Ruta Dos di Daniel Calabrese

2.

 

LA DELICATA DISTRUZIONE E I CERCATORI

lungo la Ruta Dos di Daniel Calabrese

 

 

 

 

Selezione e introduzione di Lucia Cupertino
Traduzioni di Alessio Brandolini da
Ruta Dos, Edizioni Fili d’Aquilone, 2015

Poco più di un anno fa qualcuno ha bussato alla mia porta per recapitarmi un pacco proveniente dal Cile, piuttosto eccitata l’ho scartato e, sin dalle prime pagine, mi sono ritrovata immersa nella geografia originaria di Ruta Dos del poeta argentino Daniel Calabrese. Qualche mese dopo, ho avuto il piacere di leggere il dattiloscritto della traduzione di Alessio Brandolini e vedere poco a poco svezzato il volume con le traduzioni italiane.

Un libro davvero prezioso che incastona un doppio viaggio. Infatti, come sostiene Brandolini nelle pagine di Fili d’Aquilone (n.34, luglio-settembre 2014):“si divide in due ampie sezioni: Primo e Secondo Tratto, a marcare un viaggio, un lungo percorso. Il titolo è bisenso e gioca con due concetti differenti. Da una parte quello della memoria, e la Ruta Nacional 2 (oggi Autovía 2) è in effetti una strada reale che passa accanto a Dolores (Argentina), il paese dove è nato e cresciuto l’autore; dall’altra suggerisce un’alternativa al percorso comune, abituale o predestinato, la scelta di una cammino più complesso che non esclude la visione mistica.”

Ruta Dos è il sentiero tracciato e tracciabile, la storia nel suo dispiegamento lineare e prevedibile e allo stesso tempo come dischiudersi di una gamma di possibili deviazioni, svolte, biforcazioni conducenti a itinerari e destini paralleli. Daniel Calabrese ci presenta dunque un resoconto in versi di questo ammirevole tentativo di aprire uno squarcio di lucidità al margine del caos, di quella strada (più reale che fantastica) che collega paesi spesso troppo provinciali e che vomita rumori per coprire da una parte le sonorità più impercettibili e profonde della natura e dall’altra la consapevolezza dell’agghiacciante avanzata del progresso, come anche di quella strada parallela (più fantastica che reale) che si apre dentro di noi ed è una possibile luce di speranza e rinascita umanistica e planetaria, nata e alimentata lontano dai clamori ma solida in quanto getta l’ancora nella coscienza del soggetto.

Questa raccolta ha il particolare pregio di non essere solo un’attenta e ironica descrizione del tempo storico in cui vive il poeta ma anche, in punta di piedi e senza cedere mai a facili ottimismi, lo svelamento di una prospettiva di transizione verso il cambiamento.

Ma prima di fare il salto, con occhi e mente lucidi, bisogna riconoscere la rovina nella sua gravità, come punto di non ritorno. A questo è riconducibile lo scenario di demolizione che si va profilando in tutta la raccolta, fino a far sentire al poeta che è sul punto di crollare “il sostegno numerico dell’universo” e, in Specie, che gli esseri umani odierni nascondono sotto spoglie perfette disincarnati esseri di un mondo in sfacelo, spettri o ancor peggio “animali sordi. / Animali che bevono e mangiano / per prolungare la propria esistenza”. Non basta neppure un nuovo demiurgo per riparare questo mondo, è chiarissimo in questi versi: “Che costruirai, architetto? / Quale cosa imperfetta? / Crolla. […] perché non basta costruire un sostegno che / (più o meno) sostenga. / Quella parete crolla senza contemplazioni. /E crolla”.

