Il corpo dell’apostata
Non ho fatto in tempo a baciarti la fronte
Non ho fatto in tempo a baciarti la fronte,
te ne sei andato, figura persa
nel pomeriggio già bruno sul presto,
vagabondo nella spirale amena
nello zampillo, nello sgombro dell’ombra,
di palazzi nuovi di cemento.
Non ti lasciare ti prego nel niente;
la città qui si ricompone negli sozzi
riverberi di luce o tra pozze
in un autentico mattino cui scorgi
negli occhi del compagno bianco di buio.
Perdoni la mia cecità? L’irruenza
Svanita a ciuffi tra i capelli? L’amore
Che fu è ancora amore: un fitto epistolario.
Tempo d’avvento
Eri tu il messaggero di buone notizie;
il presepe da cui geme lo scandalo
dolce bruci nell’attesa, ma di cosa?
Allestisci l’albero cerimonioso,
il lezzo dell’incenso accoglie i magi
nella capanna del prodigioso.
Scivoli dolcemente nell’avvento
Come la strada svolta allo sdrucciolo.
Un arcobaleno per sciarpa attorno
al collo, un paio di scarpe vecchie:
il miracolo è compiuto, la festa
dissemina orme sul sentiero di chiese.
Poi il nulla più brucia il lucignolo
del lume impaziente che fa da cometa.
L’arrivo dei Magi.
Ascesa al piano
Salirai al piano e fuori il mondo stagna,
assente in te ogni latitudine,
ignori dove il vento fa il nido −
nei condomini la vita è protesa
verso i balconi affacciati sul nulla,
l’ora più dolce è il sabato mattina.
Quanti anni avevi allora? − il tanfo che sale,
l’odore delle cene e dei bivacchi,
la TV sempre accesa, la radio che sputa
fisime mai raccontate, guaiti
di vecchi cani imbalsamati nel pio
sonno degli infissi sbadiglianti cigolii;
là rimane molle il giardino incolto:
e alle mareggiate ti aggrappi ancora.
La morte dell’io
Come è importante avere un pensiero,
rimanere sobri convinti di sé:
importante è altrettanto smontare
quel pensiero, essere altro da un istante
prima: spesso è un crimine rimanere
immortalati sulle nostre posizioni.
Il gatto prima di avventasi sul topo
deve disegnarlo. Sulle maggesi, fasciata
dalle nubi basse, ferito sono una gazza.
Ognuno deve porre fine al suo io,
apparecchiare il lume dell’umano,
inondare di luce, se pur timida,
la stanza del suo essere al mondo.
Cappotto allo Stato
I
I giorni di gennaio sono brevi,
lucida l’aria scintilla alla luce;
a frotte i passanti sono stelle
trapuntanti il cielo della terra.
Allegri e festosi aspettano i magi
scorgono il sacro volto tra le nubi,
la luna che si apre sul vuoto
di notti e notti eguali a notti.
Tenera di sonno giace una gatta
sull’amaca dei rami spogli e neri
in un vespro inconsistente di voli:
grumo di sangue scuro e di prigione,
di ali in attesa del lungo viaggio
del batter di ciglia ed è già marzo.
II
Se dovessi morire in un giorno d’inverno,
dico in un giorno qualunque preparatemi
l’abito buono, incalzate
ai miei piedi gli stivali
di cuoio, la camicia inamidata,
infilate sul dorso da inerme,
fate che il sonno non sia eterno:
è impossibile morire per sempre?
Se dovessi nascere in un giorno d’estate,
fate che sia cerimonioso, leale
osservante della pubblica morale.
Della fine è rimasto solo il principio;
penso questo sia accaduto dell’ovvio:
allestite una fanfara di fiori bianchi.
Il sarto di San Valentino
I
Quel modo che hai di sommettere la bellezza
alla praticità dei fatti; la vita raccolta
in seno a pochi atti, alla mercé di un nodo
della sporta che ti porti.
Affidavi allora i segreti − già roridi,
lacerati da uno scoppio, dal colpo scuro −
nella stia dei polli sul convoglio virato
sul destino della strada incrociata.
Mio padre non seppe mai di emigrare,
inconsapevole, come a una gita a scuola,
attraversò l’Italia nevosa del cinquanta.
Il millennio si svela e il velo si squarcia
proprio quando spiove e acceca il sole di mezzo,
meridiano, non riscalda il mondo che riemerge:
un labirinto di scrimoli di calce e paura.
Quanto ti manca ancora? − chiedi senza accorgerti
che il viaggio dura già dalla partenza.
L’aria mossa incendia di riverberi il tedio
della città che qui risacca in un capovolto rigore
di luci nell’orizzonte pallido che sfuma;
il tedio consuma la corda dell’ingranaggio
racchiuso nella muta comprensione religiosa
della meccanica ingegneristica già allora ignota.
Il sarto prende esperienza con i dorsi,
rammenda le intercapedini della fodera con il panno
di colore; il suo essere loquace stabilisce con il filo
l’inizio della storia. Lo credevi tu? Partire adesso
è riappropriarsi del torto, un correggere
angoscioso il senso della storia e le sue parti,
correggere il copione della recita che si ripete,
comunque, un ruolo minore, quasi marginale.
Spesso il viaggio combina cimiteri di rassetti
sul tessuto tarmato: il sarto non riesce nell’intento,
il mare tradisce, la mareggiata sconnette la logica
delle boe disseminate in avviso ai pescherecci
già poveri; apparecchiata sulle onde di lampade
la triste paranza.
Un fastidio di smanie impigrisce le dita
sulla correzione detta la pausa al sarto indeciso:
l’io è disintegrato. Tu adesso con il solo battere
delle ali, all’interno della stia, fendi cieco il muro
cancellata; tieni a te i remi della barca
che non conosce la sua rotta.
Fu nelle vesti di un cappottino bianco,
raccolte le poche cose, che il distacco avvenne
sul convoglio verso il nord, nell’altro lembo
dell’Italia non capita; nessuno, l’altro non parla
la tua lingua, il suo insipido dialetto.
Il sarto sa poco della storia, rapido mette in piedi
la controfigura, le indossa la giacchetta, il lavoro
non finito, ne misura la salute con il solo tatto,
il dopo è già steso sul tavolo, tra i lembi grezzi.
Spesso il sarto deve vestire i morti – sa che nulla
è impossibile per l’eterno − immagina il destino
delle controfigure, l’annullarsi
della decomposizione nel buio severo
di una intercapedine.
Ma la bellezza non può essere spauracchio,
col becco biondo senza denti – l’universo
mammifero è un prodigio per pochi − fora
il pugno di luce, la fame prossima di essa
ne detta il trionfo e tu non ti arrendi vittorioso.
Iuri Lombardi, Firenze 1979, poeta, scrittore, saggista, drammaturgo. Ha pubblicato per la narrativa i romanzi: Briganti e Saltimbanchi, Contando i nostri passi, La sensualità dell’erba, Il cristo disubbidiente, Mezzogiorno di luna. Per la Poesia: La Somma dei giorni, Black out, Il condominio impossibile; lo zoo di Gioele, La religione del corpo come racconti: Il grande bluff, la camicia di Sardanapalo, I racconti. Per la saggistica: l’apostolo dell’eresia. Per il teatro: La spogliazione, Soqquadro. Vive a Firenze. Dopo essere stato editore, approda con altri compagni nella fondazione di Yawp – l’urlo barbarico.
Foto dell’autore a cura di Iuri Lombardi.
Immagine in evidenza: Foto di Tracy Allen.