“Il sonno della ragione genera mostri”. La vicenda della Sea Watch 3 ha rivelato – in tutta la sua preoccupante evidenza – la portata di un fenomeno che sta invadendo la nostra quotidianità e che spesso non riusciamo a percepire perché ci siamo come assuefatti a una consuetudine: smettere di esercitare la capacità di ragionamento.
La questione della Sea Watch poteva essere affrontata in due modi: cercare di restare lucidi e di capire il senso degli eventi, oppure correre sui social per dispensare l’ennesimo commento irragionevole e “di pancia”. Di questi due approcci – senza smentire una tendenza che ormai pare diventata costante – è indubbiamente prevalso il secondo. Le urla dei molti – attraverso il megafono dei mass-media – hanno sommerso gli sforzi di chi ha provato ad analizzare i fatti in modo equanime e obiettivo. È prevalsa la seconda soluzione perché è facile accogliere acriticamente uno slogan accattivante e sostenere le tesi di chi grida più forte.
È difficile, invece, cercare di farsi strada tra le tante assurdità che sono state dette e scritte negli ultimi giorni per individuare la domanda più importante da porsi intorno alla faccenda Sea Watch: qual è la verità? I vari tuttologi e opinionisti che hanno – con instancabile zelo – dispensato i loro commenti, invece, si sono preoccupati di dare risposta a un altro quesito che non solo non è pertinente, ma persino deforma i contorni di questa vicenda: chi ha ragione? E la riposta è stata scrosciante: un rumoroso endorsement ora a favore di Capitan-Salvini, strenuo difensore della legge; ora a favore della Meloni che – con gli occhi fuori dalle orbite – prepara i cannoni per affondare la nave; ora pure a favore di un centro-sinistra che finalmente torna alla ribalta ed eroicamente sale a bordo della nave-corsara.
Nella confusione, fatica a farsi strada una verità, netta e non aggirabile. Che la Sea Watch è stata strumentalmente impugnata – da più parti e colori politici – per un solo motivo: accumulare consenso e “avere ragione”. In questa battaglia navale infame in cui tanti hanno voluto dimostrare di avere ragione, la ragione, quella vera, non si è vista.
Un grande “J’accuse” – con numerose articolazioni interne – è la sola reazione che qualunque sensibilità assennata potrebbe/dovrebbe manifestare dinnanzi al triste teatrino che si è consumato dinnanzi a Lampedusa. Ed io lancio un “J’accuse” in più direzioni, tenendo sottomano due strumenti di navigazione imprescindibili nei marosi dell’insensatezza collettiva: la ragione e la verità.
Il primo J’accuse va a te, Matteo Salvini e al tuo partito. Ti accuso perché non dimentico: non dimentico chi sei stato in un recente passato e non dimentico chi sei adesso: sei un trasformista, da sempre. Io sono siciliana e tu – prima di ergerti a difensore dei confini italiani – dichiaravi di usare il tricolore come carta igienica. Per anni, hai disprezzato l’idea stessa di un’Italia unita: incensavi la Padania e vomitavi odio contro i meridionali ladri (e questo, a quanto pare, molti dei miei conterranei l’hanno rimosso). Oggi, hai capito che conviene di più se l’Italia resta unita, pronta a seguire ovunque il suo capitano paladino delle leggi. Sbandieri i valori della legalità e della sicurezza: la verità è che non hai valori e che sei pronto a brandire, di volta in volta, quelli che ti consentono di raccattare voti. Sbraiti contro l’Europa e fai la voce grossa perché, nell’emergenza migranti, tutti i Paesi dell’Unione Europea si assumano le loro responsabilità, ma la verità ti inchioda e rivela ciò che sei: un mistificatore. Da assenteista cronico, perseveri nel tuo stacanovismo: su 7 sedute del Consiglio europeo, concernenti il tema dell’immigrazione, ne hai disertate 6. Ovviamente, era prioritario partecipare alle sagre, alle ospitate televisive e invocare il cuore immacolato di Maria in pubblica piazza. Matteo Salvini, nelle tue recenti dirette su Facebook (perché, giustamente, è questo il modo di avviare una contrattazione diplomatica con i colleghi europei) hai omesso di dire, ai tuoi affezionati followers che, mentre denunciavi l’attracco illegale di una nave con 42 persone a bordo, a Lampedusa – solo nell’ultimo mese – sono già sbarcate 300 persone. Quelli che si sono spellati le mani per applaudirti, non si sono minimamente preoccupati di provare a sentire qualche voce diversa dalla tua, tipo quella di Totò Martello, sindaco di Lampedusa, che ha tentato di far notare un semplice dato: a Lampedusa i porti non sono mai stati chiusi, gli sbarchi continuano e la Sea Watch è stata solo una ghiotta occasione per rinfocolare la polemica della Lega contro le Ong. Ma tutto questo non va detto: meglio far credere agli italiani che gli sbarchi sono diminuiti e che in Europa Salvini convincerà i suoi colleghi, con le buone o con le cattive, a non lasciare sola l’Italia nell’accoglienza migranti. Magari li convincerà per via telepatica, così si risparmia sul costo dei viaggi e si inquina di meno: in solo colpo, si pone un rattoppo ai 49 milioni di euro dilapidati dalla Lega e rimane contenta anche Greta Thunberg.