Come si potrà mai tornare a costruire? In Opera, il poeta argentino passa in rassegna i materiali per una nuova costruzione e il più solido risulta essere quello che, tra quelli elencati, a prima vista non lo sembrerebbe affatto: la luce. Nella poesia l’insistere sulla parola concreto è estremamente significativo. Il termine in spagnolo è ambivalente in quanto non sta ad indicare solo qualcosa di opposto all’astratto ma anche il calcestruzzo. Un chiarore interiore è ciò che si pensa andrà a cementificare una nuova tappa per la quale sono necessarie persone animate da nuove curiosità, domande, disposte a seguire un itinerario diverso da quello dato.

Sono questi i “cercatori” di Daniel Calabrese, neologismo centrale della raccolta.

A differenza della cagna che li accompagna, tutta chiusa nella sua “paura di perdere il suo posto al mondo, / preferisce la vita perfetta davanti a una casa di cemento, / dentro una sfera chiusa di ombre e odori, / perché al di là di quei confini / inizia l’abbandono”, i due cercatori “Dopo tanti secoli domandando” si spogliano di timori e tare per avventurarsi nel bosco, già lontani quindi dal brusio della Ruta Dos reale e ben incamminati sulla Ruta Dos, ormai più figurabile che fantastica. In questa parte, la raccolta poetica è popolata di alberi che, a tendere l’orecchio, si scoprono parlare tra di loro, vendicarsi delle malefatte degli uomini. I loro messaggi sono intellegibili al cercatore (“Loro sanno che li capisco”), si tratta di gettare le basi per un dialogo interrotto, così da sancire una nuova alleanza e nuovi equilibri. Impalpabili però concreti.

copertina Ruta DosCalabrese Daniel


 

I SUONI INUDIBILI

Tenemmo acceso il microfono
tutta la notte in un bosco desolato.

Il giorno dopo facemmo scorrere la registrazione
e udimmo solo un soffio.
Era come il vento metallico
d’uno sterile pianeta.

La riascoltammo velocemente.
Allora captammo dei rumori leggeri
come se un dialogo tra due alberi
si espandesse dalla campagna
verso la Ruta Dos.

La facemmo correre ancora più veloce
e quei suoni germogliarono
come la conversazione tra due alberi che crescono
e se uno ascolta con attenzione,
con la testa appoggiata alla corteccia,
in alcuni momenti sembrano scricchiolare
parole come «specchio», «miraggio»,
e più lentamente parole come
«croci», «crocette»,
«tabernacolo».


 

LOS SONIDOS INAUDIBLES

Dejamos andar el micrófono
toda la noche en un bosque desolado.

Al otro día hicimos correr la grabación,
pero no se oyó más que un soplido.
Era como el viento metálico
de un planeta estéril.

La hicimos correr más rápido.
Aparecieron entonces los ruidos bajos
como si una conversación entre dos árboles
se expandiera desde el campo
hacia la Ruta Dos.

La hicimos correr más rápido aún
y los sonidos crecieron
como la conversación de dos árboles que crecen
y que si uno escucha bien,
con la cabeza apoyada en la madera,
en algún momento parecen crujir
palabras como «espejo», «espejismo»,
y muy lentamente palabras como
«cruces», «crucetas»,
«humilladero».


 

I DEMOLITI

Sorgiamo sempre dalla luce,
come i muti che si esprimono con l’ombra.

Siamo una bizzarra combinazione:
un po’ antichi e qualcosa di moderno,
in questa vita trascurata ma piena di splendori
e un interno di tappezzeria scura.

Si sentono i tipici frastuoni di una demolizione.
Trapanature, colpi, cedimenti.
C’è fumo.

Possediamo ancora una casa aperta
dove riposare e vedere l’aria nera
grattata dalle costellazioni.
Ma ascoltiamo trapanature, colpi, cedimenti.

Abituati a guardare il cielo oscuro.
Abituati a dormire con un occhio aperto,
usciamo fuori ogni giorno ma ogni giorno
il tempo si sgretola.

C’è gente che lavora, si sentono altri rumori.
C’è un tizio sull’impalcatura
che di notte rasenta il precipizio
illuminato da qualche moneta.

