RAPIMENTO DI GIOVANE DONNA ITALICA DA PARTE DI PIRATI AFRICANI: IN STILE DELACROIX, di Reginaldo Cerolini

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La complessità non si riduce a somma degli elementi

bensì ad una sintesi del significato degli elementi.

 

  1. Reginaldo Cerolini

 

PREMESSA

Se è vero che ci sono molti modi di rappresentare i miti, è pur vero che allo stesso tempo ci sono diversi modi di rappresentare la realtà secondo stereotipi o distopie che pesano sull’immaginario negro e migrante -esseri umani per intenderci – più di quanto si possa immaginare.

Chiariamo subito: ennesimo fatto di cronaca, dove si riferisce che un gruppo di “negri”[1] in modo brutale, sadico e con vivo disprezzo di un altro essere umano – una donna- la stuprano e la uccidono.

Si tratta di un fatto dalle proporzioni intime difficilmente immaginabile, sia a livello emotivo che psicologico, ciò oltre che per chi li subisce lo è anche, con diverso grado, per famigliari, amici, conoscenti, comunità[2], cittadini, fruitori dei media[3]-questi dall’angolatura particolare e spesso fuorviante dei mezzi d’informazione, e in senso lato la nazione[4].

Il fatto di cronaca è ascrivibile all’ordine dei reati, per tanto pertiene all’ambito giudiziario, per ciò da qualsiasi parte venga, al momento qualsiasi ulteriore insinuazione, affermazione ed ideologia vale pressoché nulla. Mi riferisco a chi scosso dall’evento o diversamente usandolo per fare uscire le proprie frustrazioni e rabbia decide di scendere in piazza ed insultare il presumibile reo in un rigurgito di giustizialismo giacobino che, ribadiamolo, non è reo fino alla fine di un processo[5], che valuterà e poi giudicherà la sua colpevolezza.

Ultimamente questa versione osannata e mediaticamente enfatizzata della vox populi si articola con offese, epiteti e recrudescenze di ordine razzista, nazionalista e sessista che non hanno ovviamente nessun nesso con i fatti se non presi e valutati come -isteria e rabbia – priva di giustificazione. Non va mai dimenticato che è solo il patto sociale, la costituzione, che stabilisce i principi delle nostre relazioni – fossero anche diametralmente opposte- ad esse bisogna fare riferimento finché ci definiremo cittadini facenti parti di uno stato[6].

Ricordo ai portatori sani di feroci invettive che, chi uccide, chi ruba, chi violenta confermato da inchieste e da un tribunale sono giuridicamente assassini, ladri, stupratori e non un uomo (come definizione di genere), uno straniero, un negro, un migrante etc.. Ricordiamolo! Diversamente siffatte generalizzazioni causeranno pericolosi malintesi e false rivendicazioni. O se vogliamo dirla come va detto, vere e proprie guerre civili!

Per quanto riguarda l’immaginario in cui viene inserito questo fatto di cronaca, è per me impossibile tacere. Per farlo mi avvalgo di un quadro.

 

CRITICA CULTURALE DI UN QUADRO

Se si supera l’intemperanza di voler scendere col cursore per vedere subito il quadro, prometto al lettore, un regalo impagabile, ma bisogna accettare questo patto di proseguire nel testo con paziente calma. Ed eccoci qui.

Si tratta di Rapimento di giovane donna da pirati africani, un quadro poco noto di Delacroix ovviamente ascrivibile al movimento dei pittori orientalisti -detto pre-impressionista e padre del Romanticismo- del settecento e dell’ottocento e con l’influenza letteraria degli europei. Delacroix che in se stesso è piena espressione del Romanticismo e dell’intellighenzia europea di un epoca, conosce molto bene l’Europa, l’Inghilterra, il nord Africa per esserci stato sei mesi, nel 1832, e per avere un punto di vista accogliente verso la diversità che incontra. Nella sua passione assoluta per i bozzetti immediati e lo sperimentalismo del colore, i quadri a tematica esotica, insieme alle ‘grandi opere’[7] istituzionali e redditizie, sono la ragione sufficiente del suo dipingerli. È difficile per tanto tacciare Delacroix come un pittore che svilisce la diversità orientale ricostruendola su presupposti colonialisti, ma allo stesso tempo è figlio del suo tempo e interpreta con lenti autoctone dunque europee il mondo di alterità che incontra: ci mancherebbe. Quello che manca alla critica, dietro il blando termine orientalismo è di affrontare le opere di Delacroix, oltre che per il valore pittorico, propriamente per il valore documentativo, storico, di rappresentazione dell’alterità- nel suo caso nord africani e propriamente negri. È una pagina di storia mancante[8].

Di solito fra le opere definite di orientalismo di Delacroix è più nota quella di Le donne d’Algeri nel loro appartamento, che insieme a Olympia di Monet è – oltre indubbiamente per le qualità artistiche- soggetto in sé ascrivibile alle curiosità del maschio bianco europeo riguardo le pruderie erotiche delle donne (anche) altre, e analogamente sublimazione dei boudoir[9] di un De Sade. In entrambi i quadri dei due pittori, oltre a donne di pelle chiara c’è la presenza, sempre in un gioco di controluce e colori, meno banale di quanto cromaticamente potrebbe sembrare[10], di donne negre, ovviamente in una dimensione di mancata centralità ma con un peso specifico che le rende forse più marcanti del soggetto stesso.  Ma non è questa la sede per affrontare quel tema.

Per quanto riguarda le sue opere prime il pittore Delacroix è noto per la controversia del suo quadro letterario[11] La morte di Sardanapalo che a noi interessa in quanto è la rappresentazione concreta del suo rapporto tra classicismo, e suo superamento, passione e soggetto, e intemperanza stilistica di ritmo e movimento che assurge a stile e poetica, come ebbe tra i primi suoi difensori a notare Baudelaire.

Delacroix amava i soggetti schietti, crudi, carnali ed intemperanti, erano per lui il correlativo oggettivo di se stesso e della magnificenza titanica a cui artisticamente si sentiva di appartenere. Un rapporto tra classicità e modernità che in lui verrà risolto solo dopo il viaggio in Nord Africa.

Nel quadro a cui noi, per ora senza guardarlo, invece facciamo riferimento -fidatevi- Delacroix controverte l’ordine inscenando direttamente l’atto barbarico di una razzia umana, in cui una donna viene rapita.

Basterebbe il titolo per scrivere un saggio, ripetiamolo: Rapimento di giovane donna da pirati africani.

Quando realizza la tela è il 1852, nel titolo ci sono tutti gli elementi per una prima riflessione. Il termine stesso ‘pirata’, di dotta tradizione greco-latina peirates-pirata deriva dalle lingue indoeuropee peira ovvero ‘tentativo’ (di assalto di furto etc.) e per estensione ed uso ha sempre significato, ‘approfittatore’ etc.

Storicamente nella tradizione occidentale il termine è stato associato ai bucanieri, corsari ovvero ai vascelli che tra mare mediterraneo ed oceano atlantico assalivano le flotte dei mercanti. Ora è difficile non pensare che lettore ‘vorace’ come gli storici dicono che Delacroix fosse, non si sia potuto ispirare, al di là del suo immaginario personale, al celebre Storia generale dei pirati testo del 1724 di C. Johnson.

Il termine pirata era chiaramente attribuito a occidentali che sceglievano questa ‘professione’ per il bernoccolo dell’avventura, la frenesia fisica e le eccitanti modalità di arricchimento facile. Ora quello che a noi interessa è che il termine è di uso europeo, e nell’attribuzione del significato ha persino bisogno dell’aggettivazione africani, per essere realmente collocabile.

Sul facile uso del termine Africano, Turco, Moro, Marocchino, Orientale, Arabo, Delacroix opta per una fusione, laddove i termini descrivono l’area di provenienza invece dell’etnia, per cui anche con l’uso del termine ‘africano’ si intende in senso lato l’Africa con la sua varietà.

Se da una parte l’artista ha esperienza diretta, per via del suo lungo viaggio, come sopra abbiamo riportato, da un punto di vista letterario è influenzato dalla terminologia letteraria francese ed inglese ed alla tradizione militare e mercantile. Per quella inglese il suo riferimento è l’amatissimo Shakespeare, fra i primi, senza dimenticare Byron.

La nota e storica diatriba shakespeariana nell’attribuire al moro di Venezia un’origine nordafricana o dell’Africa nera sembra risolta in Delacroix assoggettando nei suoi quadri sempre i due soggetti, sia in versione maschile che femminile e se da una parte i soggetti negri per lo più ricoprono il ruolo di servitori, ci sono anche diverse tele in cui hanno ruoli di dirigenza e di presa di posizione come vedremo nel quadro che trattiamo.

