Recensione di “Kalahari” rap di Chukwemeka Attilio Obiarinze (di Reginaldo Cerolini)

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Kalahari

Se si dovesse pensare all’importanza dell’Hip Hop nella cultura musicale dalla fine anni 80 ad oggi, si scoprirebbe, manco a dirlo, che oltre al Jazz, al Blues, al Fado, alla Bossa Nova, così come alla musica ed ai ritmi africani, che l’impronta negra ci ha messo la sua … mano (pensavate zampa vero bastardi!!?) dando vita alla complessità della rabbia, e di conseguenza della denuncia (questa esteticamente meno interessante). Il Rap e l’Hip Hop sono una pura dialettica del correlativo oggettivo, non capisco come in 30 anni non l’abbia mai sentito dire da qualche critico!

Mi trovo sul PC la demo Kalahari di Chukwuemeka Attilio Obiarinze, in uscita sul mercato con alcune performance live fra Lombardia ed Emilia-Romagna  in marzo. Chukwuemeka, posso proprio dirlo, è un’artista.

Kalahari in generale è un album convincente per i testi, il fraseggio e il flow. Dal tratto deciso quanto più l’autore introduce il suo io nella denuncia sociale, si presenta come un album accattivante. A dire il vero l’unica mancanza di forza, è dovuta ad un uso poco originale delle basi, almeno nelle prime tre canzoni e da un’ingenua influenza della musica elettronica: un po’ diafona. In ogni modo, lasciando stare la posizione non efficace,  Primi passi è un bel testo. Qualche mancanza di rapporto fra voce, ponti e sfondo vocale rendono i primi testi poco incisivi. Gli stessi testi hanno qualche caduta visiva, nella terza traccia, dell’album, Onde Nere la frase “Porco Diaz” risulta debole laddove il gioco con Dio e i fatti  della scuola Diaz non portano con esattezza l’immagine che si vuole ricreare. Si intuisce che la sintesi ma non è esatta.  

Prenditi un momento è a sua volta un bel testo, come sancisce l’eloquente sentenza “Cazzi vostri Interpool”. Da questi primi testi capiamo che  i temi cari a Chukwuemeka sono la critica sociale (priva di moralismo, ma a tratti impersonale), l’identificazione con la marginalità, il tema della diversità razziale ed un anelito all’assoluto espresso nella compulsività con cui cita Dio o le fedi. Eppure l’autore non è ancora convincente in questo inizio, ma lo diventa subito dopo aiutato anche finalmente da un buon rapporto di musica e parole con Kalahari, testo centrale che dà il nome al progetto e alla poetica dell’autore. Qui la potenza espressiva di Chukwuemeka raggiunge tratti distintivi di autonomia artistica. E’ infatti un testo meraviglioso, anche se l’introduzione è un poco lunga. Da questo brano, escono sotto i bet frasi perfette “Siamo solo prostitute nascoste da un dio geloso”, “Bugiardo se mi vesto, indifeso se mi spoglio”. Su quest’ultima frase mi voglio fermare, perché viene cantata con studiata naturalezza, che unisce alla genuinità accorata dell’io narrante una sensualità che è puro spettacolo; probabilmente aiutata da quella vaga cadenza comasca e dalla dizione polposa con cui pronuncia “gli”. Nello stesso brano, si ripete l’anelito metafisico nella riuscita frase “Non mi connetto più con i miei dei/ c’è sempre un bastardo che ruba  il wi-fi”. Qui la tensione tra presunte e probabili divinità ancestrali (africane?), viene riportata alla stringente forza della modernità cibernetica, ma la critica geopolitica, e l’allusione implicita ad un colonialismo anche dell’intima credenza, è espressa con una ragguardevole sintesi. Ritorna poco dopo la conflittualità razziale con una felice frase, carica di realismo  da cronaca e poesia “C’è chi si ammazza per una vacca come in Ruanda”. Basterebbe questa frase per avvallare la profondità autoriale di Chukwuemeka, laddove quel vacca in senso occidentale si riferisce a chi vende il corpo, mentre di altra vacca si tratta ovviamente quando si descrive il quadro africano. Ma entrambe le vacche conducono ad una certa miseria interiore. Qui le femministe stiano quiete, perché si critica l’uso della vacca, come oggetto di sfida fra uomini potenti di desiderio carnale o guerrafondaio, ma come dicevamo impotenti di volontà o di interiorità.

