Quando la verità fa nido sulla mia bocca – Cinque poesie di Lucia Cupertino

264530295_1742145022843108_8199838060549726947_n

UN CANTO DI GLIFOSATO

 

      a Silvino Talavera

 

Un ronzio metallico d’aereo

vola basso sui campi al tramonto

fino ad atterrare sul cuore,

questa notte non dormo

mi giro e mi rigiro,

senza sosta ormai.

 

Il vento agita le palme

e sospinge di qualche metro

una lattina sul cammino,

c’è anche uno zufolio sordo

che non so interpretare.

 

Il vento agita le palme

e porta un canto di glifosato

a depositarsi sul petto

a cancellarmi il respiro.

 

 

 QUATTROCENTO QUERCE

a un guardiano del bosco

 

Quattrocento querce mi corteggiano
in una danza di selva venti e liane
questa notte solo mancano ali di colibrì
per librarmi in cima agli alberi.

Quattrocento gli echi nel cuore
quattrocento o molti di più i morti
su questi monti dormono,
maturano lentamente

coperti da un sonno di abusi
accumulati in forma di foglie,
sono stati quattrocento i colpi
di machete fucile coltelli
quattromila o quattro milioni,
chi ha tenuto i conti?
E abbattevano giovani afflati
abbattevano la rugiada del mattino,
anche il verso dell’uccello alla luna
ancora ripete il grido di donne abortito.

Ma vent’anni fa hai lanciato semi,
hanno resistito a tutti gli assalti:
quattrocento querce mi corteggiano stanotte.

 

 

 

I BORDI DEL MONDO

 

Un picchio becca i bordi del mondo,

crollerà? Mi chiedi irrequieto.

Cancellati appena dalla nebbia

che contagia questo bosco,

ti rispondo sicura: Ma no!

 

All’interno echi:

crollerà? Crollerà?

Sembra tutto tranquillo nonostante

la recinzione dell’area riservata

alla caccia cominci qui

nonostante gli aerei volino bassi

fin dove tu ed io

ci siamo spinti alla ricerca

dell’albero che regge il cosmo

con l’intenzione di salire

fino alla costellazione di tuo padre.

 

Non crolla ancora,

il fruscio delle foglie secche

ci accompagna lungo il sentiero.

Guarda: dal fosso è spuntato un serpente!

E l’impeto di verdi e rossi

scoperchia l’otre del mondo,

da lì arrivano le anime addolorate

con le loro nenie sigillate da secoli

da lì arrivano a farla pagare cara.

 

Un picchio becca i bordi del mondo

e un suono di tamburo si versa.

Crolla tutto, corriamo.

Ma non lo dico, solo ti abbraccio.

 

 

 

FIUME CAUCA

 

Io t’ho visto dall’alto di un ponte

fiume Cauca che solchi questa terra dorata,

ma fu in un sogno d’uccello che vidi

i corpi gonfi a pelo d’acqua

gli avvoltoi sbrogliarne le viscere

le gonne logore di tanto oblio.

 

Quando la verità fa nido sulla mia bocca,

irrompono zattere e un intero popolo le abita.

Sono gli occhi dei senza giustizia ad affacciarsi

i tuoi stessi occhi, fiume Cauca, bruciano ancora.

 

 

SALVATAGGIO

 

 

Il fiume che mi è stato affianco

per anni in silenzio

oggi mi inonda;

nessuno viene a spalare

tutto accade

rotola verso il finale.

 

Arriva solo un suono costante
dalle viscere del mondo

con tutta la sua irruenza.

 

Non serve ritirare le tende

il disastro ha portato via tutto,

anche la tristezza della nonna

che passava tutto il giorno sbuffando

sulla sua sedia a dondolo.

 

Acque torbide e gelide

hanno appena infradiciato il mio cuore,

anche quello del vicino forse,

l’avevo lasciato lì fuori

esposto come la cassetta della posta

e non ha retto a giorni di inondazione.

 

Non serve salvare il set di tazzine

souvenir di un viaggio dimenticato

se anche il cieco all’angolo

è già stato fatto evacuare.

 

Un suono di trapano

mi fa credere che ci sia qualcosa

oltre questa lotta di fango e vita.

 

Ma niente e nessuno che mi dia una mano

a raccogliere i ricordi sparsi nello zaino
e arginare il sangue delle labbra screpolate della terra.

 

Niente, neppure un’ombra

a cui offrire un caffè o una sedia

per cui inventare una scusa

affinché mi stia affianco

mentre muoio

con l’illusione di un salvataggio.

 

 

Lucía-Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid). Vive da tempo tra America latina e Italia, attiva in progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa – No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, Premio comunitarismo di Versante Ripido). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengalese e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016), Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018), Paese di occhi e sogni di Andrés Morales (Fili d’Aquilone, Roma, 2019). Membro della giuria del Premio Trilce  di Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes.

 

Immagine di copertina: Foto di Pina Piccolo.

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

Pagina archivio del macchinista