Tutto cominciò con un amore, di Susy, per il suo bassista.
La voce di Graziani s’insinuava negli svincoli del tempo lungo una strada che aspirava alla Salerno-Reggio Calabria.
Tra mappe cartacee e visioni satellitari la rotta si faceva confusionaria, a tratti incerta, ed Ivan aggiungeva dell’ambiguità con quel MA.
Sì, il bassista ha a casa un’altra donna che l’aspetta MA intanto la teneva stretta stretta, la suddetta Susy. Per ben 2 volte la teneva stretta. Ipocrita!
Per ben due volte ci siamo persi con la Basilicata che è diventata Abruzzo ed è tornata Basilicata.
Poi quelle strade irte fatte di campi e balle di fieno, con casolari che si accampavano all’improvviso dopo aver sostato per decenni negli anni 50, iniziarono a comprendere un’indicazione per una statale.
Senza capire se Susy suonasse walzer col mandolino oppure avesse forme molto armoniche ci ritrovammo in Calabria. Col dubbio che Susy avesse incontrato nello specchio un’altra donna o soltanto il proprio cigno nero eravamo sicuri di essere entrati in Calabria?
Quella famigerata Salerno Reggio Calabria tanto decantata per malora e inefficienza filava liscia e caparbia. Ebbi l’impressione che la Calabria volesse camuffarsi, nascondersi tra le altre regioni, e non volesse proprio essere trovata e raggiunta. L’SS18 diviene A2 che sulle cartine viene indicata come A3, ma da qualche parte anche come E45, scialbo memento europeo, strade statali che diventano provinciali, province che diventano contrade, contrade che diventano arterie trasversali tangenti e tangenziali parallele perpendicolari elevate al quadrato.
Ma intanto quella famigerata autostrada si mostra efficiente e del tutto gratuita… che rientri in un’ottica di “dare un colpo al cerchio e uno alla botte?” Oppure, vista l’abitudine a pagare per tutto, che sia un metodo per destare sospetti, far pensare “se è gratuito, dev’esserci qualcosa che non va, meglio starne lontani…” ?
Una telefonata ci dona l’ultima definitiva destinazione. Marco guida ed ascolta; da copilota cointerlocutrice capisco che c’è stato un passaggio di telefono dalle mani di Pina a un altro che guida e parla; Marco è divertito dalla chiassosità calabrocaliforniana calabra. Di lì a poco avremmo incontrato Pina a Guardavalle Marina! inserisci la destinazione sul navigatore guarda dove sta Guardavalle Marina sulla mappa cartacea ma veramente stavamo arrivando? Da quel momento non c’è stato più il momento di pensare da dove eravamo partiti e dove dovevamo andare (salvo il dover inserire nuove destinazioni e prendere in mano molte volte lo stradario lungo i molti chilometri percorsi in una settimana).
Al bar davanti alla stazione di Guardavalle Marina ci ha accolti, seduto ad un tavolino, un signore che aveva abbandonato tristezza e denti nel tragitto percorso in 100 anni.
“Italiani?” ci chiede, ma noi siamo troppo stanchi e distratti per arricchire prontamente il dialogo.
“Italiani, non Calabresi?” – ci sollecita l’anziano – e intanto ci fa gesto di sedersi accanto a lui, ma non abbiamo neanche il tempo di pensare di sederci che sulla strada vediamo avvicinarsi Pina.
Il tempo di un caffè e una bevanda al bergamotto e ci rimettiamo in viaggio verso la casa della poetessa, non sappiamo esattamente dov’è ma ci arriveremo chiedendo indicazioni ai bambini che giocano sulla strada di Riace.
La strada sale dolcemente attraverso meravigliosi calanchi naturali e cartelli corredati da meravigliosi fori artificiali.
“Sono fori… di… proiettili?” Chiedo a Pina prendendomi il tempo di domandarmi come potrebbe prendere quella domanda; “Sì sì sì, per spaventare i toscani intimoriti come voi”, se la ride Pina e ci prende in giro ed io sono felice che la stiamo prendendo a ridere ma mi sento anche in obbligo di spiegare che il mio non è timore, è curiosità socio antropologica. Forse è connaturato nell’uomo l’istinto di proteggere le proprie bellezze, ma quando la protezione diventa separazione, la bellezza viene forse tradita e abbandonata?
I bambini per strada li troviamo subito e ci corteggiano fino al parcheggio. Dopo un’attesa durata 70 anni Pin è uscito da Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino ed è arrivato a Riace, adesso ha sempre 10 anni ma si chiama Daniele. Ci guida per i vicoli del paese che conosce come le sue tasche e ci traghetta ad incontrare gli ospiti della casa.
Ho un bel cercare la cronistoria della nostra settimana calabrese, sfuggono al controllo i colori, le mura scrostate di cielo, irrompe un’espressione: è Pina che distende lo sguardo tra olivi e fichi d’India, la sua curiosità bambina risalta più forte perché l’enorme conoscenza acquisita nei suoi anni non le dissimula la vita, allora il suo sguardo emerge come brace ardente; il suono della risacca forse solo immaginato, nella deserta notte di Riace, more infilzate in una spiga di grano a comporre un rosario pagano e gustoso; dal nostro attico occasionale abbracciamo quel frammento di terra, il tempo si sospende nella bellezza antica, poi riprende a correre, bussa alle porte di tutto il paese a chiedere motivo di quell’abbandono, di quelle opere iniziate e non finite, di quella ingordigia che è l’azione dell’uomo.