Per concludere brevemente la questione etnica, si può tenere per buono concludere con il quadro Ritratto di turco col turbante per vedere la fusione dei due elementi da parte dell’esperienza di Delacroix, senza dimenticare che spesso i soggetti erano presi dal vivo e non erano astrazioni mentali[12].

Col titolo Rapimento di giovane donna da pirati Africani, Delacroix è stato molto avanguardista, inserendo in una definizione geografica, popolazioni di diversa provenienza etnologica, infatti, seppure dice africani, l’immagine richiama sia agli arabi del nord Africa che ai negri ugualmente autoctoni. Eppure il termine da subito risente di una costruzione, di una mistificazione del senso.

Se è infatti vero che potessero benissimo esserci pirati africani di origine nord africana e dell’Africa nera ma, anche storicamente mulatta, creola, asiatica e bianca, la situazione sembra inverosimile. Nel senso che se è un fatto che il pirata come razziatore è concepibile solo in una logica mercantile, è difficile pensare che dei pirati africani attentassero a delle navi europee, per diversi motivi, ovvero per la necessità di un’organizzazione peculiarmente mirata, una finalità strutturata, una convergenza di lingue e non ultimo- un movente- l’utilità del furto.

C’è un altro vizio di forma, il dove. Cioè i pirati attaccano in mare per poi ritirarsi nelle coste, negli arcipelaghi protetti e sconosciuti. La scena invece descritta è in una costa rocciosa e secca se non per gli scrosci portentosi del mare, ma restiamo al titolo, che continua con il termine ‘rapimento’.

Ecco qui un altro mito delle culture a confronto il rapimento, di solito di donne con scopi riproduttivi o di violenze a scapito delle malcapitate.  Ora che dei pirati debbano ricorrere a delle donne e per di più bianche è chiaramente improbabile anche se, sarà certamente capitato, ma esistendo da secoli la tratta di esseri umani tra  cui anche quello di donne, ed essendo la condizione di pirata almeno lucrativa (in qualche forma) è difficile pensare che potessero, nonostante le fantasie ed i sogni del corpo diverso come possesso, coercizione e godimento – se non mosso da reciprocità per via delle distanze culturali, i pregiudizi razziali e le istanze legislative-  essere appannaggio dei più. In questo il soggetto fa una vera e propria costruzione distopica. Non sarebbe mai convenuto a dei fuorilegge rapire una donna europea – per qualsiasi motivo- e rischiare così il risentimento colonialista di un impero materialmente più bellicoso e potente.  Ma se ci fossero dei dubbi riguardo la mancanza diretta di dichiarazione d’intento nel quadro l’autore specifica oltre a ‘donna’ l’aggettivo di ‘giovane’ e qui si comprende come la fantasia muova l’ispirazione dell’artista nel vento marino delle avventure piratesche e delle leggende di frontiera. Quel giovane[13]  sta ad indicare illibata, vergine e quindi suggerisce che lo scopo della barbarie è effettivamente anche se non accennato lo stupro, la brutale violenza carnale.

Ecco svelato il titolo. Ora se si osserva il quadro si vedono come elementi centrali una scialuppa, la donna in veste nobile, di un giallo dorato, che spinta da tre nord africani (o arabi) viene forzata, con fatica, dentro la barchetta. Sul lato di sinistra è dipinto un giovane negro con archibugio che torna veloce verso la barca, e sulla destra un altro giovane timoniere negro[14] che cerca di tenere in equilibrio la barca mentre i compari cercano di far entrare la ‘giovane’[15].  Intendiamoci bene Il negro con l’arma è presumibilmente il capo della masnada, l’ideatore del rapimento, mentre il negro che tiene il timone, un’altra volta rappresenta quello che ha una tecnica e che conoscendo il mestiere sa governare una barca in mare. Nonostante il vile contesto, si tratta di due ruoli ascrivibili a quelli di un certo prestigio dei bassifondi. È un evento raro nei quadri dell’epoca e testimonia l’assenza di pregiudizi razziali[16] da parte del pittore, lo stesso lo si vede nella figura dei nordafricani, dipinti dall’artista già in giovane età, con grande varietà ed interesse sociale religioso, avventuroso, e idilliaco. Delacroix, più che una prospettiva orientalista, ha una vera e propria mitizzazione romantica per i nord ‘africani e per i negri. È significativo quanto scrisse nel suo diario “Non crederete mai a quello che vi riporterò da questo viaggio, perché sarà comunque molto lontano dall’autenticità e dalla nobiltà di questi personaggi”[17].

Come elemento alla base delle figure, che si mostra centrale nelle opere di Delacroix, c’è il movimento.

Il quadro è mosso, esprime il movimento del mare, i vortici delle nuvole mossi dal vento che insieme smuove le onde. È la causticità della scena a rivelarlo in un’unità di stile coerente con la forza psicologica, direbbe Marangoni e dice anche Nèret[18].

A Delacroix si deve un altro primato ossia quello della forza del movimento dei personaggi inteso come finalità e direzione dei gesti e movimento dentro la scena, ovvero il respiro che lega i singoli movimenti in un’azione composita degno di forza narrativa e contestualizzazione oggettiva.

Di norma i critici in Delacroix puntano molto sui colori e sui soggetti, ma qui il movimento ha la maggiore su tutto, in quanto è il movimento a spiegare la scena, anzi è il movimento stesso come somma tellurica dei movimenti corporali e geoclimatici ad essere centrale.

Il movimento per Delacroix è il correlativo oggettivo della volontà di potenza, della forza d’azione dell’atto affermativo della lotta per la propria autodeterminazione contro eventi e situazioni contrastanti. In questa misura la natura dei suoi soggetti esprime sovente la grazia tumultuosa dello stagliarsi nella Storia. In questo quadro il gioco riesce con particolare veemenza.  L’autore sostanzialmente -sia anche un alibi subcosciente, imbonitore e di auto assolvimento- è dalla parte della donna, tal che il movimento è il suo grido e la sua lotta per non essere rapita[19]. Purtroppo però ciò che il pittore denuncia, è di fatto una costruzione quasi mitologica e distopica.

Abbiamo detto che il rapimento verosimile era di fatto improbabile, l’allusione alla verginità contro la brutalità maschia e straniera serve per mascherare la debolezza inconscia e perturbante della immagine.

Azzardiamo, se io uomo bianco dell’ 800, facoltoso e colto non posso violentare una donna, giacché la possiedo[20] per diritto ed anzi posso anche sceglierla, usare impunemente le serve o andare nei postriboli, come è possibile che sia turbato da simili fantasie?! Meglio inverarle in un altro da me, buio e lontano, misterioso e feroce, inurbano e violento, diverso, e allora chi meglio di un ‘Africano’ può suggerire e soddisfare la sublimazione di questo perturbante desiderio intimo ed estraneo alla mia autorappresentazione?!

Se è vero che il carattere truce e da cronaca oscena, nell’accezione del termine, almeno per quelle che erano le norme di costume e gusto nel XIX secolo, è vero che l’associazione forza e violenza, contro immobilità e stupore si inseguono in Delacroix per lungo tempo, e sicuramente come artista europeo della sua epoca rimane perturbato dall’immagine di forza e di violenza, oltre che di eleganza, che attribuiva ad arabi e negri africani. L’associazione per tanto, a distanza di anni risulta inconsciamente immediata nell’uomo di mezz’età, tanto più che il soggetto di questo quadro è appunto un affare minore, propriamente una pruderie che poco aveva a che fare, con la sua immagine pubblica elegante e posata, di artista istituzionale.

È interessante notare come – quasi in un gioco di specchi riflessi – il soggetto di questo quadro dialoghi con il quadro della serva violentata dai suoi giovani signori[21] analizzato da Scego.  Se invece ci fossero ulteriori dubbi sulla natura di questo rapimento, si noti che la donna ha una grossa collana di oro, ed un bracciale anch’esso dorato segno della sua nobiltà, e i pirati non sembrano aver portato con sé nessuna sorta di bottino.

Dunque il desiderio è il tema soggiacente che muove tutto il quadro, un desiderio impossibile, pericoloso e nefasto, che porta la ciurma di pirati a compiere un reato d’offesa d’onore: il rapimento a scopo di stupro.

Che questa sia l’eziologia originale del quadro molti elementi distonici possono rivelarcelo. Le armi sono occidentali (propriamente un archibugio[22]) per cui se le impugna un negro sono state rubate, o comprate da degli occidentali, la barca di tradizione occidentale è propriamente una scialuppa mercantile.  Alcuni elementi vestiari, come le camicie rosse e blu, indossate da cinque dei sei pirati sono di foggia europea[23]. Qui gli effetti, oggi come ieri, più che dell’orientalismo culturale sono testimonianza della nefasta presenza occidentale – e militare- nel contesto orientale.