Dal quinto brano insomma, il tratto deciso dell’autore è esplicitato con godimento dell’ascoltatore, e non si spererebbe in teoria in qualcosa di più, in quanto il patto col pubblico è dato. KRISTO gli KREDIAMO! Eppure, Chukwuemeka alza il tiro con il sesto brano Kinder-boy a sua volta significativo ed esatto. Qui rabbia, poetica ed estetica spingono in flow ineccepibile. Nella caparbia poetica del testo si denuncia come “non c’è potere senza volontà”, ma qui la denuncia,la cui natura non può che essere teoricamente retorica, lega la riflessione all’io, e quindi sventa la banalità diventando sentimento. Nel testo la dicchiarazione della propria condizione umana non fa sconti a nessuno “Ho il naso grosso e la faccia negra/c’è chi mi evita tipo lebbra”, “vuoi l’uomo di colore con il tricolore …”, e finisce con un ironia goliardica e quasi sadica -il sadismo nell’autore è un tratto sottilmente nascosto ma qui dichiarato- e una citazione di Bello Figo (ironico e irriverente musicista della dimensione YouTube). In una sola canzone esprime con forza 20 anni di storia delle migrazioni in Italia e dell’apogeo materialistico-divistico-mediatico dell’era berlusconiana.  Anche il ritmo regge bene.

Il settimo  brano Un pugno di polvere, è una canzone a tratti intima, ma più furba.  Un classicone-pop degno dei migliori successi, e privo di sputtanamento (dio solo sa quanto un autore oggi non debba tradire i suoi primi discepoli!). La voce compiaciuta e bianca del cantante e tastierista Luca Coppola che lo accompagna affetta bene il contesto.

In fine l’album chiude con Il fiume, canzone belle nonostante qualche caduta frasistica, compensata da pezzi belli e puramente poetici come “Il fiume fa il suo corso e tutto si trascina”. Perfetto correlativo oggettivo, implicito. Qui la qualità, nuova, dell’autore è la capacità narrativa. Così evocativa segna una chiusura in cui è possibile vedere a ritroso, ciò che l’autore era e a cui forse ambirebbe tornare: I primi passi ?

Se la fortuna artistica è frutto del proprio sudore, Chukwuemeka Attilio Obiarinze, con il suo album Kalahari, ha sudato molto.
Ecco due dei testi che più caratterizzano l’album Kalahari e Kinder Boy.

 

KALAHARI

Pance piene ma affamati

guardi dentro, Kalahari… Grande sete…

Non c’è love, non c’è sex, senza  American Express

non c’è ovest, non c’è est, solo atomiche e Big Mac

togli i fouton, togli i coupon, togli Youporn

e mezzo mondo scende in piazza con la bocca che fa schiuma come una Beck’s

riempio vuoto immenso con desiderio infinito

il viale è deserto, nessuno che senta il grido

di chi cerca una vena, di chi cerca un amico

di chi ancora ci spera e di chi invece è fallito

cultura di massa, fagioli in latta, dopo l’equilibrio salta

e ci si ammazza per una giacca di marca, per una vacca come nel Rwanda

chi prega con cicatrici sopra le labbra e beve piscio sognando l’acqua

va tutto all’opposto frà come nei manga

e in noi cosa speri rimanga?

dateci pace vera senza promo, logo, Yoko Ono, Bono, l’ONU

finchè il vero scopo è l’uomo

o siamo solo prostitute nascoste da un dio geloso?

ho il globo che mi ruota in testa, è un sistema nervoso

tra i posso e i potrei, i voglio e i vorrei

di una vita che non dà se non dai qualcosa a lei

senza dire addio, lei ti prende one take

sotto luci di raid o le luci dei rave,

giorni cattivi in cui sparerei come studenti alla Columbine

non mi connetto più con i miei dei

c’è sempre un bastardo che ruba il wi-fi //

rit.

Pance piene ma affamati

guardi dentro, Kalahari

non c’è fede né ideali

grande sete, Kalahari

orizzonti lontani, segui il tramonto se c’è un domani

fata morgana, eden bruciati, cerco rugiada nel Kalahari

Non so più cosa cerco, non so più cosa voglio

bugiardo se mi vesto, indifeso se mi spoglio

soffro se ti amo, soffro se ti odio

rimango con il cuore in mano infreddolito e storpio

mamma è una bambina che piange a terra nuda

non ci dividono mura ma silenzi che fanno paura

oggi che l’anima è come un vestito di moda, va a ruba

ogni parola col cibo si sciupa, mi dico di avere fiducia

scarichiamo app d’apparenza, non d’appartenenza

dato che l’indifferenza qua viene richiesta come l’esperienza

papà tocca la bottiglia, poi tocca la figlia

mamma non bisbiglia, è tutto in famiglia

davanti al dramma chi batte ciglia?

la gente si bagna mica si indigna

e non lo so se mi frega di più

cambiare me stesso o il canale tv?

solo da quando faccio le domande a me non a Yahoo

solo se non ci sei Tu

niente che ci tira su se non la figa ed il SUV

un sogno vero qua vale meno dell’eroina a Kabul

com’è che non ci vediamo, com’è che non ci capiamo

com’è che viviamo solo quando ci arrabbiamo, solo quando ci arrapiamo

ci separiamo per odio vano, per un Dio vago

vedo fratelli tirare di coca sopra la Bibbia e sopra il Corano

quello che abbiamo //

 

rit.

Pance piene ma affamati

guardi dentro, Kalahari

non c’è fede né ideali

grande sete, Kalahari

orizzonti lontani, segui il tramonto se c’è un domani

fata morgana, eden bruciati, cerco rugiada nel Kalahari.

