UN CANTO DI GLIFOSATO
a Silvino Talavera
Un ronzio metallico d’aereo
vola basso sui campi al tramonto
fino ad atterrare sul cuore,
questa notte non dormo
mi giro e mi rigiro,
senza sosta ormai.
Il vento agita le palme
e sospinge di qualche metro
una lattina sul cammino,
c’è anche uno zufolio sordo
che non so interpretare.
Il vento agita le palme
e porta un canto di glifosato
a depositarsi sul petto
a cancellarmi il respiro.
QUATTROCENTO QUERCE
a un guardiano del bosco
Quattrocento querce mi corteggiano
in una danza di selva venti e liane
questa notte solo mancano ali di colibrì
per librarmi in cima agli alberi.
Quattrocento gli echi nel cuore
quattrocento o molti di più i morti
su questi monti dormono,
maturano lentamente
coperti da un sonno di abusi
accumulati in forma di foglie,
sono stati quattrocento i colpi
di machete fucile coltelli
quattromila o quattro milioni,
chi ha tenuto i conti?
E abbattevano giovani afflati
abbattevano la rugiada del mattino,
anche il verso dell’uccello alla luna
ancora ripete il grido di donne abortito.
Ma vent’anni fa hai lanciato semi,
hanno resistito a tutti gli assalti:
quattrocento querce mi corteggiano stanotte.
I BORDI DEL MONDO
Un picchio becca i bordi del mondo,
crollerà? Mi chiedi irrequieto.
Cancellati appena dalla nebbia
che contagia questo bosco,
ti rispondo sicura: Ma no!
All’interno echi:
crollerà? Crollerà?
Sembra tutto tranquillo nonostante
la recinzione dell’area riservata
alla caccia cominci qui
nonostante gli aerei volino bassi
fin dove tu ed io
ci siamo spinti alla ricerca
dell’albero che regge il cosmo
con l’intenzione di salire
fino alla costellazione di tuo padre.
Non crolla ancora,
il fruscio delle foglie secche
ci accompagna lungo il sentiero.
Guarda: dal fosso è spuntato un serpente!
E l’impeto di verdi e rossi
scoperchia l’otre del mondo,
da lì arrivano le anime addolorate
con le loro nenie sigillate da secoli
da lì arrivano a farla pagare cara.
Un picchio becca i bordi del mondo
e un suono di tamburo si versa.
Crolla tutto, corriamo.
Ma non lo dico, solo ti abbraccio.
FIUME CAUCA
Io t’ho visto dall’alto di un ponte
fiume Cauca che solchi questa terra dorata,
ma fu in un sogno d’uccello che vidi
i corpi gonfi a pelo d’acqua
gli avvoltoi sbrogliarne le viscere
le gonne logore di tanto oblio.
Quando la verità fa nido sulla mia bocca,
irrompono zattere e un intero popolo le abita.
Sono gli occhi dei senza giustizia ad affacciarsi
i tuoi stessi occhi, fiume Cauca, bruciano ancora.
SALVATAGGIO
Il fiume che mi è stato affianco
per anni in silenzio
oggi mi inonda;
nessuno viene a spalare
tutto accade
rotola verso il finale.
Arriva solo un suono costante
dalle viscere del mondo
con tutta la sua irruenza.
Non serve ritirare le tende
il disastro ha portato via tutto,
anche la tristezza della nonna
che passava tutto il giorno sbuffando
sulla sua sedia a dondolo.
Acque torbide e gelide
hanno appena infradiciato il mio cuore,
anche quello del vicino forse,
l’avevo lasciato lì fuori
esposto come la cassetta della posta
e non ha retto a giorni di inondazione.
Non serve salvare il set di tazzine
souvenir di un viaggio dimenticato
se anche il cieco all’angolo
è già stato fatto evacuare.
Un suono di trapano
mi fa credere che ci sia qualcosa
oltre questa lotta di fango e vita.
Ma niente e nessuno che mi dia una mano
a raccogliere i ricordi sparsi nello zaino
e arginare il sangue delle labbra screpolate della terra.
Niente, neppure un’ombra
a cui offrire un caffè o una sedia
per cui inventare una scusa
affinché mi stia affianco
mentre muoio
con l’illusione di un salvataggio.
LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid). Vive da tempo tra America latina e Italia, attiva in progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa – No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, Premio comunitarismo di Versante Ripido). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengalese e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016), Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018), Paese di occhi e sogni di Andrés Morales (Fili d’Aquilone, Roma, 2019). Membro della giuria del Premio Trilce di Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes.
Immagine di copertina: Foto di Pina Piccolo.