Ma il quadro lascia anche un altro dubbio, se si guarda in fondo a sinistra ci sono delle case sparute, in una secca baita. Si tratta di un territorio occidentale, lo dice la forma delle case, o comunque di un tentativo imperialista di insediamento in terre africane da parte degli occidentali[24]?! In ogni modo, per via del rapimento, della fretta e dell’uso intimidatorio delle armi sono terre in cui i pirati sono degli estranei.

Seguendo la vita di Delacroix è più probabile pensare che sia il segno della presenza occidentale in contesti costieri delle colonie, anche se manca una casa sontuosa pari alla nobiltà che la furente donna giovane sembra rappresentare. Anche questa è un’incongruenza psicologico-narrativa altro elemento che testimonierebbe la sublimazione esplicita del desiderio di un uomo di più di mezz’età (aveva 54 anni quando dipinse questa tela), piuttosto che la cronaca di un fatto documentato e conosciuto direttamente o indirettamente.

Ovviamente non si può dire che il quadro non sia un richiamo al famoso Ratto delle sabine nelle versioni di Pietro da Cortona, e Nicolas Paussin, in verità è anche un superamento, giacché dal primo si libera del sensualismo bocca stupito delle tre figure femminili, e del secondo si discosta dal tono elegiaco e classicheggiante, dove le braccia brandiscono con il moto di un sentimento esterrefatto ed impotente l’aria.  No, nel crudo e diretto quadro di Delacroix la donna lotta per la sua salvezza, il romanticismo si tinge della passione e della veemenza della vita laddove viene negata e, così la vediamo con furore conficcare ora un braccio rabbioso nella faccia di uno dei rapitori e ora con l’altro ghermire la schiena del pirata curvato.

Il ratto delle sabine è anche un quadro, dello stesso Delacroix, già risolto nel 1850[25] con il suo Ratto di una donna sabina, quadro stilisticamente più completo e chiaro nella sua dichiarazione e senza psicologismi sublimati. In esso la relazione tra i due illustri precedenti di Cortona-Paussin, è risolta con un rapporto tra movimento e colori, tanto riuscito da caricare la scena di una drammaticità vitale che supera la descrizione stessa. Le forme si fondono e divengono fuggevolmente intellegibili. Lo stordimento e la convulsione di gesti, forme e colori in quel quadro sono più misurati ed onesti, tanto che il pittore riesce a trascendere il soggetto creando chiaroscuri, e movimenti non solo di personaggi, ma veri e propri della prospettiva, atti a rendere la scena corale.

Il cielo mosso di Delacroix nel quadro del 1850 e in questo del ‘52 è il vero centro del sentimento espresso ed una sintesi dei due quadri precedenti, dei due prende movimento e luce facendo del cielo una metafora ritmica sconvolta. La sua donna rapita non può essere bella in modo accademico[26] e stucchevole, sapendo ciò che le succede, o meglio la sua bellezza e nel furore del moto di ribellione, nell’essere violenta ed animalesca al pari degli ‘africani’ che la rapiscono.

Altra pietra miliare in Delacroix, il tratto selvaggio, turbato, e tumultuoso dei volti esprime di norma il sentimento furente che attraversa i personaggi, non si tratta dunque di una denigrazione, degradante o animalesca, ma di una correlazione oggettiva tra segni del volto ed elementi psicologici durante l’azione narrata. Per il pittore l’animalità è una forza istintiva e crudele che determina ugualmente gli esiti di Natura e Storia. In questo senso Delacroix precede e si avvicina all’opera darwiniana L’origine delle espressioni[27].

Se si pensa alla distanza dal villaggetto nella valle da cui sembra stata prelevata, e verso cui si gira l’africano armato per sincerarsi che nessuno li stia seguendo, si capisce che è una lotta durata per chilometri e su di un tempo lunghissimo, lei e i suoi assalitori sono spossati ma l’inesorabile esito si mostra imminente; eppure lei fieramente non smette di lottare.   A voler andare a fondo, visti gli elementi evidenti, si tratta della lotta dell’occidente razionale, tradizionale, nobile, contro la promiscua masnada ‘africana’ dove, la varietà etnica è simbolo di barbarie ed imbastardimento. Il soggetto rimanda ad un’oggettività di carattere presumibilmente inconscio nell’artista.

 

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Avevo promesso un regalo, ed esso è il dono di “saper vedere” e di entrare dentro la psicologia dell’immagine ben prima di coprirla della nostra letterale ignoranza d’impatto; conoscere quindi la sua dimensione oggettiva attraverso il godimento dell’immagine e dei suoi significati, c’è di più, ora potete capire (raccogliere) il quadro, inquadrandolo nelle proporzioni del suo contesto.

 

QUADRO E CONTEMPORANEI INQUADRAMENTI STEREOTIPATI

Non ho parlato di questo quadro per osare una lezioncina di storia dell’arte o un ammaestramento socioculturale, ma l’ho usato perché con scioccante verità è un quadro che incarna con forza il pregiudizio degli italici ed europei contro negri e migranti, laddove basta un fatto di cronaca per rendere tutti, negri e i migranti indistintamente colpevoli.[28]  La paura invasiva del barbaro che viene a rapire le donne ed a stuprarle (questo al massimo per la cultura maschia e bianca è un privilegio degli autoctoni). La vox populi, che grida “stranieri via”, “sporchi negri”, “islamici bastardi”, “scimmie stupratrici”, “violenti stranieri”, non è che un’eco del quadro appena analizzato, e fatto secondo rivendicazioni nazionali e di genere dello status quo ovvero della norma eterosessuale[29]. A tal proposito nell’aprile del 2017 è menzionata  intelligentemente da Scego la violenza che tocca anche gli uomini, siano LGBT o no, sfatando un mito di genere ed un silenzio che ricalca il potere dominante che ovviamente silenzia il mondo replicando ed imponendo sé stesso.

L’attualità di queste immagini, dell’immaginario falsato proposto da media[30] e vox populi porta in scena la cronaca dei giornali che, spinge, suggerisce elementi di contrasto già nei termini: ‘gruppi’ diventa ‘ branco’ a simboleggiare la forza cannibalica, animalesca e volontariamente feroce contro i soggetti della violenza: uno o pochi contro tutti, la massa informe.

Desirée diventa, nella bocca del popolo e degli abitanti vicino[31] all’azienda abbandonata dove è stata perpetrata la violenza, ‘un angelo’ ad indicare che per contro gli altri sono ‘diavoli’. Il soggetto perde gli attributi di umanità ( e di genere), altrimenti si dovrebbe parlare e pensare alla dinamica della violenza- che si lascia alla polizia, alla scientifica, ai giudici e agli avvocati- divenendo una figura immediatamente e nuovamente illibata, asessuata e quindi si elude la realtà cruentemente reale; mentre ai rei rimane l’ignominia della brutalità selvaggia- che ben si abbina nell’inconscio collettivo a negri, migranti, ed islamici (ma anche a qualunque maschio e straniero[32])- e dunque a questo misticismo legato all’istinto di repulsione, si contrappone l’isterismo della cieca rabbia espressa in parole, in frasi senza connessione di causa e dunque sconclusionate, che danno sfogo pulsionale, non giustizia, realtà e volontà di capire.

Per queste ragioni e la sintesi d’immagine e titolo, il quadro Rapimento di Giovane Donna da Parte di Pirati Africani parla a noi, inquadrati da screen e titoli sensazionalisti. Passato ipotetico e presente reale si uniscono e possono dialogare in una sintesi senza tempo.

Ma chi sono questi pirati, ed esistono davvero questi pirati come massa?! Ma chi sono questi stranieri, questi negri, questi migranti, esistono davvero come massa?

Rispondere a queste domande è una scelta, ma tentare una risposta significa arginare non solo l’ondata di disinformazione, l’alimentare paure (che prima o poi divengono reali ed eventualmente patologiche), di pregiudizi ed ideologie viziate in origine e lo spread di disprezzo verso l’altro da sé, ma arginare il razzismo. Dirgli NO! Con voce forte.

Quello che qui si tenta di fare attraverso l’interpretazione di un quadro, mettendolo in relazione con eventi e vizi di giudizio molto attuali, è forgiare un senso critico, e ristabilire una dignità della parola pensata e dell’opinione soppesata. Si tratta di prevenire uno stato di denigrazione e di mancanza di rispetto, mediante la dialettica del senso. Perché sono la dialettica e le esperienze a determinare il senso del sé.

