Il motivo che ricopre come edera ogni componimento è la visione di un soggetto (una donna, una ragazza, una compagna, un amante e un’insoddisfatta guerriera del mondo, una metamorfosi) che tenta e cerca di delineare un proprio corpo che si adagia e contrasta il mondo circostante. Sono ripetuti e quasi furiosi i collegamenti al mondo naturale, oggetti di correlazione che, a volte come metafora, altri come similitudine, provano a uscire dalla narrazione del soggetto per dare un paesaggio che possa attingere a scenari reali, interni ed esterni al corpo, in un dialogo continuo, capace di trasformarsi in conflitto quando l’uno non lascia spazio all’altro. Tentativi di costruirsi e ricostruirsi, senza dare per scontato mai nulla della propria forma e del proprio posto in questo cammino che è piacevole nella difficile impresa.
Giulia Tenenti
22 agosto h 17
erano scuri quei tuoi occhi di brigante
eretti a guardiano dei ruvidi paesaggi
era possibile palpeggiare la fatica
di dover maneggiare un così vasto tesoro
la lacrima amara
di questa terra antica
rende ottimo il terreno
quale cartolina mostrare alla luce
se non genuini e afosi pomeriggi
di scale, lente erosioni, tacite crescite collettive?
Abbiamo bisogno di un podio per ringraziarci
della generosità di un mare salato e la sua forza?
Moneta che sperpera veleno
le nostre mani legate al cemento
mescolano l’ispida bruttura del mondo
a colate di vendetta
per un luogo che non riesci più a riconoscere
non lo chiami più
non lo guardi più
dammi la ricetta
per assaporare ancora lo ionio che scorre libero
e rinfresca le nostre menti
e dimenticare la corsa all’oro che ha bruciato
ogni morbidezza
qualsiasi carne viva
ho assaporato la tua lacrima amara
terra devastata dai nostri sogni infami
e mi è sembrato dolce e simile il nostro cammino
ora che con cinica cura
rifiuti il tuo esile destino
***
29 settembre h 12
ho trattenuto quel ricordo
così stretto
da soffocarlo
sono così impavidi
quei momenti
in cui l’avidità stritola
ogni tua modesta energia
ho raccolto anche l’ultima goccia di peccato
bevuta tutta d’una sorso
non è così amara
la felicità
illusione che può durare
perdurare
ossidare il tempo e scalfirlo
incidere tenere visioni
e sconnessi piani di lavoro
su me stessa
tirare su la canottiera
e accarezzare la pelle
credersi diversa
voler solcare ancora di più
i fianchi
vendersi anziché vedersi
giocare con i sentimenti
avere cura dei miei orrori
lasciare andare sul letto di un fiume le passioni e disegnare il manto erboso con le proprie paure
di non sapere
dove tornare
dove avere riposo
in che momento staccare le mani e volare
dirupi immensi che accolgono attimi eterni
non avere macigni sul cuore
ma occhi limpidi per riempire il mondo
di me
di te
hai la ricetta per partire?
Per costruire i miei nei di fretta
ed essere ogni giorno diversa
nuove imperfezioni
da bagnare insieme
del flusso erotico
che attraversa queste stanze
e finire per iniziare di nuovo
e non sapere
e non
e
.
***
5 novembre
nottetempo
rifugio
mi inchino di fronte le carezza delle nuvole
assorti occhi di fate osservano il mutare
e io che non posso non farlo
e vedo me stessa
china sui miei bisbigli
sommessi
con le spalle un po’ curve che trovano mani a cui aggrapparsi
la pelle si stacca per cercare un corpo da proteggere
tento la fuga
ma rimango ancorata
come il cielo
che non può andarsene
da questa tracotanza
torno sulla sponda
ora sono dei rumori
a destare le tenebre
e con esse le mie paure
intrecciare il mio consenso alle mie colpe
che si seducono
e sembra una danza
si aggirano e ho consigli da dispensare
accrescere proverbi del mio corpo
non bloccare l’enfasi
e concedersi distrazioni
mentre umili passi nella stanza condiscono
sapori e l’aria per me è leggera e limpida
tentare il necessario e scoprire
che l’indispensabile è nei tuoi occhi dilatati
dalla luce accecante
hai una luna che timida può accompagnarci?