Il secondo J’accuse va a te, Luigi Di Maio e al tuo partito (no – pardon – “movimento”, “partito” è una brutta parola). Luigi Di Maio, tu hai chiesto all’Europa di “battere un colpo” (parole tue) intorno alla Sea Watch e di chiarire dove saranno ricollocati i migranti. Io, invece, chiedo – ripetendo l’antifona – proprio al Movimento 5 Stelle di battere un colpo sulla questione immigrazione perché i fatti, anche in questo caso, parlano chiaro. A proposito della Convenzione di Dublino che contempla il principio assurdo del “primo ingresso”, in base al quale è chiamato a fornire ospitalità e valutare le richieste d’asilo il primo Paese dell’Unione Europea in cui è avvenuto l’ingresso del migrante (assurdo perché, ovviamente, la responsabilità ricadrebbe sempre su quei Paesi che, per posizione geografica, sono necessariamente i luoghi del “primo ingresso”), il Movimento 5 Stelle si aggregò al fronte che bocciò, nel giugno 2018 (quando già il Movimento era al governo insieme alla Lega), una proposta di riforma discussa – dopo faticosissime contrattazioni – nel Consiglio europeo. Quella riforma, è vero, ancora avrebbe dovuto subire modifiche in vari punti, ma avrebbe comunque costituito un primo passo verso una più efficiente ed equa gestione dei flussi migratori. Ad oggi, dopo quella bocciatura, il problema della redistribuzione dei migranti resta aperto e stagnante e il Movimento 5 Stelle continua strategicamente ad aggirare il tema appellandosi ad “altre priorità” o lasciando la parola alla Lega. Di tanto in tanto, Di Maio tuona contro gli scafisti e le Ong, ma fattivamente il Movimento ha scelto la strada che, del resto, ha ormai imboccato in vari campi: prendersela con qualcun altro e fare vuota opposizione.
Ma il mio J’accuse non è solo per te Luigi Di Maio, oppositore politico di professione (anche quando sei alla maggioranza) e Matteo Salvini, che pure vieni da molti additato come il grande cattivo del momento. Voi siete il prodotto deprimente di un malessere che è stato, per lungo tempo, ignorato e poi interpretato in un modo comodo. In fondo, è quasi confortante credere che una nube di follia, inspiegabilmente, sia calata sull’Italia e che la colpa di una rabbia epidemica vada addossata a demagoghi senza scrupoli intenti a fomentare paure e risentimenti. In questo modo, ogni responsabilità è rimossa: gli italiani sono impazziti e sulla loro pazzia fa leva qualche arringatore.
Il centro-sinistra che continua a denunciare un diffuso clima di intolleranza, accortamente, evita di menzionare le cause di questo morbo; ma la ragione (sempre la ragione) rivela impietosamente come stanno le cose. La guerra tra poveri che sta imperversando in Italia, i consensi crescenti conquistati dalla Lega – soprattutto sul fronte immigrazione – hanno delle radici che vanno ricercate in un centro-sinistra completamente incapace (o forse disinteressato a farlo) di promuovere un minimo di welfare, di battersi per uno “stato sociale” in cui “nessuno venga lasciato indietro” (per citare le parole di Simone). Mentre nella comodità dei tuoi salotti, caro PD, tu pontificavi contro i burini razzisti di Torre Maura e ti concedevi il lusso di correggere gli errori grammaticali di un ragazzo, l’odio si diffondeva. Torre Maura è stata lo specchio fedele di una realtà che interessa l’intero Paese: componenti sociali relegate alla periferia e prive di servizi che con qualcuno devono pur prendersela e quel qualcuno, spesso, è un altro abitante della periferia, un vicino non responsabile del degrado. Quando le forze politiche che dovrebbero rappresentare – in sede istituzionale – le componenti sociali più deboli e bisognose rinunciano al loro ruolo, è inevitabile che il rancore di quelle componenti sociali prenda di mira i bersagli più vicini: perché lo Stato e le sue mancanze sono avvertiti come realtà troppo lontane, così lontane da non poter essere neppure oggetto di un’accusa.