Allora la vicenda dello stupro non può diventare mediaticamente e attraverso il furore del popolo (per quanto pochi o tanti che siano) solo orgoglio-rabbioso dell’italianità, attraverso una falsa categoria generalizzata e direttamente escludente e razzista di contrasto e quindi mutare in macro categorie ideologiche quali,  l’orgoglio-rabbioso della femminilità, l’orgoglio-rabbioso dell’indignazione, l’orgoglio-rabbioso dell’insulto, l’orgoglio-rabbioso del giustizialismo , l’orgoglio-rabbioso dello scontro fisico, perché l’altro da sé esiste, e non è reo in quanto negro, o migrante o islamico. Se non si è capaci di fare questa distinzione ci si condanna non solo alla chiusura ma ad un risentimento civile che muterà in guerra civile entro pochi anni. Perché ad esempio l’associazione assassino-negro per una persona che condivide con il reo solo la stessa pelle o provenienza geografica è terribilmente inficiante, blocca il suo senso di partecipazione alla stessa umanità che agli altri è concessa, in quanto altro da sé[34].

Lasciamo ai giudici il loro lavoro, e non associamo ad un fatto una macro categoria nazionale, razziale, di genere, religiosa etc.. Il confronto non deve diventare scontro perché lo scontro è affermazione di superiorità a partire dal primato selvaggio della lotta e della forza fisica: nient’altro.

Si può anche andare più a fondo di come reagiamo alle crisi ed ai problemi personali e sociali che accadono.

Per quanto ci accontenteremo di considerare chi stupra alla stregua di un essere inumano ed animalesco in cui non ci riconosciamo, senza fare i conti con la parte di responsabilità sociale che abbiamo verso questi rei?! Ci basterà davvero accendere il telefonino, il PC, il Tablet, guardare il telegiornale, andare a teatro, andare ad una mostra, scendere nelle piazze e nelle strade  e giudicare con la lente delle nostre teste e delle nostre pance ciò che succede come la forma più aberrante di disumanità o forse il tarlo di un’appartenenza e di una responsabilità civile farà capolino in maniera intima e perturbante!?

 

CONCLUSIONE : USO DEL QUADRO ED ABUSO POLITICO

Ho usato la critica culturale di un quadro perché, con una certa perplessità, ho guardato alla laica santificazione[35] della nota Igiaba Scego, già analizzata secondo la metafora polivalente e perturbante delle giullarate fo-rameiane, da Pina Piccolo in The black body telling stories; giullarate in the 21st century, che attraverso alcuni quadri e sculture della storia italiana, ha accennato e riportato la storia di schiavi, di negri e di migranti nell’arte italiana. A partire dall’articolo del 5 giugno 2016 Il silenzio dell’Italia sulle schiavitù di ieri e di oggi[36].

Fatto lodevole quanto curioso, perché a farlo è stata una donna negra non direttamente legata al mondo dell’arte, ma che per il suo lavoro di scrittrice– come lei stessa scrive nei numerosi articoli di cultura e lotta civile di suo conio- ha ormai una posizione culturale di pensatrice negra (sic!) di tutto rispetto.

Un vago senso di inferiorità verso la solida storia di intellettuali di negri Americani, africani, asiatici, sudamericani, e dell’Europa delle ex colonie, Inghilterra, Francia, Germania!?[37]  Suona un po’ come: anche noi intellettuali di centro-sinistra italiana abbiamo la nostra intellettuale negra- quindi donna! – che ci spiega la negrezza e ci purifica – a noi italici bianchi- delle colpe coloniali e delle bassezze razziste confinate , fino ad alcuni anni fa, in una certa destra estrema ma che ora dilagano impunemente e peggio ancora sornionamente[38]. Ironia verace a parte che la questione pone è vero che essere come dico io “negrologo”[39] è una condizione a cui non mi sarei mai sognato di appartenere, ma tant’è che la cronaca e la storia lo richiedono.

Voglio esprimere un concetto che mi è caro. Mi è caro per la sua contingenza. Mi interessa, infatti capire in che modo l’intellighenzia culturale dialoga con il proprio contesto. In questo caso la figura culturale è quella della scrittrice Igiaba Scego.

Ci sono in questa figura tre elementi peculiari. Il primo è l’essere una scrittrice che si occupa ufficialmente di giornalismo culturale, il secondo che sia una donna ed il terzo il fatto che sia negra, discendente di avi che hanno vissuto il colonialismo sulla propria pelle[40].

Quello che noto è che si tratta di una figura di intellettuale molto peculiare e questa singolarità radicale deve – presumo- influenzare la sua posizione di critica.

Resta da sé che in mancanza di voci istituzionali, come accennavo sopra ironicamente, di una tradizione culturale emergente – quindi necessariamente multietnica- Scego in Italia è una scrittrice ed intellettuale sola[41], come solo per via dell’anarchia del suo genere e la sua ragionata sfrontatezza è BelloFigo, come solo è Ghali[42] esprimendo un multiculturalismo di matrice araba, solo è Tommy Kuti nel suo rep narrativo e  positivo, come solo è nel suo cinema d’autore Jonas Carpignano, e solo nel suo cinema documentaristico è Fred Kudjo Kuwornu … ovvero, isole di un rivoluzione socio-culturale al momento mancata.

Questa solitudine investe gli scritti giornalistici di Scego e contribuisce a farli essere in certa misura contraddittori e pioneristici[43]. Contraddittori perché Scego è stata costretta a prende posizione (meglio sarebbe dire invitata, suppongo, in favore del suo successo come scrittrice), ma secondo la linea di pensiero e lo spazio concessole dalla bianca e canuta solitamente maschia, tradizione intellettuale italiana, e quindi si è dovuta contenere o ridurre -forse senza volerlo- ad un uso strumentale e travisabile di ciò che lei genuinamente esprime. Pioneristico perché è la prima fra i primi.

Ora riguardo l’abuso strumentale di questa chiave di lettura artistico-storico-sociale, di cui Scego è la prima in Italia, mi è capitato sovente di incorrere in una santificazione dei suoi scritti che testimoniano la presenza negra e migrante nel contesto italiano, europee ed occidentale[44]. Abuso che dice molto sull’immaginario che la stessa Scego intellettuale negra nel difficile contesto italiano ricopre per negri, migranti e per gli italici[45]. Il rischio di fondo, appunto la santificazione, è che l’argomentazione si fermi ad una cronologia della schiavitù a dispetto dell’ignoranza degli italici e degli storici che dimenticano che la storia è scritta nel ‘loro’ -anche nostro e mio – Stivale.

Scego fa un lavoro culturale[46] importante, in una certa maniera pioneristico. Mostra con la storicizzazione in quadri dell’attualità situazionale di negri e migranti, l’importanza interdisciplinare e l’esigenza delle discipline di applicarsi alla vita reale di dare percorsi, risposte che siano se non praticabili nell’immediato almeno ideologicamente chiare e visibili. Si tratta della difesa delle minoranze sociali in favore di una visione multiculturalista; assurdo da dire ma sembrano -visti i tempi – utopie di uguaglianza identitaria e di possibilità esistenziali. Forse per questo per molti e per una certa frangia politichese lei sembra come un miraggio di una santità laica. Le minoranze culturali, sociali o politiche soffrono sempre della mitizzazione di una figura, di un fatto, di un personaggio, di una frase, o di un discorso che limita la chiave di lettura e l’ampio sforzo dialettico che invece i soggetti santificati (o se vogliamo simbolizzati) articolano.

Quello che intendo dire con voce chiara è che negri migranti ed etnie non caucasiche si sono stancati di non essere menzionati nella storia del mondo, o quando lo si è, di esserlo per via di una non chiara mistificazione esotico-orientalista, o mediante il pregiudizio razziale e per cause sociali[47]. Come pure si sono stancati di dovere sempre e costantemente fare fronte ad un pensiero dominante che sostanzialmente li esclude o emargina.

È allora di per sé significativo – per una persona che diviene autore, critico, artista, sportivo etc. – come l’inizio e la capacità di raccogliere dati su di sé, l’urgenza stessa nascano da singole voci, attraversate da un problema reale ed esistenziale che li spinge a non accontentarsi della cultura dominante o di ciò che viene assunto come canone e verità.  Propriamente l’urgenza di domande a risposte che sembrano mancanti nella spirale storica rende coscienti di una narrazione mancante[48]. Se questo è vero per ogni essere umano, lo è ancora di più per un essere umano che ha incominciato a partecipare degli elementi della cultura in senso lato non solo per essere rappresentato ma per costruirsi una storia, una legittimità ed un’identità autonoma e in relazione con il contesto che vive[49]. Da ciò è una conseguenza storica che tale riflessione sia nata da una donna intellettuale della cultura nera ad esempio – In questo senso però Il rischio è presente e l’uso strumentale della riflessione che Scego, superando l’atteggiamento di sapere contro ignoranza (arma di ogni intellettuale!) , può benissimo leggersi come resilienza, ben oltre l’italico mea culpa e riflessione radicale di atteggiamenti sornioni tra intellettuali, bensì come feroce accusa di una colta e legittimata donna negra contro l’ignoranza degli italici non aggiornati[50]. C’è di peggio, c’è il rischio che la contrapposizione intellettuale della scrittrice sia politicamente vista e divisa con le lenti dicotomiche di: negri e migranti sono buoni, in senso antropologico, cioè buoni da pensare e quindi diamogli cittadinanza e tutto il pacchetto annesso, contro il pensiero negri e migranti sono cattivi, lasciamoli affogare. In fine c’è una terza versione quella picaresca del governo attuale della serie, parafraso a soggetto, “negri e migranti non sono cazzi nostri” (pugno fermo e sguardo da cerbero) o “tutt’al più problemi europei” (con mano sul petto a simulare l’afflato emotivo).

