SCRITTI MINORI, a cura di Reginaldo Cerolini

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È così riposante -talvolta- essere minori, come il correlativo oggettivo dell’esistenza senza valore, per poter così, si fa per dire, venire trovati come fiori rari o diffusi -del resto è un’eventualità che oscilla fra la capacità di osservare e l’avidità mercenaria delle mani- perché può darsi che questo evento sia un incontro e putacaso fecondo. Reciprocità nell’anonimato rivelato? Chissà…

Mi stupiscono sempre nella vita, come nella cultura, gli inediti ed i dimenticati. Come quando guardi un’amica che conosci da una vita e lei presenta un’espressione del viso, un tono della voce, un guizzo degli occhi che non conoscevi e che ovviamente non sai affatto codificare. Ecco quello è un inedito ma se non lo curi e non lo condividi scompare. L’inedito accade quando vedendo un film rimango colpito da un’inezia, o un particolare che poi diventa vitale (forse perché lo voglio) e guarda caso corrisponde con qualcosa di me che ignoravo. Succede con le musiche, anche di chi non pubblica sulla piazza di YouTube, per cui il sound e la costruzione ritmica mi fanno esplodere di commozione, gioia o mi invogliano a ballare. Mi succede quando tra i grandi nomi della poesia, della letteratura, della filosofia, del pensiero o del teatro gli autori che tutto mi dicono della vita e di me, scontano l’anonimato. Succede anche con persone che conosco o solo incontro con o senza pedigree culturali, passe-partout sociali o etichette marcate quando in una frase, in un gesto rivelano la precisione della loro vasta umanità. Ho però idea che ad essere minori o a esserlo per grande parte della nostra vita si sia in molti, che tocchi a molti o quasi essere per lo più dimenticati.

Esiste nella letteratura italiana un libro intenso, come fu Io speriamo che me la cavo che, ha per me una forza rigenerativa invidiabile. È un libro che parlando di bambini si rivolge a tutti. È un libro minore, edito, di cui non so i risvolti sociali. Come me avrà colpito qualche amica, fratello, cugina, genitore, maestro, sindaco, educatrice, qualche senatore? Non so, ma letto ormai 8 anni fa non ha mancato in tanti momenti della vita di farmi pensare alla sua eredità.

Il titolo è magnifico Guarda che prima o poi dio si stancherà di te di Patrizia Caffiero[1]. Come dicevo parla di bambini, e in special modo segnala la presenza nelle scuole italiane anche dei figli di migranti. Forse per questo è un libro minore, dimenticato. Caffiero, racconta la vita di un’educatrice ‘senza qualifica’ nelle scuole elementari della periferia bolognese.  Oggi vale la pena ricordarlo.

Di seguito qualche pagina:

 

 

PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Hassan, 6 anni (Kossovo)

Hassan sta dormendo appoggiato al banco.

Ad un certo punto noto una macchia d’acqua che scende come un fiumiciattolo sulla manica del grembiule dove ha posato la testa. Lo tiro su: sta piangendo in silenzio da almeno un quarto d’ora, a giudicare da come è bagnato di lacrime e sommerso in un muco giallastro.

 

Luca, 6 anni (Italia)

 

Luca, caschetto biondo occhi azzurri entra in classe con sicurezza. Si guarda intorno come un capitano quando ispeziona la sua nave. Annuisce soddisfatto. Individua in pochi secondi i banchi dove i grandi fanno i giochi più interessanti. Si unisce al gruppo.

 

Ayman, 10 anni (Marocco)

 

Mi guarda con sfida. Poi mostra il dito medio e lo tiene alzato verso di me.

 

IO- Ok, Ayman. Dovrei scandalizzarmi adesso?

 

Fatima, 7 anni (Kossovo)

 

Fatima sale sui banchi e ci cammina sopra, saltando da uno all’altro. Picchia gli altri bambini. Sputa. Quando è rimproverata ride. È carina, con le trecce castane, il corpo sottile e la pelle olivastra, gli occhi grandi e maliziosi. Una grazia naturale nei movimenti.

 

Viola, 7 anni (Albania)

 

Viola sembra la giovane protagonista di un film horror: bionda, bella, con un seducente sguardo torvo.

 

Pag. 7-9

 

 

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LA PRINCIPESSA

 

Disegno principesse, cioè ragazze con abiti lunghi, rose fra i capelli, orecchini, collane, cinture, volant, gonne a sbuffo, mantelli, fiocchi, capelli.

Le bambine di prima e di seconda si accalcano intorno a me. Sono diventata la “maestra che fa le principesse”.

Principesse di vario tipo dopo qualche giorno girano per la scuola e sono scambiate come figurine.

 

JESSICA- Maestra mi fai una principessa anche a me?

IO- Te la faccio domani. Ne ho già fatte cinque. Non sono una fabbrica di principesse.

JESSICA- Si domani me la fai per prima, me la fai vero?

CARMEN – Io la voglio con i jeans.

MARINA- Io la voglio come Raperonzolo.

FATIMA- Io voglio che le metti un ciondolo con un cuore grande.

SARAH- Io volevo la principessa come quella di Leena.

JESSICA – Non capisci che la maestra le fa tutte diverse, stupida?

 

Oggi faccio una sola leggiadra principessa abito bianco, vita sottile, collo alto su scollatura stile “Cenerentola”, ampio mantello e occhi sognanti da gazzella. Prendo con me cinque bambine per fare le fotocopie. La fotocopiatrice è dal lato opposto della scuola.

