LMS continua a seguire il percorso umano e letterario di Felicia Buonomo, dopo averla ospitata nel numero 18 con la sua inchiesta giornalistico-narrativa I bambini spaccapietre – l’infanzia negata in Benin (AutAut 2020) e nel numero 19 con la sua prima raccolta di poesia Cara catastrofe (Miraggi 2020).
La poesia di Felicia con Sangue corrotto (Interno Poesia 2021) si conferma poesia corporale e materica, rappresentazione senza veli e senza fingimenti di un dolore interiore che si manifesta in superficie attraverso i lividi, le tumefazioni, le slogature. Il corpo diventa mappa parlante di esperienze, rinunce, sopraffazioni, ma soprattutto dell’accettazione del male subito.
Le parole usate hanno un peso specifico, si sedimentano lentamente, tornano in superfice inaspettatamente e non ci abbandonano più. I componimenti sono per lo più brevi, non lasciano spazio a interpretazioni o fantasie. Felicia riesce ad arrivare a colpire quella sfera di ognuno che solo la poesia può suscitare e smuovere.
L’apertura della raccolta è affidata a una frase di Guido Mazzoni (Da qualche anno le cose mi vengono addosso senza protezione) e a una breve poesia di Sandro Penna che sintetizzano in modo chiaro la poetica dei versi successivi (Fuggono i giorni lieti / lieti di bella età. / Non fuggono i divieti / alla felicità).
La raccolta si suddivide in tre sezioni. La prima sezione, Origine, contiene nella lirica che dà il titolo alla raccolta, la dichiarazione del peccato originale in quei versi siate fecondi e moltiplicatevi, dalla quale sono partite le vite del primo uomo e della prima donna e, di conseguenza, le prime sofferenze e le prime ingiustizie.
La seconda sezione, Crepa, dà immediatamente l’immagine visiva di qualcosa che si allarga ogni giorno, in modo impercettibile, ma inarrestabile. Traspare il grandissimo amore per i genitori, in particolare per la figura del padre, esempio di Uomo vero, così diverso dagli uomini che si incontrano nei rapporti pseudo amorosi con le loro patologie più o meno evidenti o sottaciute.
Infine la terza sezione, Voragine, è la caduta rovinosa dei sentimenti dentro a un precipizio in cui nulla si salva dal diventare maceria. L’ultima poesia della raccolta, Sobbalzo, lascia trasparire un flebile segnale di speranza e leggerezza: scivolo di fiducia. / Precipitare. Tagliare il vuoto / a braccia tese, il sogno reale al quale Felicia si attacca per provare ancora e nonostante tutto il male, a ritagliare nel vuoto tutto intorno nuovi sentimenti e nuove speranze.
Sangue corrotto
In principio fu il sangue corrotto
dall’alcol di A. – mio fratello. Siate
fecondi e moltiplicatevi, la
maledizione. Mamma e la paura:
«Ho in me i geni della violenza».
Si pensa come rea mai confessa
Staffetta
Passato – scrivere è decimarlo,
dicono – carne andata a male.
Io lo faccio per tenerlo in vita.
Anche voi, che all’addio altrui dite:
«Qua, figlia mia, si muore ogni giorno».
Vi perdono la staffetta-dolore,
corro sempre fuori allentamento.
Comprendetemi, se non mi affanno
a tenere la vita tra le braccia.
Tutto passa
Passo al setaccio i puntuali dolori
filtrandone la consistenza appiccicosa,
aderenza antropomorfa del loro agire.
Ho guardato al di sotto del ponte
più volte di quante ne ho detto.
E tu mi dici: «Non piangere,
nella vita tutto passa».
Merletto
Babbo c’è un assassino,
non lo fare bussare
Babbo c’è un indovino,
non lo fare parlare […]
E c’è un forte rumore di niente.
Francesco De Gregori
«Aspetto papà», ha detto. Aveva
quattro anni, due di chemioterapia.
Papà, due di immotivati sensi di colpa.
Era mia sorella. Se n’è andata tra le lenzuola
con il merletto in pizzo di mamma, che ha scelto
la morte per aprire il corredo avuto in dote.