Ora se l’atteggiamento di superiorità intellettuale, latente ma evidente, ha dalla sua la forza di un’accusa con evidenza di fatti, la dicotomia abbassa e chiude il livello ampio di argomentazione divenendo stereotipi, ed anche l’abuso dell’analisi della Scego può diventarlo.

Per entrare nel dibattito, ho scelto come immaginario, un’immagine suscettibile di apparente apprezzamento ma di un apprezzamento che necessita della pazienza del voler e saper vedere[51], e al contempo capace, come un giullare saggio e scaltro, di torcersi contro l’adulazione e la dicotomia politicante.

 

Reginaldo Cerolini

 

 

 

Sitografia

https://www.youtube.com/watch?v=bKqaQhC_BSw / https://www.youtube.com/watch?v=Fuhyf5IxnRs / https://www.youtube.com/watch?v=4IubqK7QqYQ / http://www.novecento.org/dossier/mediterraneo-contemporaneo/orientalismo-limmagine-delloriente-come-laltro-della-cultura-europea/?print=pdf / https://it.wikipedia.org/wiki/Archibugiohttps://www.internazionale.it/tag/autori/igiaba-scego  /

 

 

[1]                     Si tratta dello stupro di gruppo finito con l’uccisione della minorenne (sedici anni) Desirée Mariottini nell’ottobre di questo 2018. Arrestati e messi sotto indagine sono quattro nigeriani tra i 27 ed i 46 anni, Yusif Salia, Mamadou Gara, Alinno Chima, Brian Minteh.

Chi mi conosce sa quanto io rivendichi il valore neutro e per nulla spregiativo del termine ’negro’ – per la sua capacità di andare al centro della questione del pregiudizio razzista e/o politico di chi crede ancora in un Italia ed Europa sostanzialmente bianca, ma qui le virgolette sono d’obbligo, con esso in fatti assumo il punto di vista da tabloid, da media, da razzisti e politici che credono ancora in un Italia sostanzialmente caucasica o meglio bianca.

[2]                     Il Messaggero 24 ottobre 2018, riferisce della reazione corale dei presenti e dei gesti di solidarietà verso l’italiana Desirée e per contro in odio nei confronti dei presunti stranieri rei del fatto.

[3]                     La prassi sensazionalista e da notizie accattivanti in pieno spirito pubblicitario ha ormai delle colpe evidenti nel modo non innocente in cui utilizza le informazioni. Spesso sono mistificazioni volute e legalizzate sulle cui ripercussioni ormai impunemente non ci si perita di valutare le conseguenze, come vedremo più avanti in questo saggio.

[4]                     Questa pericolosa insinuazione mediatica per cui un fatto abbia carattere nazional popolare e quindi che inscrivendosi nella verità del sentimento popolare e della razionalità giudiziaria che deve- SUBITO!- (testimoniato dai media sic!) punire per rappresentare il contrappasso dei soggetti offesi, e peggio del popolo è falsa. Falsa nelle sue premesse, falsa nelle sue pretese, falsa nella sua estensione. L’unica conseguenza tangibile di questa insinuazione e pretesa, è il portare alla luce come esse si amplifichino attraverso i media. Nonostante ciò non si tratta mai- ovviamente – di un caso universale. Rassegniamoci se non è universale il pensiero filosofico, il sentimento religioso, le ideologie e le guerre non sono universali neppure l’isteria, il risentimento e la rabbia. Sono invece momenti, soggettivi e di condivisione che esprimono un modo, uno spazio ed un tempo di vivere il mondo. Questo è tutto ciò che simili atti di rivendicazione possono giustamente chiedere. Non come verità assoluta ma come denuncia di un malessere che merita ascolto ed attenzione.

[5]                     Non risulta più banale, al grado zero dell’isteria collettiva e della scarsa capacità critica dire che la sentenza ha lo scopo, tramite indagini, dati e interrogazioni di stabilire il grado di colpa e di punibilità del soggetto reo. Non sono quindi l’isteria, le rivendicazioni di genere, di razza, di fede e gli insulti ad appianare, in sede legale e civile, le problematiche del convivere sociale.

[6]                     Qui intendo direttamente appellarmi ad un abuso della costituzione che permette il diffondersi di ideologie razziste schiettamente anticostituzionali. Ringrazio Stellari per aver reso preciso nella mia testa il punto vero del mio stupore verso i cambiamenti sociali in Italia negli ultimi anni. Bisogna infatti superare lo stupore, di ciò che era concepito come norma civile e persino di diatriba ideologico-politica per fare fronte a questioni reali a cui va trovata una soluzione, che ovviamente supera la demagogia e il vocio politico.

[7]                     Sono contrario ad articolare, come fa la critica, in fase minore o maggiore un’artista in senso alla società, in quanto si rischia di far tacere la coralità esistenziale di tutti gli alti, i bassi ed i medi che un artista vivendo ed esprimendo attraversa, in favore di un debito che il soggetto ha con la società che presumibilmente lo blasona con allori, denari e fama. L’artista produce per comunicare per essere vivo oltre la caducità della vita, per superare il suo tempo, se stesso, vivendosi e restringendosi ai confini del suo mezzo espressivo. È la totalità di una vita che parla dentro all’artista, o meglio al vivente con intenzione d’espressione. Il nostro secolo ventunesimo, non ha solo scoperto i quindici minuti di celebrità annunciati da Warhol, ma ha esteso la categoria espressiva umana, al minimo quotidiano e di fatti incarnando la sfida della vita intera come opera d’arte, quindi come astrazione, ed autonomia condivisa del sé. La vita è arte se ci si crea, se si sceglie.

[8]                     Nel piccolo e molto intelligente libro Delacroix  di Gilles Néret, all’importanza dell’orientalismo sono dedicate le pagine 51-64, ma viene anche notata l’importanza stilistica che l’esperienza africana ebbe sui suoi lavori monumentali a partire dal 1832.

[9]                     Difficile non citare il noto saggio Filosofia nel boudoir del Marchese De Sade.

[10]                   Si tratta propriamente dei significati dei chiari scuri, nella tradizione artistica.

[11]                   Qui il suo orientalismo, dal momento che non era ancora mai stato in oriente, viene dalla tradizione letteraria di Lord Byron La morte di Sardanapalo.

[12]                   Il pittore tratteggiava direttamente sui suoi diari dei bozzetti dettagliati e precisi che usava poi come fotografie per riprodurre in scala i suoi quadri ed affreschi. Il soggetto di questo quadro somiglia molto ad Angelo Soliman (1721-1796) noto uomo, negro, libero in tempi di schiavitù.

Rimane curioso come Delacroix amante di Shakespeare e viaggiatore del nord ‘Africa non abbia mai pensato di dipingere Otello. Certo nel suo immaginario auto rappresentativo si sentì certamente più vicino ad un Amleto.  Oltre però ad arabi scuri e veri e propri negri ha dipinto, indiani nativi nella prodigiosa natività (1823-1825) e neri indiani di Calcutta nei quadri del 1823 e del 1824.

[13]                   Unica attenuante al pittore la si può dare nella raffigurazione del volto trasfigurato dallo sforzo di ribellione – simile al ruggito di un leone o ghepardo (soggetti cari nella storia pittorica di Delacroix) – che la mostra con un volto di donna fatto e finito e dove, motivi di innocenza e giovinezza sembrerebbero forzati. Si tratta di una vistosa incongruenza che può, sì, far pensare che l’autore intenda ironizzare, sbeffeggiare l’idea stessa di un possibile rapimento di giovane, ma anche in questo senso l’unità testuale manca di forza perché, gli elementi visivi realisti non dialogano con quest’ipotesi, creando insieme un’unità formale comprensibile.

[14]                   Ahi noi! Non sono i placidi gondolieri ricordati, nell’ordine, da Spicer e Scego che invece, con tanta operosità lavorano, con diritti, legalmente nella multietnica Venezia e che tanto nobilitano un desiderio negro e meticcio di appartenenza ai privilegi del mondo occidentale, sin da allora e prima ancora.