Prima suonavano chitarre ed orologi.
Ma da tempo gli orologi sono fermi
e si gettano via.
Demoliranno la strada, demoliranno le finestre,
la luce che entra dalle finestre,
e dopo verranno tutte quelle complicazioni.

La gru si sposta in questo paesaggio crudele ma bello,
come se una tragedia stesse sul punto di accadere.
Colpi di luce sull’acqua, sulla pietra.
Colpi alla bellezza di Dio e i cani aggressivi,
come in quelle incredibili notti greche.

(S’intensificano i colpi di martello.)

Si sente uno strepito, cede un muro
e sembra crollare il sostegno numerico dell’universo.
Al contrario, la lieve demolizione dei corpi
non si sente,
quella della strada, la maledizione dei sobborghi,
la minuta opinione delle vecchie e dei disorientati,
il giorno impertinente in cui ti colpirono, non si sente,
né i goccioloni del denso sangue,
né il tovagliolo di carta con su scritto il tuo nome,
silenziosamente, non si sente.

Ascoltate. Ascoltate bene:
fate attenzione!
udirete quelle grida sempre più fiacche.

Resta soltanto una tazza, un bicchiere, due o tre piatti.
Ieri, con le vibrazioni, è crollato un altro ripiano.

La delicata distruzione sta accadendo
proprio ora,
in questo preciso luogo.


 

 

LOS DEMOLIDOS

Aparecemos siempre desde la luz,
como los mudos que se expresan con la sombra.

Somos una combinación estrafalaria:
un poco antiguos, algo modernos,
con esta vida abandonada pero llena de brillos
y un interior de tapicerías negras.

Se oyen los ruidos propios de una demolición.
Taladros, golpes, derrumbes.
Hay humo.

Todavía nos queda una casa abierta
donde podemos dormir y ver el aire negro
raspado por las constelaciones.
Pero se oyen taladros, golpes, derrumbes.

Acostumbrados a mirar el cielo oscuro.
Acostumbrados a dormir con un ojo abierto,
estamos asomando cada día, pero cada día
el tiempo se desmorona.

Hay gente que trabaja, se oyen otros ruidos.
Hay un tipo sobre el andamio
que bordea de noche el precipicio
iluminado por unas pocas monedas.

Antes sonaban las guitarras y los relojes.
Pero hace tiempo que los relojes detenidos
se tiran a la basura.
Van a demoler la calle, a demoler las ventanas,
la luz que entra por las ventanas,
y después vendrán todas esas molestias.

La grúa operando en este paisaje cruel y hermoso,
como si una tragedia estuviera a punto de ocurrir.
Golpes de luz en el agua, en la piedra.
Golpes a la belleza del Dios y los perros violentos,
como en esas increíbles noches griegas.

(Se intensifican los golpes de martillo.)

Se oye un estruendo, cae un muro
y parece caer el soporte numérico del universo.
En cambio, la pequeña demolición de los cuerpos
no se oye,
la de la calle, la maldición de los suburbios,
la opinión chiquita de las viejas y los descaminados,
el día en que te golpearon, lenguaraz, no se oye,
ni los goterones de la sangre espesa,
ni la servilleta de papel con tu nombre escrito,
silenciosamente, no se oye.

Escuchen. Escuchen bien,
que si prestan atención
oirán esos gritos cada vez más débiles.

Queda sólo una taza, un vaso, dos o tres platos.
Ayer se vino abajo otra repisa con las vibraciones.

La delicada destrucción está pasando
justo ahora,
por este exacto lugar.


 

OPERA

Questo tipo di struttura è molto complesso.
Mai s’è costruito qualcosa di simile
e già avvertiamo la tensione per finire in tempo.

Il dio della morte continua ad accumulare morte.

Il dio delle risate continua ad accumulare risate.

Doveva essere di ferro, di tungsteno,
coi balconi scesi
come le tette d’una vecchia cagna
e con delle piante gialle messe qui,
da quella parte.