«Non è stata la malattia a portarsela via»,
dice papà. «Non ho saputo proteggerla».
Papà si crede Dio, che di vita e morte decide.
Taglio
Un taglio nella parte interna del pollice
di tanto in tanto vibra
quando mi avvicino alla porta
che mi separa da questo inferno.
Pulsa come la vita sostare
sulla soglia. Anche oggi rimango.
Banco dei pegni
Ho imparato a piangere gli anni umidi e assenti.
Parola, vi dico, ha ritmo di ingiurie non volute.
Ma non abbiamo colpa da portare al banco dei pegni,
da cedere per un pugno piccolo di vita.
Aggrappata alla speranza che abbandona vi nascondo
che il destino non muta. Solo chi punisce è cambiato.
Non ho mai saputo distinguere tra dio e il suo opposto.
Spina in gola
Appuntamento con la morte:
guardarmi senza l’ausilio delle mani.
Si fa mercificazione del cuore umano
questo avermi senza sentire.
Ho prenotato l’ultimo viaggio.
Gratta la spina in gola
dell’esserci senza noi.
Settanta volte sette
Sono tua da quando i pugni chiusi
da simbolo di nascita
sono diventati sequenza
di silenzi.
Sono tornata a morire.
Ho rinnegato me
e il nome-promessa.
Ti ho già perdonato
fino a settanta volte sette
Ostia
Non è leggerezza di fiore questa condanna.
Come un masticare di ostia che chiede redenzione.
Si scioglie in fretta, taglia il tempo necessario
a passare in rassegna l’elenco dei peccati
che mi getti addosso. Eppure sarei dovuta partire,
lanciarmi vuota nella libertà che pesa. Non aspettare
una benedizione, un segno di croce che allarghi
alla vita. Eppure rimango, mi punisco, mi rinnego.
Potrei silenziarmi, ma canto un urlo. Tu non senti.
Intonaco
Ho passato l’intonaco
sul muro della mia ostinazione.
Come faceva papà d’estate
quando la casa diventava
bianca e velata.
E tu
sembri non farmi più male.
Alleluia
Malata, ma non di te. Preghiera di speranza,
sussulto di futuro. Tocco le maniche imbuto
con leggerezza di gazza in cerca di un luccichio
da rubare. Violo il silenzio-vendetta che mi spedisci
deformando un Alleluia di chiesa senza fedeli.
Cerco un motivo per ricevere gratitudine di Dio.
Supplico vostro Signore: malata, ma non di te.
Faro
A Michela Zanarella
Vago tra le luci, i tuoi soli,
i cieli, la voce gentile.
Sei bagliore di una speranza
a cui da sempre rinuncio.
Imparerei da te
l’attaccamento alla vita
se non fossi nata
sotto il segno della resa.
Abbandono le marcescenti
viscere per comprendere.
Le tue parole a farmi da faro:
«Amo la poesia quanto la vita».
Provo.
Approvazione
Il banco alimentare ha esaurito la carne.
Ho sorrisi, pose plastiche, entusiasmi facili.
Tutto a buon mercato. Manca la verità.
Ma a chi importa?
E allora pose, allusioni, battute, cuori,
risate, pollici. Precipito nell’approvazione.
E nessuno che si accorga e domandi:
«A quale tristezza sei votata al momento? »
Sobbalzo
Forzare la terra delle attese
bambine azzerate e vedere.
Strapiombo, soccorso inesaudito,
sobbalzo che manca la decisione.
Trovarla in scivolo di fiducia.
Precipitare. Tagliare il vuoto
a braccia tese, il sogno reale.
Felicia Buonomo è giornalista e autrice. Nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog letterari italiani, statunitensi e francesi. Pubblica il saggio “Pasolini profeta” (Mucchi Editore, 2011), il libro-reportage “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin” (Aut Aut Edizioni, 2020) e la raccolta poetica “Cara catastrofe” (Miraggi Edizioni, 2020). Dirige la collana di poesia sociale/civile, “Récit”, per Aut Aut Edizioni.