[15]                   Come vediamo nell’immaginario di Delacroix, amante di Shakespeare i negri possono benissimo avere posizioni di comando. Lo ribadisco perché invece storicamente fino agli anni sessanta del ‘900 nel parlare di negri il luogo comune imperante o lo stereotipo di schiavo, era di fannullone, credulone, torbido, mangiatore di cocomeri, molleggiato, etc.. Delacroix conosce e sposa la tradizione del colore della scuola veneziana, dove il riferimento rinascimentale a soggetti negri in vari contesti è costante.

[16]                   Un errore che spesso noi osservatori critici della cultura facciamo è di attribuire sistemi di pensiero peculiari alla nostra epoca, e quindi la nostra visione, ad epoche sostanzialmente diverse. La questione dei pregiudizi razziali che è, certo, insita come carattere primordiale dell’autoaffermazione e differenza, per dirla con Rodney Needham, non può essere usata come concetto o categoria di pensieri. Per cui parlare di pregiudizi razziali come sistema è improprio, sono più utili termini come schiavitù, colonialismo, imperialismo che giocano e muovono riflessioni più pertinenti. Se però ci riferiamo alla storia di un artista ed al suo contesto, la sua storia personale e gli elementi fattuali del suo lavoro, secondo un’eziologia abbastanza solipsistica quanto più veritiera, ci darà ragione del suo sistema morale e ideologico. Nel caso di Delacroix, dei quadri, il pregiudizio razziale è una supposizione impropria.

[17]                   È un’espressione di stima chiara, che se pure affonda le sue radici in un etnocentrismo di matrice greco-romana piuttosto che ad un uso imperialista del corpo altro, li paragona ai grandi della storia occidentale. L’idea europea che il mondo parta da e stessi è un carattere primordiale che appartiene a tutti i popoli, ovvero l’illusione e realtà dell’etnocentrismo, sappiamo però come si tratti di prospettive relative.

[18]                   In riferimento alle polemiche della critica del tempo, sui primi lavori di Delacroix e precisamente su La morte di Sardanapalo dice “Il ritmo rapido, la fluidità del disegno, la vivacità dei colori, la profonda sensualità che emana, fanno di questo quadro uno dei maggiori capolavori del XIX secolo”, pag.. 18.

[19]                   Ricordiamo che l’equilibrio artistico dell’opera e il suo valore sono direttamente in relazione con la sua capacità espressiva anche la dove riveliamo meccanismi di costruzione e di attribuzione di significato al soggetto. Non è un giudizio il nostro ma uno critico svelamento. Allora vale la pena di ricordare che Delacroix è l’autore della celebre La Libertà guida il popolo realizzata a 32 anni nel 1830. Soggetto femminile da suffragette in anticipo ed anti litteram. Sia in senso biblico che in senso artistico Delacroix è un artista che conosce le donne e fino a che non fa il suo viaggio in Africa è tormentato dalla rappresentazione tumultuosa e di quella ideale. Sembra aver trovato quell’equilibrio tra realtà memoria e pittura, con il quadro Odalisca del 1857 il cui spunto è una modella che fotografa anche con l’amico e collaboratore Eugène Durieu (1800-1874) presente nella Biblioteca nazionale francese.

[20]                   Néret sottolinea come e quanto fossero le donne, e le tipologie, oltre che le diverse provenienze sociali, di donne affascinate, sedotte ed abbandonate dal pittore, prima di scegliere una relazione stabile.

[21]                   Nel caso del quadro l’aggettivo giovani sta ad indicare con senso critico ed ugualmente ambiguo ‘ragazzata’, e in qualche modo giustificazione di una virilità, vigorosa ed ancora da farsi, misurata e controllata. L’idea sembra non troppo cambiata visto che nel 2016 su casi di stupri di gruppo da parte dei ragazzi si tendeva a minimizzare, se non a colpevolizzare, l’arte indirettamente ammaliatrice della malcapitata, per via della sua foggia o stile vestiario, finché la legge stessa non è intervenuta a normativizzare e chiarire l’equivoco di genere; https://www.repubblica.it/cronaca/2016/06/28/news/lo_stupro_di_gruppo_non_e_una_ragazzata-142965434/ .

Come dirò più avanti l’uso critico di un elemento culturale per parlare di dinamiche sociali è un filone, fuori dalle accademie, che appartiene in Italia a Igiaba Scego.

[22]                   Il fatto stesso che l’arma sia un archibugio è interessante notare come l’arma richiami alle guerre contro i turchi ottomani del sultano Maometto II, a seguito della Caduta di Costantinopoli del 1453.

[23]                   La lunga ed attenta menzione visiva al vestiario nordafricano è stata ampiamente documentata e rappresentata da Delacroix.

[24]                   Sprovvisto di mura, il quadro per via delle rocce e la distanza dal mare potrebbe richiamare alla Baia di Tangeri in Marocco di Delacroix che nel quadro non datato prende lo stesso nome.  È  vero che i pirati sono tendenzialmente apolidi, ma dovevano avere un bacino di movimento ed esigenze di contatto con i porti o le tratte tra Europa e nord Africa, per tanto con luoghi ad essi familiari.

[25]  Tra 1845 e 1860 tornerà spesso alla violenza dei ratti storici.

[26] Volendo ricordarci con Marangoni che “ in arte bello è soltanto sinonimo di espressivo ” (p.116), serve precisare con Nèret l’importanza artisticamente bruta di Michelangelo e Rubens in Delacroix oppositore dei vecchi paradigmi e dello stile di Ingres “Alle forze classiche, allungate e sinuose, delle donne di Ingres, fanno eco le schiene inarcate delle donne arruffate e romantiche di Delacroix. … sono donne in carne ed ossa, coscienti della loro carnalità”. La carnalità di questa donna esprime la disperazione e la lotta .

[27]                   Uscito nel 1872 dopo l’Origine della Specie (1859) e l’Origine dell’Uomo (1871), L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali completa il trittico darwiniano del posto dell’uomo nella natura e nelle forme di espressione degli animali.

[28]                   La perfetta ironia saggia di Bello Figo con la canzone Scopo figa bianca… tanta (da intendersi come unione consenziente non come violenza. Ricordiamolo!) dissacra e denuncia la paura delle fisicità africana ed araba, ovvero la mascolinità esotica, di cui il maschio bianco detronizzato e con ripensamenti sulla propria virilità (questo forse non del tutto in negativo), soffrirebbe. Ma questo stereotipo che pone in modo distorto cultura-tecnologia vis corpo-furore reiteratamente assunto come unico punto di autenticità e di verità identitaria per molti migranti è un fatto che ha le sue gravi conseguenze. In misura diversa ma latentemente aggressiva se non feroce è stato il mio discorso in treno con tre nord ‘africani, quando parlando di uno sposato con un’italiana del perché non facessero figli ha detto che non voleva e allora quando gli ho domandato cosa tenesse salda la loro relazione, con un sorriso beffardo ha detto “Gli piace il cazzo arabo- Tanto”, e mentre io insistevo che ci fossero altri membri ha insistito, “Si anche i cani hanno il cazzo, ma il cazzo arabo e il mio in particolare è quello che gli piace” (altra risatina, stavolta un po’ più imbarazzata), e quando gli ho detto se fosse una relazione almeno di sentimento ha detto “ Ma quale sentimento, l’ho sposata per la cittadinanza”. Il tono di noi quattro era ciarliero e lui girava appena la testa per vedere se la coppia caucasica di mezz’età seduta sui quattro posti di fianco potessero sentirci. Io stesso temevo che la coppia assumesse come vero questo saltuario esempio che mi era capitato d’incontrare, ma io riflettevo su come il soggetto, un po’ brillo, da quindici anni in Italia, avesse un senso di depressione, di spaesamento ed autoconvincimento di non essere niente più che il suo membro -ipoteticamente- speciale ed esotico. È una cosa terribile la considerazione di se stesso e della donna italiana, in una misura che essere qui sembra non aver significato: conoscersi o conoscere il luogo. Nel suo caso estremizzare le parti di inadeguatezza formale che il contesto gli ha ampiamente costituito attorno sono l’unico modo di concepirsi. Strano da dirsi ma è pura violenza strutturale e resistenza culturale, ovvero la sconfitta di due mondi che invece potrebbero incontrarsi.

[29]                   Vedere donne, presumibilmente non femministe nel senso sovversivo del termine, usare queste categorie ambiguamente di genere e sostanzialmente maschiliste, in cui al maschio caucasico italiano è concesso ipoteticamente l’uso del loro corpo proprio come possesso – discutibile secondo i piani di resistenza e di valutazione femminile- contro l’appropriazione indebita di qualsiasi maschio altro, e qualsiasi modo, già che si rivendica il disprezzo del corpo non italico fosse anche in una proposta consenziente. È questo il razzismo! Intendiamoci non stiamo parlando di gusti e modalità ma proprio di razzismo contro un maschio straniero in quanto tale, a cui si indirizza l’odio che socialmente e politicamente non si riesce a riversare nel maschio caucasico.