Doveva essere di niente, o forse appena
più concreto: di luce
con assenza di martellate e un supporto
che dubitiamo sublimasse la musica
e i suicidi col gas.

Non ci fu più grande amore di quello per la psichedelia,
ma arrivammo in modo scorretto,
lievemente bambini.

Il dio della paura ci ha venduto assicurazioni.

Il dio dell’assurdo continua ad ammassare gente.


 

OBRA

Esta clase de estructura es muy compleja.
Nunca se construyó algo parecido
y ya sentimos la presión por terminar a tiempo.

El dios de la muerte sigue acumulando muerte.

El dios de la risa sigue acumulando risa.

Iba a ser de hierro, de tungsteno,
con los balcones caídos
como las tetas de una perra vieja
y con algunas plantas amarillas por aquí,
por allá.

Iba a ser de nada, o tal vez apenas
más concreta: de luz
con ausencia de martillazos y un soporte
que dudamos sublimar entre la música
y los suicidios con gas.

No hubo mejor amor que el de la psicodelia,
pero llegamos a destiempo,
ligeramente niños.

El dios del miedo nos vendió los seguros.

El dios del absurdo sigue acumulando gente.


 

SPECIE

Un fiume immenso scorre in me
come se scorresse nella più ostinata profondità.

Sulle sue sponde respirano animali assetati
che si alimentano di occhi
stanchi e piccoli,
e ogni cosa a loro sembra pulita.

Il rumore si adegua,
corre per vie anguste.
Il rumore percuote le finestre,
corre anche lungo la Ruta Dos
e corre sulla piazza desolata.
Ora il rumore si fa lieve.

Animali sordi.
Animali che bevono e mangiano
per prolungare la propria esistenza.

Animali che tornano al loro misero fiume,
e ogni cosa a loro sembra pulita.


 

ESPECIE

Un río inmenso corre dentro de mí
como si corriera en la más terca profundidad.

Respiran en su orilla animales sedientos
que se alimentan de unos ojos
cansados y pequeños,
y todo les parece limpio.

El ruido se acompasa,
corre por calles estrechas.
El ruido golpea las ventanas,
corre también sobre la Ruta Dos
y corre encima de una plaza abandonada.
El ruido ahora se hace blando.

Animales sordos.
Animales que beben y comen
para alargar su vida.

Animales que vuelven a su río miserable,
y todo les parece limpio.


 

TAGLIAFUOCO

Lei torna dai suoi voli nel bosco.
S’alza la luce del sole e cancella
i sentieri già tracciati dall’ascia.

Il tutto è questa quiete.
Ci grattiamo la schiena sul recinto
come i cavalli,
parliamo della vita non corposa,
degli affaticati dal tempo,
parliamo di uccelli che mangiavano briciole
e della tristezza urbana.

L’ascia vorrebbe tagliarmi le braccia,
la lama è sporca, il manico scheggiato,
la buttiamo da una parte, tra le pietre
e ci domandiamo chi siamo.

Dopo tanti secoli domandando, lei ed io,
ci siamo trasformati in cercatori.
Suona bene: cercatori di professione,
su questo siamo d’accordo.

Ognuno di noi cerca.
La cagna cerca, l’addetto ai bagni comunali cerca,
il motociclista cerca, l’avvelenato cerca,
il bibliotecario, il rabdomante.

Lasciamo da una parte una borsa di attrezzi,
una forbice per potare e i guanti.
Gli incontratori, forse, potrebbe essere,
benché non tutti incontrino.
La cagna trova, l’addetto ai bagni comunali trova,
il motociclista, l’avvelenato trova,
il bibliotecario, talvolta il rabdomante.

E andiamo incontro
a una parola impossibile da trovare con questa ricerca.

La cagna scolorisce col vapore,
ferma lì: cagna nera, assetata,
con la lingua rosa di fuori.

