenti, studenti universitari, aderenti ad associazioni di promozione sociale e di volontariato del territorio e a tutte le persone interessate.

Occasione di accostamento a metodologie, poetiche, percorsi di lavoro della Rete dei Teatri Solidali della Città Metropolitana di Bologna, esperienze teatrali accomunate dalla ricerca sui linguaggi del teatro, dalla sperimentazione delle valenze del teatro in laboratorio e delle ricadute della pratica teatrale sulle persone e sulla comunità.

Il workshop intende mostrare:

  1. come il teatro possa fornire strumenti per la relazione, anche in situazioni di disagio, come possa diventare occasione di espressione di temi ed emozioni che altrimenti potrebbero risultare inesprimibili, come nel teatro ci si possa riconoscere nella natura comune e nella diversità risultante dall’irripetibile unicità degli esseri umani, come nel teatro si possa giocare “per finta” la vita vera;
  2. la vivacità artistica in termini di innovazione, di sperimentazione sui linguaggi, di un teatro che diventa incontro, esperienza umana collettiva, e, pur scontando pregiudizi e spesso lontano dal pubblico degli abbonati, in realtà pienamente recupera ed esalta il valore e il ruolo sociale stesso del teatro “… il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta.” (Shakespeare, Amleto, atto III, scena II).

Minimo 8, massimo 30 partecipanti

Info e adesioni: vedi sopra.

   Foto15 Foto16

*Che cosa vuol dire addomesticare?

È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami

(A. de SaintExupéry)

Foto17

LogoCC Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Tutte le fotografie sono di Alessandro Zanini.

Riguardo il macchinista

Marina Mazzolani

Marina Mazzolani Vive a Imola. Laureata in Architettura a Venezia, si occupa di teatro dal 1977. E’ attrice, regista, drammaturga, ideatrice e organizzatrice di eventi culturali, direttore artistico. Scrive poesie e altro. Progetta azioni e percorsi teatrali ed artistici con forti valenze sociali, come induttori di movimento (motus contra status quo). Collabora o partecipa a progetti di altri.

Pagina archivio del macchinista