[30]                   C’è da rimanere allibiti se gli unici spazi di discussione di tematiche tanto delicate ed importanti sono lasciati a programmi televisivi come Forum che affronta il tema di negri, migranti e violenze con toni da commedia, senza un minimo di problematizzazione sostanziale e necessaria. Mi riferisco alla puntata dell’ 11 dicembre 2018 di Forum, dove in causa una giovane razzista (lei anche descriveva se stessa come tale nei suoi giudizi precisi) accusava un giovane istruttore negro di fitness di averla palpeggiata, lui, difeso dalla sua bella compagna di mezz’età. Basterebbe una puntata come quella a definire il trattamento tematico di questioni grandi come, razzismo, violenza, e disprezzo, ma anche per veicolare un discorso sul valore del corpo come medium sociale. Io tengo sempre presente l’intelligente posizione di Bastide tra Brasile e Francia, sulle coppie miste e sul complesso ruolo di potere che unisce queste relazioni.

[31]                   Ennesima occasione per rinfacciare alla giunta comunale ed in senso lato ed allo stato problemi sociali denunciati direttamente o flebilmente sussurrati fra i denti, e in sostanza la paura di assomigliare al senso di depauperamento e di miseria che si vede e ci si riconosce attorno perché soggetti vicini a questi ‘pirati stranieri’. Se è questo il sotto pensiero dietro ad alcuni insulti, cartelloni, e marcia in strada, ci troviamo ancora una volta davanti all’uso/abuso di uno stereotipo universale (e categoria) per nasconderci dietro la paura di perdita di considerazione e di umanità. Per assurdo ci si vuole distanziare dalla vicenda perché se essa è inumana e non ci appartiene allora pertiene all’altro da sé quello buio altro… di negri, migranti, musulmani etc. la categoria dei subumani secondo un non esplicitato pensiero e prassi politico-sociale delle frontiere, che i cittadini, loro sì, hanno ben capito e sanno come usare per sfogarsi, additare ed accusare.

La complessità del caso di Desirée si complica per la storia famigliare, per la dipendenza da droghe che determina in una misura chiara gli esiti possibili di connivenza ed assuefazione all’uso, abuso del proprio corpo e al degrado (problematica che per le donne dipendenti si acutizza), per le facili accuse e per le omertà. La tragicità smette di far pensare a chi ha concorso alle mancanze che ne hanno permesso lo stupro e la morte. Chi era dentro lo stabile abbandonato? Non c’erano italiani tossicodipendenti e spacciatori? In che misura anche loro avrebbero potuto evitare la violenza e lo stupro di Desirée? Basta un negro ed un migrante che paghino per tutti?! È questa la giustizia, ci accontentiamo del chiaroscuro di silenzi, travisamenti, incapacità di autodifesa, bianche omertà ed accuse supposte!? Ringrazio la dottoressa Albini per avermi fatto riflettere anche su questi aspetti irrisolti ed aperti del caso Desirée.

[32]                   È sorprendente come questo sia uno degli ultimi casi di inversione di genere, dove cioè il primato è di inferiorità. Antropologicamente trattandosi di un rovesciamento è molto chiaro. Se il pensiero dominante dell’occidentale bianco è il punto massimo, il punto minimo non sono la donna i bambini, i vecchi, i disabili, gli omosessuali bianchi, bensì il punto massimo dell’etnia o popolazione con cui si confligge, dunque l’uomo altro, nella sua specificità di genere maschio, a chiosa roboante della sua monumentale caduta. Un esempio la caduta della statua di Saddam, E il presumibile corpo di Bin Laden abbandonato volutamente, si dice, nel mare.

[33]                   Che è sovente la testimonianza della mancanza di un proprio sé a cui fare riferimento e con cui comunicare col mondo fuori da sé.

[34]                   Sono convinto che persino l’emergere di identificazione di alcuni terroristi con l’ISIS, nasca da un banale senso di disparità sociale, di isolamento e sensazione di inadeguatezza sostanziale, per cui la percezione del disprezzo latente o diretto, rivendica un’appartenenza radicale e terribile come quella di commettere omicidi di massa. Se del resto la propria dignità non interessa a nessuno e il proprio corpo e stigma di una presunta inferiorità, è naturale rivolgersi a qualsiasi elemento che dia un senso di appartenenza reale, per quanto radicale esso sia, e in questo senso il corpo che si fa esplodere risponde ad una denigrazione e discredito della sua utilità là dove sentendosi respinto nel contesto in cui vive, facendosi esplode raggiunge l’unica considerazione possibile, l’amore universale spirituale del sacro divino. È assurdo e psicologicamente è una distorsione del senso che ha però la sua presa sostanziale ed immediata.

[35]                   È un peccato che storicamente le affermazioni di rivendicazione identitaria avvengano sempre nelle ali politiche, religiose o di schieramenti ideologizzati. Mi sembra che avvenendo in siffatta modalità riducano in frantumi il senso vero di umanità rivendicata, dalle fasce sociali politicamente e culturalmente più fragili perché dai partiti e dal potere lontane e dai palazzi della cultura spesso non conosciuti. Mi riferisco al fatto che anche la legittimità culturale di Scego avviene nella prospettiva di uno schieramento ideologico che si può ben considerare come la sinistra italiana, europea e mondiale o tutt’al più del centro e quindi delle lotte e della cultura dialettica, positivista e post sessantottina che ha in risposta alla durezza della destra è all’uso della forza, utilizza l’arma della parola e dell’inclusione in favore del Graal Culturale e multietnico, anche se poi non lo è né di fatto né direttamente, riducendosi ad essere invece una posizioni limatrice, blandamente inclusiva, nel senso che chiaramente i modi in cui quest’inclusione avviene sono sempre quelli del potere, delle conoscenze, delle affinità di casta e degli allori o consacrazioni culturali! So bene che è difficile se non impossibile sradicarsi dalla storia e dai contesti oggettivi di autoaffermazione ma vedo che allora ciò che interessa non è la verità di un diritto di degna esistenza degli esseri umani in quanto tali, ma la lotta fra differenti ed articolati poteri destra, sinistra, centro, religioni, ideologie per il primato dell’autenticità e verità universale: si tratta di un dominio dentro ad una lotta storicizzata. Il presupposto stesso di una verità universale è di per sé retorico ancor più che terribile. Forse ancora più preoccupante che chi non si schiera fatica ad avere voce e deve ricorrere solo alle proprie risorse! Certo il vantaggio è un recupero di libertà ed un dominio del sé individuale e non necessariamente individualista.

[36]                   Titolo provocatorio quanto efficace.

[37]                   Questa contraddizione tutta italiana, del corpo vivo di un intellettuale negra, che sa un po’ di rivendicazione culturale meriterebbe davvero uno studio (accademico o non) sull’immaginario che ne consegue.

[38]                   Sorniona è la posizione del PD negli ultimi  (col lascito della Sinistra) vent’anni e rispetto i fatti di cronaca, all’inasprimento della destra radicale che giornali,  blog, media e cronaca in modo capillare testimoniano almeno dal ‘99 del secolo scorso; sorniona è l’elezione a senatore di Toni Iwobi da parte della Lega già dimentichi delle assurdità dette dalla Lega degli anni 80 e 90, non ultimi i suoi cartelli razzisti anche recenti; sorniona è la figura mediatica di un Salvini che tra “ruspe” e frasette da coito fugace dell’io fa credere ad un presumibile popolo italico di essergli vicino ( chi sono questi Italiani a cui si rivolge e quali vantaggi esistenziali, pratici e culturali porta ad essi se non come ho già detto il “coito fugace dell’io”!?); sornione è l’atteggiamento politico di considerare tutto solo in una logica economica, di tagli e di riforme economiche; sorniona è la spallata di Forza Italia e del PD e degli Industriali che ora, solo ora, criticano Lega-CinqueStelle sui conti (è sì perché è solo lì che si misura il lavoro di un politico); sornione è il patto LegaCinqueStelle che suggerisce un eldorado utopico, inarrivabile e sorniona è la partecipazione nazional-popolare di Salvini anche in trasmissioni “Benetton” -bimbi multietnici spiritosi, puliti, intelligenti e pronti a rivendicare l’io ludico dell’infanzia blandamente borghese?- trasmissione fintamente innocente e livellatrice  alla; “ Ma si volemose bene noi cittadini” … dove tutto finisce con balletti e canzoncine di sfogo ad una frustrazione inarticolata e soffocata nel fondo dello stomaco nazionale.

[39]                   Che io accetto solo come metafora e tradizione storica della sofferenza dei più deboli, e che non può essere universale sia ben inteso né avere rivendicazioni realmente dermiche, ci mancherebbe!