Mentre tu, caro PD, mandi a bordo della Sea Watch i tuoi araldi solidali, comprensibilmente, una parte d’Italia si chiede dove sia stato, per tutto questo tempo, il centro-sinistra. Quando Salvini giurava sul Vangelo e Di Maio lanciava il reddito di cittadinanza, quando tante Torre Maura restavano inascoltate, cosa ha fatto il partito che teoricamente dovrebbe stare dalla parte di quello che – volendo usare un termine forse anacronistico, ma efficace – una volta si chiamava “popolo”? Adesso, la sfilata sulla Sea Watch produce una sola impressione: quella di un estremo tentativo di riconquistare una qualche credibilità politica dopo un lungo e colpevole silenzio.
Un altro J’accuse va alla Corte europea dei diritti dell’uomo, emblema eloquente di un’Europa sempre ansiosa di intervenire sulla moneta e sui punti di PIL, tiepida e incapace di agire quando occorre decidere intorno al tema “esseri umani”. Già, la Cedu è tra i maggiori artefici di un caso mediatico che non sarebbe dovuto sussistere fin dal principio: praticamente è stata respinta una richiesta di sbarco ma, al contempo, è stato lanciato l’invito alle autorità italiane di fornire alla nave la necessaria assistenza. Mi chiedo quale fosse il fine ultimo di questa sentenza: la Sea Watch cosa avrebbe dovuto fare esattamente? Costituire una specie di micro-Stato autonomo nel centro del Mediterraneo sotto il presidio dell’Italia?
E, infine, accuso voi, opinionisti televisivi, influencers, twitters compulsivi, youtubers esagitati; voi che sentite sempre il dovere di esprimervi su fatti intorno ai quali vi documentate in modo superficiale o non vi documentate affatto. Disponete di tutti i mezzi per poter comprendere il significato di un avvenimento e per poter discernere il vero dal falso e, nonostante tutto, preferite fare la ressa intorno al politico-superstar del momento.
Il caso della Sea Watch è stato il catalizzatore di tante colpe, dei deliri un’opinione pubblica abituata a mettere in standby il cervello, di un’Europa unita solo nel nome, divisa in tutto il resto.
Sulla questione della Sea Watch 3, una delle reazioni più sensate che circolano sul web paradossalmente proviene da un comico: Roberto Lipari. Quando una situazione assume i contorni di una (amara) farsa, il commento a caldo che intorno a quella situazione puoi formulare è esso stesso una farsa. Roberto Lipari, da grande osservatore di fenomeni quale è, intitola il suo intervento: “Come scrivere un post sui migranti” e sviscera il kit di sopravvivenza dell’opinionista-tipo: luoghi comuni, indignazione, scarsa informazione. Alla fine, un discorso che doveva essere incentrato sui migranti, sfocia in una scomposta invettiva no-sense sulla sciagura del cambio lira-euro, sull’umidità, sull’inutilità della laurea.
I veri naufraghi, quelli che stanno correndo il rischio di affogare nei flutti dei nostri paradossi siamo proprio noi, europei illusi di essere all’asciutto. Se, in una realtà fatta di 28 Stati membri, basta l’arrivo di 42 persone a scatenare un caso diplomatico, evidentemente qualcosa non funziona. Non funziona l’irrazionalità di cui siamo prigionieri, la nostra abitudine a ignorare la verità che, in fondo, è sempre una cosa semplice: un insieme di fatti da mettere pazientemente in fila e da osservare con onestà intellettuale.
Alla fine dei conti, in una contesa europea in cui molti si sono appellati a un principio di responsabilità: alcuni alla responsabilità di difendere il confine, altri alla responsabilità di applicare la legge, altri ancora alla responsabilità di arginare una tendenza xenofoba, quelli che si sono apertamente assunti la responsabilità di violare delle leggi e di risponderne in sede magistratuale sono stati i componenti dell’equipaggio della Sea Watch, trovatisi al centro di un coacervo di interessi divergenti, ma concordi su un’unica volontà centrale: che l’intera vicenda si risolvesse con un atto illegale da usare come pedina di un gioco politico in cui non interessa veramente il problema degli sbarchi, dell’emergenza umanitaria, della legalità, della collaborazione tra Stati: interessa solo conquistare più voti in vista della la prossima contesa elettorale e chi si è visto si è visto.