La vediamo fin quando ormai non la vediamo,
perché poi decidiamo di proseguire per il sentiero
e lei non s’azzarda.
Ha paura di perdere il suo posto al mondo,
preferisce la vita perfetta davanti a una casa di cemento,
dentro una sfera chiusa di ombre e odori,
perché al di là di quei confini
inizia l’abbandono.
Già non la vediamo più, ma la sentiamo applaudire
in una pozza d’acqua con la lingua
come una pala di plastica.
Slap slap slap.

Continuiamo il viaggio per quei sentieri
che si possono percorrere solo con sospetto.
Sfioriamo spine e ragnatele,
le pietre calde e le bave di diavolo.
E anche se abbiamo voglia di dormire
perché il sole buca le nostre teste
e i sogni ci sfuggono,
andiamo avanti.

Tutto quello che accade
accade tra di noi,
come il caldo, come i suoni.

Si sentono le radici dei pini trapanare la terra.
Si sentono le dure ombre dei corpi
oltrepassare i fili di ferro e tagliarsi.
Ancora si sente la cagna,
come se divorasse zuppa in lontananza.

Si sente la strada che ronza nel fondo dell’oblio
come un’ape smarrita.

Allora vediamo la tempesta di fumo
venirci incontro
e iniziamo ad attraversare il fuoco.
Il cielo è un lago nero con un occhio insanguinato,
gli alberi s’incendiano.
La vedo stare allo stesso tempo in luoghi diversi,
mentre brucio come un giornale.
Lei, così fredda,
apre le sue braccia e mi spegne.

Ci sono altri suoni.
Il rotore d’un elicottero che schiude la cerniera dell’aria.
Il suono della pioggia che crivella il bosco.
Il sibilo del vento tra le foglie in fiamme.

E parliamo di nuovo della vita sottile,
degli assassinati dal tempo,
parliamo degli uccelli che mangiavano tristezza.
Cerchiamo la parola vera.
La troviamo, la perdiamo, di nuovo
la troviamo caduta in mezzo ai rovi,
lì dove cadde l’ascia affilata.

Infiliamo le mani in un miraggio
e già quasi la pronunciamo,
ma s’impongono i suoni prossimi alla strada
dove passano altri cercatori
e tutto quel che accade
accade tra di noi.


 

CORTAFUEGO

Ella regresa de sus vuelos por el bosque.
La luz del sol se levanta y borra
los caminos ya trazados por el hacha.

Todo es calma.
Nos rascamos la espalda en el alambrado
como los caballos,
hablamos de la vida no densa,
de los fatigados por el tiempo,
hablamos de los pájaros que se comían las migas
y de la tristeza urbana.

El hacha desea cortarme los brazos,
tiene la hoja sucia, el mango astillado,
la dejamos tirada a un costado, entre las piedras
y nos preguntamos quiénes somos.

Después de tantos siglos preguntando, ella y yo,
nos hemos convertido en buscadores.
Suena bien: buscadores de profesión,
estamos conformes con eso.

Pero cualquiera busca.
La perra busca, el aseador municipal busca,
el motociclista busca, el envenenado busca,
el bibliotecario, el zahorí.

Dejamos tirada una bolsa de herramientas,
una tijera de podar y los guantes.
Encontradores, tal vez, podría ser,
aunque no todos encuentran.
La perra encuentra, el aseador municipal encuentra,
el motociclista encuentra, el envenenado encuentra,
el bibliotecario, a veces el zahorí.

Y salimos a encontrar
una palabra imposible de hallar con esta búsqueda.

La perra destiñéndose con el humo,
parada ahí: perra negra, sedienta,
con la lengua afuera y rosada.

La vemos hasta que ya no la vemos,
porque hemos resuelto seguir por el sendero
y ella no se atreve.
Tiene miedo a perder su puesto en el mundo,
prefiere la vida exacta frente a una casa de cemento,
adentro de una esfera cerrada de sombras y olores,
porque más allá de esos bordes
comienza el abandono.
Ya no la vemos, pero se la oye aplaudir
en una poza de agua con su lengua
como con una pala de plástico.
Slap slap slap.

