È piacevole il suono del Noi
Così tanto da usarlo, il noi.
senza ritegno alcuno
nel giustificare atti e fatti,
che a volte vanno oltre l’orrore.
Il noi è il plotone di esecuzione;
dieci fucili per un corpo.
Dieci pallottole per togliere una vita.
Il Noi toglie il rimorso. Giustifica il male.
Noi dell’Italia.
Noi del Sud.
Noi Maliani.
Noi Africani.
Si perde la propria identità
per l’interesse di un gruppo
Poiché il proprio essere si percepisce
come inadatto, piccolo.
La paura spinge all’alleanza.
Fa abbandonare parte di se stessi
per potersi ricongiungere in un tutto
che non capiamo appieno,
ma di cui godiamo.
Godiamo, per la sensazione di insieme
che ci procura e, dunque, di forza.
Noi, che viviamo, siamo.
Esistiamo.
Noi, non siamo diversi da voi.
Respiriamo, abbiamo progetti.
Vorremmo essere felici.
Noi siamo come voi
e vediamo voi come noi,
chiunque siate.
Noi, siamo il popolo della terra.
Uomini, donne e bambini.
Adulti ed anziani. E non abbiamo muri, ma cuori.
Le belle persone
“Ho sempre pensato che le ‘belle’ persone
non siano né facili né scontate.
Le belle persone non sono
nemmeno per tutti, perché non si fanno attraversare da tutti
e nemmeno tutti sono in grado di farlo.
Le immagino come una rosa.
Non le puoi raggiungere sentendo
solo il profumo o ammirandone i colori.
Non le conosceresti mai a fondo.
Le belle persone spesso hanno passati
ingombranti, la pelle graffiata.
Per arrivare al cuore
devi passare dalle spine.
Graffiarti, mischiare il sangue,
asciugare le lacrime che bagnano il cuore,
scambiarci la pelle, l’odore.
Sono infatti convinto
che le belle persone non profumano.
Le belle persone lasciano segni.
Graffiano.”
Gaza
A Gaza
i bambini nascono senza diritti.
A Gaza
si dorme con l’eco delle pallottole.
Il fracasso delle bombe.
A Gaza,
non ci sono incubi
è essa stessa un incubo.
A Gaza,
i vecchi sono rari.
E noi tutti,
con la nostra indifferenza
siamo i nemici di Gaza.
E Gaza,
forte della nostra assenza,
non fa altro che allargarsi al mondo.
Gaza,
poggia su di una striscia di terra
che non trema.
Il terremoto qui si chiama Israele.
Restiamo umani.
I figli costretti
L’occidente costringe i figli dell’Africa
a scegliere tra tre viaggi.
Il più veloce e sicuro.
Quello provocato dalle pallottole micidiali
e dalle bombe fabbricate da mani straniere.
Poi quello lento ed asfissiante
della fame e della malattia.
Che lascia la pelle sulle ossa.
E rende anche i raggi del sole
un peso sulle spalle.
Infine c’é il deserto e il mare.
Dove le probabilità,
un poco,
sono più alte.
Dio nel mio sonno
Ho incontrato Dio nel sonno.
Mi ha chiesto cosa mi premesse nel mondo.
Un desiderio intimo,
una richiesta da esaudire.
Uguaglianza ho risposto.
Mi guardò malinconico e mi disse.
Per ciò, dovrei mettermi alla pari con voi,
perché ogni uomo adorerebbe
ogni altro uomo.
Silenzio.
Silenzio.
E mentre aspettavo la risposta,
suonò la sveglia.
Non so voi, ma io lo chiamo segno divino.
Si perdono in tanti
Alcuni, per vie celesti.
Certi, per le vie della gloria.
Alcuni per vie traverse.
Molti, per vie laterali.
Si disperdono per le vie.
In una piazza chiamata terra.
Sempre più vuota di gente in cammino.
Poi ci sono quelli che si perdono in amori.
E vivono dii dolori.
Lì, da soli seduti.
In mezzo a una piazza affollata di silenzi.
Rispetto per me
Abbiate rispetto per me.
Non per il deserto,
tantomeno per il mare.
Che niente sono dinanzi alla solitudine.
Mostrate rispetto,
perché io ho lasciato tutti
e voi mi lasciate solo.
Ed in quella bolla del nessuno,
il freddo è il mio compagno,
il buio suo figlio.
Abbiate rispetto per me,
un uomo che sognava umanità
e ha trovato un carcere.
Selezione delle poesie a cura di Pina Piccolo.
Soumaila Diawara nasce nel 1988a Bamako (Mali), dove consegue la laurea in Scienze Giuridiche. Durante il periodo universitario inizia la sua esperienza politica partecipando ai movimenti studenteschi a fianco della società civile. Dopo gli studi entra nel partito di opposizione il SADI diventando leader del movimento giovanile. Viaggia in vari paesi del mondo in rappresentanza del suo partito. Ricopre ruoli importanti nella comunicazione in collaborazione con la sinistra maliana e con l’Organizzazione della Sinistra Africana. Nel 2012 è costretto ad abbandonare il Mali in seguito ad accuse politicamente motivate e si trova costretto a seguire le rotte dell’attuale fenomeno migratorio partendo dalla Libia su un gommone. Grazie al salvataggio di una nave della Marina Militare giunge in Italia nel 2014 dove ottiene la protezione internazionale ed è tuttora rifugiato politico.
Immagine in evidenza: Dipinto di Hassan Vahedi.