[40]                   Lo spessore culturale di Igiaba Scego, oltre a quello di articolista su Internazionale è più articolato infatti, rivendica il suo carattere di romanità, è presente sul mondo internet in siti importanti come Nazione Indiana da almeno quindici anni (anche in Tweeter e Facebook ), è specialista di letteratura brasiliana, ed è insieme a molti altri e altre un punto d’unione tra seconda e terza generazione. Ringrazio Pina Piccolo per avermi precisato aspetti che non conoscevo di Scego.

[41]                   La solitudine a cui mi riferisco è sostanziale nel senso che mancano elementi di condivisione e contrasto in cui riconoscere la propria matrice di soggetti pubblici che dialogano, si criticano dialetticamente e crescono portando una visione ed una rivoluzione ideologica sostanziale negli individui, una voglia in questo senso di mantenere l’eredità di provenienza, l’eredità dell’esperienza di viaggiatori, di migranti e di apolidi, prima ancora che di italiani e di europee. Una coralità o un senso di appartenenza potrebbe darlo la tradizione delle rivolte e poi per la lotta per i diritti dei negri in America, come in Africa, ugualmente lo sarebbero le lotte per i diritti delle donne, della comunità LGBT, e dei diversamente abili, ma è chiaro che a loro volta sono sotto categorie nascoste e/o marchiate all’interno dei grandi gruppi di cui fanno parte. L’ultimo ventennio potrebbe far pensare che ci sia una ormai una tradizione migrante che può rivendicare i propri diritti, ma ironia della sorte per via della mancanza di un luogo specifico in cui inquadrare la base di queste lotte, per problemi linguistici, per la mancanza di obbiettivi comuni e la comprensione sovranazionale di combattere tutti insieme la stessa sfida epocale non può che essere demagogia, ed una coacervo di fuochi dispersi il sentimento di indignazione verso il massacro dei migranti. Anche per questo motivo, per il valore storico – di tradizione- e simbolico io intendo oggi per negri una condizione che ha implicitamente la nozione di migrazione (forzata al tempo della prima tratta) oltre a quella di differenza e per migranti la condizione di apolidi, i due termini uniti hanno una portata storica mai raggiunta in nessun periodo della storia umana conosciuta. Ha infatti i caratteri della mondialità, la trasversalità sociale, l’urgenza e la caratteristica di essere sempre massa in cerca di prospettive di umanità, ovvero possibilità di vita. Un caso a sé raro se non unico è la polivalenza della StoRecords, di Dikele-Ghali-Bamba, che raccoglie nel suo impegno di etichetta indipendente diversi artisti di seconda generazione, senza snobbare quelli italiani (è il caso di Capoplaza). Nella sua natura, la casa discografica rappresenta una forma di intellighenzia culturale, legata alle leggi del mercato e della pubblicità molto interessante. Ci si può certo domandare se il dato economico limiti l’espressività e la scelta di un discorso artistico e culturale autonomo, ma si tratta di una questione di facciata laddove movimenti, enti ed istituzioni del passato sono sorti con o senza l’avvallo del dato economico (o almeno non è stato esso determinante). Le possibilità espressive dei media oggi, tra cui anche YouTube ed il semplice telefonino, insieme ai social, dimostrano che l’espressione basta a se stessa e che anzi essa ha il potenziale di sovvertire le leggi di mercato e le regole dell’intellighenzia. A tal proposito BelloFigo è un caso esemplare.

[42]                   Se è vero che nel rap come nella trap esistano forme di solidarietà e comunità di gruppo, nella sostanza manca a chi emerge fra questi amici un soggetto altrettanto forte ed affermato con cui fare discorso comune, soprattutto pubblico, con cui confrontarsi.

[43]                   Scego però si affaccia a due grandi tradizioni, la prima è quella della storia dove le parole, le lotte e le testimonianze sono un lascito davvero universale, la seconda, minore ma a cui non siamo come civiltà mondiale ancora arrivati, a quella degli intellettuali che- oltre i confini in cui si muovono e vivono- si rivolgono all’umanità, alla natura, al mondo intero. A questa categoria, insieme ai compagni di lamacchinasognante e certamente a centinaia di persone volte ad un sentimento di unità, corrispondenza col mondo, mi sento nel mio piccolo di appartenere.

[44]                   Di fatto il lavoro pioneristico lo si deve alla dottoressa Joaneath Spicer ed al suo lavoro vasto e pioneristico Revealing the African Presence in Renaissance Europe (2012, WAM, Baltimora). Colgo l’occasione per ringraziare la dottoressa Spicer per l’intervista che mi ha concesso e che comparirà prossimamente su The Dreaming Machine. In ogni modo mi sembra ridicolo come l’attestazione di originalità e di primato tenga come punto centrale o pensiero dominante l’occidente. Perché non la presenza di migranti e negri in Olanda, o la presenza di norvegesi e migranti a Zanzibar, capisco che la mia sembra una provocazione, ma si tratta di mettere in discussione il primato di dignità di parola, di critica e di discussione occidentale. È tempo di parlare del mondo, di essere mondo, questo nient’altro che questo ci dicono le migrazioni e la presunta crisi dell’occidente. Davanti alle migliaia di persone morte nei mari e nelle frontiere, a quelle che sono morte una volta entrate perché senza diritti o senza la consapevolezza di averli (questi fottutissimi diritti!), ed a quelli che si apprestano a rinverdire la bassa fascia sociale proprio per la condizione di stranieri, è una vergogna parlare di crisi dell’occidente. La crisi- problematicità e sofferenza- è dei migranti. Incominciamo a riconoscere loro almeno questo. A noi come occidente rimangono l’immobilità e la vergogna!

[45]                   Con ironia marcante uso ormai questo termine per screditare il mito d’un italianità come di bianchi da Pool Genico puro e conseguentemente latentemente o direttamente razzisti. Ricordo che negli studi degli Europei e semplicemente degli studiosi tedeschi la razza italiana era notoriamente nota come Razza Bastarda, per la sua peculiarità di popolo invaso e popolo migrante.

[46]                   Come il gramsciano Luciano Bianciardi forse noterebbe.

[47]                   Anche qui a parte le eccedenze storiche secondo l’ottica di Burgio, il limite storico è ragion sufficiente della propria rappresentazione ed autorappresentazione, ci tengo a far notare come ad esempio in un testo come The art book : dalla a alla z (1998, Mondadori) riferimenti a negri e persone non caucasiche del resto del mondo si riducono a tre o quattro quadri e tre o quattro pittori. Come lo fu per l’uso della figura femminile e nella sua esclusione dai ruoli ed amministrazione di lavoro e leggi, che articolano la vita civile di uno stato, si tratta ormai di una grave mancanza. Ovviamente se il punto chiave fosse la gestione egalitaria più che democratica della gestione della cosa pubblica e l’atto di parteciparvi fosse più onere che un mezzo di ego-ludibrio, ed arricchimento è ovvio che si tratterebbe di mettere in discussioni meccanismi di potere come il denaro, e la gestione delle risorse, e il potere legiferante. Negri e Migranti anche qualora non consapevoli denunciano proprio questo, con il loro sacrificio di tentare un’esistenza dentro le mura del potere.

[48]                   Nel mio caso Negro a Milano: il Neorealismo miracolo ma non troppo! è nato da una semplice curiosità propriamente, dallo stupore che nessuno sapesse dirmi qualcosa riguardo della coppia mista del nero e della bianca.

[49]                   Non esiste per me altro modo di essere fieri della propria traiettoria che diviene storica attraverso le nostre parole, i nostri fatti e la nostra affermazione autocosciente. Solo in questo senso, lo sforzo diviene un privilegio ed una forma consapevole – furentemente – libera di determinarsi con precisione.

[50]                   È in sé una licenza d’accusa concessa nel contesto ideologico di sinistra, e che accusa di conseguenza la destra, ma in senso lato è verso l’ignoranza di chi non conosce la propria cultura e rivendica l’italianità. In questo caso il gioco sottile di rivendicazioni ed accusa reitera la logica del potere ed io non sono in questo caso incline ad appoggiare una posizione intellettuale contro una oggettivamente ignorante del dato culturale. Il sapere se non condiviso e goduto collettivamente è un privilegio privo di nobiltà. Un’egemonia esecrabile. Non credo infatti che uno debba conoscere dei quadri e la loro storia per non essere ignorante ma se conosce solo la propria storia di individuo familiarista a quale italianità o cittadinanza fa riferimento?! – D’altro canto ignorare i valori che una cultura custodisce e sviluppa, significa essere tagliati fuori dall’esperienza di godimento della propria cultura, e quindi di una parte di sé.

[51]                   Mi riferisco proprio all’esempio classico di Saper vedere di Matteo Marangoni.

 

Immagine di copertina: Foto di Melina Piccolo.

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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