Seguimos viajando en esos caminos
que sólo se pueden recorrer bajo sospecha.
Rozamos las espinas, las telas de araña,
las piedras calientes, las babas del diablo.
Y aunque tenemos ganas de dormir
porque el sol agujerea nuestras cabezas
y se nos escapan los sueños,
seguimos adelante.

Todo lo que sucede
sucede entre nosotros,
como el calor, como los sonidos.

Se oye la raíz de los pinos taladrando la tierra.
Se oyen las sombras duras de los cuerpos
cuando pasan por los alambres y se cortan.
Se oye la perra, todavía,
como si tomara sopa a lo lejos.

Se oye la ruta que zumba en el fondo del olvido
y parece una abeja perdida.

Entonces vemos la tormenta de humo
que viene hacia nosotros
y empezamos a cruzar el fuego.
El cielo es un lago negro con un ojo de sangre,
los árboles se encienden.
La veo a ella, que está ahora en varios lugares a la vez,
mientras me quemo como un diario.
Ella, que es tan fría,
abre sus brazos y me apaga.

Hay otros sonidos.
El rotor de un helicóptero que abre la cremallera del aire.
El sonido de la lluvia acribillando el bosque.
El chistido del viento sobre las hojas en llamas.

Y hablamos nuevamente de la vida sutil,
de los matados por el tiempo,
hablamos de los pájaros que se comían la tristeza.
Buscamos la palabra exacta.
La encontramos, la perdemos, la volvemos
a encontrar caída entre la zarza,
ahí donde cayó el hacha cortadora.

Metemos las manos en un espejismo
y ya casi la decimos,
pero se imponen los sonidos cercanos de la ruta
donde pasan otros buscadores
y todo lo que sucede
sucede entre nosotros.


 

ARCHITETTO

Che costruirai?
Quale cosa imperfetta?

Potrebbe essere un mondo
affinché viva questa testa come vive la luce
dentro gli specchi:
questa testa non è di questa zona.

Inizierebbe da qualunque parte,
sulla riva del mare, come tanti mondi,
nel mezzo d’una piazza qualunque, nel fango,
creando un ammasso con frammenti di creta
dissotterrati dalle formiche.

Inizierebbe dalla carta argentata delle sigarette,
da quella sacra del Corano, fa lo stesso,
come i sogni di Kant, che si rivoltano per l’angoscia,
da questa voluta porcheria di celebri ingegneri,
perché non basta costruire un sostegno che
(più o meno) sostenga.

Quella parete crolla senza contemplazioni.
E crolla.

Che costruirai, architetto?
Quale cosa imperfetta?
Crolla.
Crolla, solamente.
Perché questa testa non mi appartiene.


 

ARQUITECTO

¿Qué cosa vas a construir?
¿Qué cosa imperfecta?

Podría ser un mundo
para que viva esta cabeza como vive la luz
adentro de los espejos:
esta cabeza no es de aquí.

Empezaría en cualquier parte,
a la orilla del mar, como tantos mundos,
en el medio de una plaza ordinaria, en el barro,
haciendo una masa con las piezas de greda
que desenterraron las hormigas.

Empezaría en el papel plateado de los cigarrillos,
en el papel sagrado del Corán, es lo mismo,
como los sueños de Kant, que se revuelven de angustia
en esta porquería calculada por destacados ingenieros,
porque no basta con hacer un soporte que
(más o menos) aguante.

Esa pared se cae sin contemplaciones.
Y se cae.

¿Qué vas a construir, arquitecto?
¿Qué cosa imperfecta?
Se cae.
Se cae, nomás.
Porque esta cabeza no me pertenece.