Tra l’altro, per restare in tema di responsabilità, chiariamo pure per quale motivo si sia resa necessaria l’azione delle Ong nel Mediterraneo, oggetto di invettive che – anche questa volta – derivano dalla mancanza di informazione o dalla disinformazione sui fatti. Le Ong hanno semplicemente risposto all’insufficienza/inefficacia delle iniziative europee nel fronteggiare l’emergenza rimasta aperta nel Mediterraneo. Pietro Bartolo che, a occhio e croce, ne sa qualcosa a proposito del fenomeno degli sbarchi, giustamente e a più riprese ha rilevato il fatto che le Ong hanno colmato un vuoto.
Il fatto che, da circa 8 anni, gli sbarchi non si siano mai fermati e che il Mediterraneo sia diventato teatro di continui naufragi dovrebbe seriamente far meditare l’opinione pubblica sulla questione della responsabilità: sono responsabili le Ong che intervengono dove l’Europa mostra tutta sua inefficienza o è proprio l’Europa inefficiente a dover essere condotta al banco d’accusa?
Il dispiegamento (italiano) di Mare Nostrum e poi delle europee Operazione Triton e Operazione Themis non ha risolto il fenomeno degli sbarchi. In ogni caso, finché proseguono le pericolose traversate via mare dei migranti, ogni misura di intervento porrebbe solo un rattoppo a un problema che resterebbe comunque aperto. Il progetto su cui occorre puntare, come ripete instancabilmente Pietro Bartolo e, insieme a lui, Gino Strada (un’altra personalità che ne sa qualcosa) sarebbe predisporre corridoi umanitari per consentire spostamenti e arrivi sicuri. Su questo punto, l’Unione Europea non ha ancora seriamente intavolato una discussione e quindi I barconi continuano ad essere numerosi e continuano ad essere troppo limitati gli strumenti dell’UE per gestirli. Le Ong sono subentrate proprio per sopperire a queste carenze strutturali enormi.
E, a fronte di queste carenze, eliminare le Ong dal Mediterraneo sarebbe l’ultimo atto irresponsabile di un’Europa che sembra voler, a ogni costo, ignorare l’esistenza di un’emergenza sotto gli occhi di tutti.
Nel brusio di una propaganda elettorale senza fine, tutti questi dati, cristallini e sconcertanti, vengono spesso omessi o aggirati. E, se la prassi della politica è ormai quella di occultare la verità, da parte degli elettori è invalsa l’abitudine di non fare alcuno sforzo per ricercarla, la verità: basta lasciarsi trascinare dalla corrente della vox populi.
L’umidità, la lira, la laurea inutile, si stava meglio quando si stava peggio, basta che c’è la salute, non c’è più religione, il libro è meglio del film, quando c’era LVI si dormiva con le porte aperte e i treni arrivavano in orario… ma sì, tra pochi giorni, la Sea Watch sarà solo un ricordo e torneremo alla routine di sempre: i nostri luoghi comuni, le nostre certezze incrollabili, la nostra ignoranza che si bea di se stessa.
Bisogna solo aspettare le prossime elezioni: allora sì che cambierà tutto… la nostra colpevole ignoranza, solo quella, resterà la stessa.
Per gentile concessione dell’autrice
Ecco il link al video di Roberto Lipari che insegna come si scrive “Un post sui migranti”
Paola Rizzo. Sono nata nel 1997, studio Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Messina. Ho la certezza che le discipline umanistiche possano svolgere una fondamentale funzione civilizzatrice anche (e soprattutto) oggi, in un tempo che spesso si rivela disumano. Mi piace ragionare intorno alle lettere e alle arti e andare in cerca dell’uomo attraverso ciò che leggo, osservo, ascolto. Scrivo tenendo sempre a mente le parole di Franco Fortini – “Nulla è sicuro, ma scrivi.” – nella speranza che qualcosa, in questo ombroso ventunesimo secolo, torni ad essere sicuro: almeno la nostra umanità.
Immagine di copertina: Foto di Teri Allen Piccolo.