———————————————————————————————————————————
La crema dopo sole che ho posto sulle mensole del mio bagno toscano è una comune crema da corpo utilizzata nel periodo calabrese, un periodo in cui ho preso molto sole. La crema che mi sto spalmando nella mia provvisoria camera toscana me la sono portata con me dal Lidl di Gioia Tauro. Il giorno che l’ho comprata io, Marco e Pina abbiamo attraversato una strada lunga, dritta e molto trafficata. Edifici che avevano conosciuto tempi migliori imploravano pietà nell’indifferenza delle macchine e di pedoni obbligati. Bombole del gas, assi bruciate, telai rovesciati, pali cassette della frutta cassette delle poste cassette audio, scaffali sacchetti di vestiti semi aperti mezzi bruciati, un fiore spontaneo, sopravvissuto al soffocamento di una valigia aperta cotta dal sole… mutande, fazzoletti, viti bulloni, bombolette, un reparto merceria nel reparto mesticheria. Di ritorno da questa passeggiata durata 4 minuti dal Lidl alla nostra casa ristoratrice di Gioia Tauro eravamo molto confusi. Pina se ne è andata a letto con un grande mal di testa. E abbiamo sentito la riconoscenza per quella casa, oasi pacifica offerta da una gentile alleata di resistenza.
A Gioia Tauro ci siamo ritornati io e Marco, prima di riprendere il viaggio verso il nord, prima che il benzinaio ci offrisse l’ultimo momento di convivialità con il caffè appena uscito nel suo ufficio.
Ho voluto esorcizzare quel mal di testa. Ho camminato per quel vialone finché non portava alla fine di sé. Ho raccolto il frammento che adesso trascrivo da un pezzo di carta prima che vada perduto nei miei spostamenti.
12 Agosto 2018
Il nostro tour è concluso. Adesso ci riposiamo nell’unica zona pianeggiante della Calabria, così non può prendermi la smania di camminare in salita fino al punto più alto. Ho camminato in pianura. Ho raggiunto il centro di Gioia Tauro ed ho scoperto che oggi è la festa patronale del paese ma, in assenza del sindaco, sant’Ippolito si fa i cazzi suoi. Non ci sono luminarie, banchetti, bancarelle o concerti. Soltanto i fedeli gli daranno considerazione con una messa fuori orario ed una processione. Colgo intramezzi di dialoghi e mi colpisce la preoccupazione di due uomini per l’assenza di padri di famiglia.
“Non ci sono padri di famiglia”. Così ha concluso uno dei due uomini impegnati in un dialogo. Io mi faccio i cazzi miei in compagnia di Sant’Ippolito, perché ho scoperto che in questa Gioia Tauro esiste una marina. Son decisa a raggiungerla e riprendo a camminare. Incontro larghi spiazzi assolati, questa volta finiti, ma con l’aria di non essere mai utilizzati, anche loro in qualche modo abbandonati. Incontro dei cani randagi ed una fontana. Refrigerio. Un uomo dall’aria docile e rassegnata si rinfresca come me e mi indica di camminare sempre dritto per arrivare al mare. Gli abitanti di questo luogo a cui ho chiesto indicazioni hanno preso a cuore questo compito. Uno si è quasi risentito al mio dire “Chiedo più avanti”. “No, no, non importa!” ha ribattuto lui, “è facilissimo le dico, non si può sbagliare!” Sarò sembrata un po’ ansiosa. Una coppia invece che se ne stava tranquilla su una panchina voleva offrirmi un passaggio perché riteneva che avrei dovuto camminare troppo a lungo. Avevano tutti l’aria rispettosa e mi usavano un certo riguardo, ho avuto l’impressione che parlare italiano per loro fosse già il segnale di una certa elevatezza. La barista del lido che mi ha dato il pezzo di carta dove sto scrivendo mi ha invitata a sedermi dove tira aria, “lo può fare”, mi ha detto. Avrò avuto l’aria di una timorata, di una forestiera non avvezza a certi usi e costumi così libertini. Mi chiede da dove vengo. “Non ci pensare. Siamo a Gioia Tauro”. Risponde così alla mia provenienza.
Come il fiore che si fa spazio dalla valigia aperta si affaccia l’impulso al viaggio. Fra gli abiti di scena un pensiero profumato… “dove vogliamo andare?”
Irene De Matteis Laureata in filosofia del linguaggio, si appassiona ai meccanismi della comunicazione in vari ambiti: la scrittura, la fotografia, il linguaggio corporeo. Alla sua formazione giovanile di danzatrice acrobatica unisce successivamente lo studio del teatro gestuale, continuando però ad esplorare la danza contemporanea. Si specializza in interventi che utilizzano l’arte in spazi ed ambiti non convenzionali (supermercati, uffici postali, stazioni ferroviarie, la strada) e nella ricerca di un incontro fra varie discipline. Attualmente mediatrice artistica a Firenze in “Notte di qualità”, progetto pilota in Italia, già attivo a Parigi e Berlino. Lavora inoltre come pedagogista teatrale e attrice/danzatrice in produzioni di teatro danza ed interventi performativi. http://irenedematteis.wixsite.com/creattiva e http://www.nottediqualita.it/portfolio_page/mediatori-artistici/
Foto dell’autrice a cura di Irene de Matteis.
Immagine in evidenza: Foto a cura di Daniela Maggiulli.