 

KINDER BOYZ

Ho il naso grosso, la faccia negra

c’è chi mi evita tipo lebbra

colonialismo mentale mi smembra

fra un crocefisso e un feticcio di pietra

vuoi l’uomo di colore con il tricolore

o l’uomo di colore in campi di cotone?

alienazione, la mia posizione

bestia senza nazione

l’ignoranza è un giogo

chi se la lega al dito non sa manco fare il nodo

brucio nel fuoco, calore non trovo

essere vero o l’embrione di quello che sono?

stanco di dire sì

non ho peli sulla lingua, Silk Epil

qua contano le abilità, Linkedin

ma c’è chi schiaccia i tuoi sogni, Hakeem the dream

da anni che c’hanno educati ad odiare noi stessi

ma quanti selfie…

fuori tutti modelli e dentro brutti come i Gremlins

oh mamma quanti haters oh mamma quante serpi

l’invidia manda sti cervelli in pappa tipo Mellin

MC’s gradassi, do due schiaffi

me la rido sotto i baffi, Eddie Murphy

fanculo il giudizio degli altri

che senso ha affogare nei propri rimpianti?

non hai skill, vuoi di più, monkey see monkey do

sopra il mic el Babur, tu stai Lee come Bruce

belli i synth, belli i sub, belle bitch, Betty Boop

ma in Italia anche Tupac avrebbe avuto meno views di Figo Gu //

rit.

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi

o a questa verità che mi sa di pisciatoi?

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi?

non c’è libertà finchè temi ciò che vuoi //

festa di compleanno, il locale gremito

nessun invitato, tutto gremato

il dolore nascosto m’ha reso cretino

così felice che quasi mi sparo

tu dove cazzo eri quando quelle notti piangevo il Serengeti?

sconfitto, ora sono in piedi, cosa credi?

vi apro uno per uno come scatole cinesi, non ci siamo intesi

là fuori ci sono più croci che nei cimiteri, poi ti chiedi perché ammazzano i profeti.. bitch

ho pensieri osceni tipo feti appesi alle pareti, un po’ come le guerre che non vedi.. bitch

in politica gente ridicola, Stato che scivola, frà Paperissima

la crisi libica, intrighi, Caligola

troppa violenza ma mai troppo esplicita

falsi miti, John Wayne, finti amici, cosplay

bei sorrisi, Colgate, ma infelici, Cobain

quanto fotto con lei ma nel cuore ho un cold case

dacci un taglio, ok, ma col Miracle Blade

non sono un latin lover ma c’ho savoir faire

queste fighe hanno più legno del Leroy Merlin

ma va da sé che chi in voi ha creduto poi la presa in culo

ora fa da sé

me ne fotto dei tuoi ferri e dei tuoi blindi

non faccio body building, mi pesa già sentirti

sta vita non è GTA

non c’è potere senza volontà

la mia felicità non è una spa

battezzo quest’anima nello Chivas //

rit.

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi

o a questa verità che mi sa di pisciatoi?

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi?

non c’è libertà finchè temi ciò che vuoi //

Sbocco sul demanio pubblico

è da un po’ che il demonio è pubblico

mi chiede se gioco, esercizio ludico

così ci conoscemmo in un bagno pubblico

qua diventi marcio come l’umido, se non fai cash per uscire

provaci o resti l’ultimo come il ghiacciolo alla menta nel freezer

ma quali entrate? sono solo uscite

chili di sale sulle ferite

basta soffrire, mentire e morire ma senza capire, rane bollite

tanta miseria a ogni angolo, pure le telecamere piangono

governi amebe mangiano, tragedie greche, danke shone

penso ad allora quando per sognare bastavano carta  e pastelli Carioca

mo’ non è l’oro ma il naso che cola finché a un ragazzino non basta la coca

abbiam brutti musi, sbirri ottusi ci blindano in strada, ci entrano casa

so che le persone non sono rifiuti, ma c’è chi ama la differenziata

mi fanno schifo molti schemi di sta civiltà

che ti dice che sei un “vero nigga” se vendi crack

che dà paura, al Shebaab, ti chiude in mura, Alcatraz

rendi gli uomini delle puttane in miniatura come le Braz //

rit.

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi

o a questa verità che mi sa di pisciatoi?

Io e i miei negri killer boyz

tu e i tuoi negri kinder boyz

credi a noi o ai super-eroi

non c’è libertà finchè temi ciò che vuoi //

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Chukwuemeka Attilio Obiarinze  Nasce a Como nel 1991 da genitori nigeriani. Terminati gli studi classici si trasferisce a Bologna dove collabora con la web tv di informazione locale “CrossingTv”. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Storia e Civiltà Orientali, fa ritono nella città natale dove attualmente lavora e porta avanti i suoi progetti musicali con il gruppo rap Odio Razziale

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

Foto dell’autore a cura di Chukwemeka Attilio Obiarinze.

 

 

 

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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