Per la sua attinenza a quanto sta accadendo oggi in Amazzonia, rilanciamo questa recensione pubblicata nel numero 12 de La Macchina Sognante, di ottobre 2018.
Ignacio Martín-Baró, Psicologia della Liberazione, a cura di Mauro Croce e Felice di Lernia, Bordeaux Edizioni, 2018.
Mauro Croce e Felice Di Lernia, con il sostegno di Bordeaux Edizioni, compiono con questo libro un’operazione complessa e doverosa: far conoscere in Italia un uomo, un intellettuale sconosciuto ai più. Il libro è Psicologia della liberazione e l’uomo è Ignacio Martín-Baró, gesuita, docente e psicologo spagnolo di nascita ma latinoamericano per vocazione. Partiamo dalla fine della sua vita, da quel 16 novembre del 1989, quando gli squadroni della morte di El Salvador (Paese in cui il gesuita viveva e operava da anni) fanno irruzione all’interno dell’Università Centroamericana e uccidono un gruppo di insegnanti, teologi e psicologi, colpevoli di aver denunciato, di aver portato alla luce le brutture del sistema dittatoriale presente nel Paese. El Salvador viveva all’epoca una tremenda Guerra civile, armata e sostenuta dagli Stati Uniti, che lasciava la sua gente in uno stato di indigenza (sociale e personale) ma, ancor peggio, in uno stato di inerzia, di passività e silente obbedienza di fronte al terrore imposto dalle istituzioni.
Lo scienziato sociale Ignacio Martín-Baró si oppone a questo sistema con i suoi mezzi: il pensiero, l’analisi, la riflessione e la denuncia. Il libro in questione racchiude alcuni dei suoi più importanti scritti degli anni Ottanta nei quali è possibile ripercorrere il pensiero e la teorizzazione della Psicologia della Liberazione. A partire dagli anni Settanta in America Latina ha origine un movimento intellettuale e politico che punta a ripensare criticamente alcuni saperi per poter innescare un meccanismo di decolonizzazione rispetto al potere imperante di quegli anni ma anche rispetto al retaggio culturale di sottomissione e inferiorizzazione sviluppato e accresciuto in secoli di dominazioni in quei territori. Tutto questo significa rompere la dipendenza, far riemergere le identità assopite degli esclusi dalla storia attraverso un pensiero alternativo che nasce proprio dall’oppresso e dalla periferia. Il pensiero della Teologia della Liberazione, che da il via a questo movimento, si estende anche ad altri ambiti, ispirando prassi innovative di lavoro sociale di studiosi ed operatori stanchi delle ingiustizie sociali, della povertà e della violenza cui erano soggetti ampi settori della popolazione.
Martín-Baró applica questa idea di cambiamento alla psicologia, in un tentativo di decolonizzazione della mente, perché è da lì che parte la costruzione identitaria e l’immagine di sé che l’individuo ha, così come la lettura che fa del mondo e delle dinamiche che lo reggono. Come ricorda Mauro Croce nella sua Prefazione, se i primi a parlare di Psicologia della Liberazione sono stati probabilmente Antonio e Nicolás Caparros, pubblicando nel 1976 un testo dal titolo “Psicologia de la Liberación”, è Martín-Baró ad essere unanimemente riconosciuto come fondatore della Psicologia della Liberazione, e il suo testo – contenuto all’interno del libro in questione – Hacia una Psicologia de la Liberación/Verso una Psicologia della Liberazione è il manifesto di questo pensiero. Convinto del fatto che anche la psicologia latinoamericana sia stata marchiata dalla storia di dipendenza coloniale che affligge il continente, Martín-Baró afferma: “Se vogliamo che la psicologia offra qualche apporto significativo alla storia dei nostri popoli, se come psicologi vogliamo contribuire allo sviluppo dei paesi latinoamericani, abbiamo bisogno di riconsiderare il nostro bagaglio teorico e pratico, ma riconsiderarlo a partire dalla vita dei nostri propri popoli, dalle loro sofferenze, dalle loro aspirazioni e dalle loro lotte. […] realizzare una Psicologia della Liberazione esige in primo luogo di ottenere una liberazione della psicologia. […] La psicologia latinoamericana deve decentrare la sua attenzione da se stessa, smettendo di preoccuparsi per il suo status scientifico e sociale e proporsi come un servizio efficace alle necessità della maggioranza delle persone. Sono i problemi reali dei suoi popoli, non i problemi che preoccupano altre latitudini quelli che devono costruire l’oggetto primario del suo lavoro. E, al giorno d’oggi, il problema più importante a cui si trovano di fronte le grandi moltitudini latinoamericane è la loro situazione di miseria oppressiva, la condizione di dipendenza emarginante che impone loro un’esistenza disumana e toglie loro la capacità di definire la propria vita. Pertanto, se la necessità oggettiva più urgente delle moltitudini latinoamericane è costituita dalla liberazione storica da strutture sociali che le mantengono oppresse, la psicologia deve focalizzare verso quest’area la sua preoccupazione e i suoi sforzi. […] Non si tratta di pensare noi per loro, di trasmettere loro i nostri schemi o di risolvere noi i loro problemi; si tratta di pensare e teorizzare noi con loro e a partire da loro.” (pp. 82-86).
In questo la vera rivoluzione teorica dell’ampio processo di liberazione latinoamericana. Partire dal basso, dai popoli oppressi, dalla loro identità e da questi sviluppare nuove modalità di partecipazione e di cambiamento. Felice Di Lernia, nella sua Postfazione al libro, mi ricorda una delle parole spagnole che più amo, compromiso che, aggettivata, diventa comprometido. Ignacio Martín-Baró era un intellettuale comprometido, impegnato nella sua causa: liberare la Psicologia dai vincoli di schiavitù teorica che le impedivano di incidere sulla situazione latinoamericana. Questo libro è comprometido perché porta avanti la diffusione di un pensiero latinoamericano che però diventa universale nel momento in cui si pensa al ruolo della Psicologia (e ancora in senso più lato dei vari saperi) dinanzi ad ogni forma di oppressione perché, come ben afferma Martín-Baró, “la preoccupazione dello studioso sociale non deve basarsi tanto nello spiegare il mondo quanto nel trasformarlo”.
Ignacio Martín-Baró, psicologo sociale e filosofo gesuita salvadoregno, è stato impegnato nella lotta per l’autonomia psicologica e sociale dei popoli latinoamericani. Fondatore della Psicologia della Liberazione.
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