 

GLI ALBERI PARLANO DI NUOVO

Loro sanno che li capisco.
Stavano assieme da una parte del campo
e camminando
gli pestavamo l’ombra.

Loro parlano chiaramente.
Ho avuto modo di verificarlo quando ne abbatterono
uno accanto alla mia finestra.
Minacciò, prima di cadere,
che quando seppelliranno il taglialegna
uno dei loro arriverà da sotto
per estrarre tutta l’umidità della sua tomba.

Sanno che li capisco,
per questo restano muti quando passiamo.
Non parlano come Hölderlin,
nemmeno come Blake, forse
la loro voce somiglia di più a quella di Apollinaire:
impararono delle canzoni campagnole
nel mezzo d’un silenzio trapanato
dalle vespe.

Devi sentirli quando si avvicina il fuoco:
è come l’antico canto
degli schiavi nei campi di cotone.

Quella volta lo stesso taglialegna
bevve il succo che colava dalla corteccia
e dichiarò di essersi così assicurato
una buona salute per tutto l’inverno.


 

DE NUEVO HABLAN LOS ÁRBOLES

Ellos saben que los entiendo.
Estaban reunidos en un costado del campo
y al andar
les pisoteamos la sombra.

Ellos hablan bastante claro.
Lo pude averiguar cuando cortaron
uno junto a mi ventana.
Amenazó, antes de caer,
que cuando enterraran al leñador
uno de los suyos llegaría por debajo
para extraer toda la humedad de su tumba.

Saben que los entiendo,
por eso se callan cuando pasamos.
No hablan como Hölderlin,
ni siquiera como Blake, quizás
su voz se parece más a la de Apollinaire:
aprendieron algunas canciones campesinas
en el medio de un silencio agujereado
por las avispas.

Hay que oírlos cuando se acerca el fuego:
es como el antiguo canto
de los esclavos en los campos de algodón.

Aquel mismo leñador bebió el jugo
que chorreaba de la corteza, aquella vez,
y dijo asegurar con eso
la salud para todo el invierno.

 


DANIEL CALABRESE è nato in Argentina, a Dolores (provincia di Buenos Aires) nel 1962, ma da tempo vive in Cile. Ha pubblicato i libri di poesia: La faz errante (1989, Argentina, «Premio Alfonsina Storni»), Futura Ceniza (1994, Spagna), Escritura en un ladrillo (1996, Giappone, bilingue spagnolo-giapponese), Oxidario (2001, Argentina) e Ruta Dos (2013, Cile, «Premio Revista de Libros»).Ha partecipato a numerosi festival e incontri poetici internazionali. Suoi testi sono stati pubblicati su riviste e antologie di poesia ispanoamericana. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, giapponese e italiano. Ha fondato e dirige Ærea, «Annuario ispanoamericano di poesia e traduzione». È direttore delle pubblicazioni di RIL, casa editrice di Santiago del Cile.

ALESSIO BRANDOLINI è nato nel 1958 a Frascati e ha vissuto i suoi primi vent’anni a Monte Còmpatri. Vive a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne. Ha pubblicato le raccolte poetiche: L’alba a piazza Navona (in 7 poeti del Premio Montale, 1992), Divisori orientali (2002, Premio Alfonso Gatto – Opera prima), Poesie della terra (2004), Il male inconsapevole (2005), Mappe colombiane (2007), Tevere in fiamme (2008, Premio Sandro Penna) e Il fiume nel mare (2010, Finalista Premio Camaiore). Nel 2013 è uscito il libro di racconti Un bosco nel muro (Empirìa). Traduce dallo spagnolo. Organizza letture e incontri letterari, soprattutto con il gruppo I libri in testa. Ha fondato la casa editrice Edizioni Fili d’Aquilone.

 

Foto in evidenza di Lucia Cupertino

Foto dell’autore a cura di J.J. Salvador

Testi riprodotti per gentile concessione di Fili d’Aquilone.

 

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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