È il “gioco delle fotocopie della principessa”.

Si va marciando per il corridoio con enfasi e slancio.

Si accende la fotocopiatrice.

Si aspetta finché si riscalda.

Si preme il pulsante a turno.

Qualcuno mette la carta.

Qualcuno preleva le copie ancora tiepide.

Facciamo le fotocopie delle nostre mani più volte.

È molto presto, non c’è ancora nessuno: si può fare una corsa rumorosa per tornare all’aula.

 

Pagg. 14-15

 

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CASTAGNE

 

Non trovo Luca. Mario e Nada fanno la soffiata: è nella scuola media vicina, nel giardinetto.

Luca, con aria felice, rilassata, sta raccogliendo ai piedi di un albero alcune castagne. Il suo sacchetto è quasi pieno. Andrea e Akram lo aiutano, sono ai suoi ordini.

 

IO – Luca, sei uscito dalla scuola. Lo sai che è proibito?

LUCA (guardandomi con fierezza negli occhi) – Si.

IO – Lo sai che non si può uscire dalla scuola senza genitori?

LUCA – Si. Era bello qui però per venire a prendere le castagne.

IO – E io cosa devo fare con te?

LUCA – Mi devi dare un castigo. È giusto.

 

Mi guardo intorno: è veramente bello quel giardino, con quella temperatura fresca.

 

Pag. 17

 

 

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Abdul, 8 anni (Marocco)

Clarissa, 8 anni (Italia)

 

Per venti giorni mi mandano in III A a sostituire l’educatrice che segue un bambino “difficile”, Abdul.

I maestri spesso non utilizzano gli educatori per il motivo per cui sono stati chiamati, cioè per il sostegno dei bambini detti “certificati” e cioè con un problema d’apprendimento, i bambini chiamati anche “difficili”.

L’educatrice, allora, segue un altro bambino che è indietro con il programma, o un altro particolarmente fastidioso. A volte ne sorveglia tre o quattro insieme, quando si correggono i compiti.

In molte occasioni gli educatori non sono impegnati in niente e così restano per ore seduti dietro i banchi insieme ai bambini sulle basse seggioline a seguire le lezioni.

Mentre la scolaresca va in palestra, Antonella, la maestra della III A, mi chiede di aiutare nei compiti Clarissa e Abdul, i più “asini” della classe.

Abdul lo conosco, viene dall’Orario Lungo.

Nessuno dà mai particolare attenzione ad Abdul. Forse perché è troppo piccolo e bruttino: ha un viso magro, orecchie evidenti, la postura contratta, i modi sgarbati.

 

MAESTRA ANTONELLA – Abdul, ripeti alla maestra la sintesi del racconto che ti ho dato da leggere a casa- (in crescendo di tono, con ironia pungente) – anche se lo so che a te dispiace restare in classe a studiare. Lo so che a te interessa solo giocare a pallone, visto che non capisci niente di niente.

 

Clarissa deve trovare aggettivi e immagini da associare a una foglia che ha disegnato sul quaderno. E’ bloccata. L’atteggiamento insicuro, la mente vuota. Sa solo ripetere meccanicamente: “La foglia è verde, è verde”.

 

IO – Immaginiamo di essere una foglia: sono una foglia tenera, nata da poco, e dondolo, dondolo. Sento tutti gli odori della campagna. Il sole mi riscalda. Ma presto il gioco mi stanca: ho voglia di saltare, di volare nel cielo che vedo dal ramo che è la mia casa.

 

Restiamo un po’ in silenzio.

 

IO – E ora, Clarissa, sei una foglia: descrivimi come ti senti.

 

Clarissa resta per un po’ con gli occhi chiusi e si muove lentamente come se fosse scossa dal vento.

 

CLARISSA – Sono una foglia sul ramo e sento gli odori dei fiori nel prato sotto di me. Sono foglia grande e mi muovo piano piano.

 

Dopo qualche minuto dice, con un filo di voce:

 

CLARISSA – Io sono una foglia silenziosa.

 

Non sono del tutto sicura che possa riportarla sul quaderno degli esercizi, tanto mi sembra poetica l’immagine che ha creato.

 

IO – Io sono una foglia, e desidero soltanto volare via, esplorare il mondo, ma sono attaccata al ramo. Voglio essere libera, e un giorno finalmente con gioia sento che sto per staccarmi. Però mi accorgo nei miei ultimi istanti che questo accade solo perché sto per morire.

 

ABDUL (fulmineo) – No! Io sono una foglia e voglio volare, volare, volare, volare! Sono molto desideroso di farlo. Un giorno un bambino passa sotto l’albero dove sono attaccata. Ha in mano un palloncino che gli sfugge proprio in quel momento, e arriva fino a me. Io mi stacco dal ramo, mi poso sul palloncino e volo in alto, in alto, fino al cielo!

 

Dopo quel giorno lo chiamo il mio narratore, e gli do un bacio ogni volta per sottolinearlo.

A volte lo guardo giocare e penso che la maestra Antonella non saprà mai che Abdul è più abile di me nell’inventare storie.

 

Pag. 19-21

 

Commento introduttivo e selezione a cura di Reginaldo Cerolini.

[1]                     http://www.labalenabianca.com/author/patrizia-caffiero/ , creatrice del Festival Versinscena ha, più recentemente ha pubblicato Incredibili vite nascoste nei libri (Musicaos, 2017).

 

Immagine in evidenza: Dipinto di Hassan Vahedi.

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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