Cresco di orgoglio se ti fermi a volte con me
stanze aperte e sottili polveri
accerchiare il sudore è farne parte
raccontare delle notte distende le membra
silenzio
***
27 dicembre
Ora sto osservando
e la luce colma le forme
così come le mie mani
si fondono con la terra del mio giardino
nel tragitto di ogni sguardo collidono le identità
frastuoni e rigida pelle
nel timore di dissuadersi e fondersi
entro dentro di me
mi dipingo da nuovi occhi
sapere come trascinare l’idea e renderla cielo
talmente vasta da accogliere
terribilmente facile da delimitare
eppure le traiettorie terminano
e niente è più precostituito
accarezzo certe notti e mi sento con te
solo per quella incerta linea
che lega strade e abissi
la bulimia di conoscenza non è sinonimo
del mondo in divenire
e così provo a sapermi intima
basta leggere le onde di ogni limbo emotivo
scogliere a cui aggrapparsi
e sudore sulla fronte pulisce le ferite
leccarle insieme
e godere di frenesia per la nuova libido
certa di nuove vibrazioni
che tremano le montagne
e vorrei accogliere questi giorni
grata di questa improvvisa e altalenante energia
avere cura anche degli incubi
e lisciare le vesti di ogni tremore
immensi orizzonti e fango
e nubi
e tendere i giorni per farli asciugare
come lettere bagnate
asciugare così l’ultimo mare
riprendo fiato
e so di non avere mai smesso
è un idea sublime
pensare il divenire
***
12 settembre
quante cose vorrei dirti
e invece silente cammino con la schiena dritta
osservando i calcoli illesi fino alla sentenza di una placida conquista
inciampo inconsapevole su stracci di zelo
e stralci di manchevole controllo
entrare e non sapere come tornare
ogni giorno
e dicevo
che ciò che si pesa su questa bilancia sporca
non è che il mio ego farsi sottile
bulimico organismo vivente
che rigetta lo stigma
e incute formicolio
mani che afferrano precocemente la via di fuga
e scivola oleoso
su tutte le pareti scure e piene
la possibilità
l’evasione
mi cerco
e ossessionata
dal tempo e dalle ferite
scavo oltre il fossato da me prestabilito
e provo un certo godimento
nel vedermi scivolare
e infliggere sforzo
e ricerca dei sensi assopiti
cristallizzato ogni fermo immagine
distruggo i vetri e gli specchi
e non sono più io
oltre il disumano
trovo me stessa
***
15 settembre
mi accorgo
che ne sto abusando
delle terribili abitudini di bulimia emotiva
screzi che solcano la pelle come tatuaggi incompleti
fermare il moto di andamento surreale della polvere accatastata sui miei capelli
sbrigare l’eterno e fissare profumi solidi che adornano le finestre e i pensieri
come stoffa pregiata che morbida cola su ogni superficie
rose e malva e tarassaco temono l’aurora
come le mie mani che bruciano di orgoglio
ad ogni tua immagine
aspra la sera quando mi accuccio nel solco da me scavato dai versi ostentati sui muri
ed è indefinito ogni passo
molecolare e paesaggistico
sguardo d’insieme che non riesce a frenare
e si esaurisce e riproduce nella linfa delle mattonelle di ceramica che distruggo
e frantumano anche il mio udito
incapace di collocare i sensi
scema la nebbia e irriverente la mia immagine
scolorita
impura
avulsa dalla comunità
usurpatrice di sbagli
***
Le foglie caduche di novembre
Se penso alla neve, penso ai tuoi occhi mal illuminati
una finestra aperta solo per poco
attimi che si frantumano
su una linea tracciata a metà
incastonati come pietre preziose
i nostri passi che non sciolgono la contraddizione
un verso che riverbera il richiamo
amore amore dove sei andato?
Da quella finestra aperta
entra il freddo della montagna
una coperta, la natura selvaggia, pecore e cavalli
ibridi, si rifugiano come me
nel calore di un respiro ovattato
lenta e caduca la nebbia copre gli occhi
luce che non riesce l’impresa
ho così con me, stretta come una lettera d’addio,
l’immagine di un iride che lotta con i pulviscoli di polvere
che la vorrebbero coprire
e stendere in un cassetto
ricoprirla da scartoffie del passato
oggetti di valore
e dubbi su quando un giorno
ordinerò i pensieri su scale ripide e scoscese
e quegli occhi verranno a cercare me
e le lentezze
nel riporre altrove
uno sguardo
una cecità
un amore
che non aveva abbastanza coraggio
per immergersi in quel paesaggio di montagna
dove il freddo pungeva le guance arrossate
e il ritmato rumore del letto che cigolava sotto i corpi freddi ma desiderosi.
E se le prospettive cadono come foglie di novembre
ho accettato di vedere la nebbia, fondermi ad essa
e spingere occhi ghiacciati verso la luce che fatica
a prendere spazio
sulla linea interrotta germoglierà il mio orizzonte
e le serene carte reciteranno la rinascita
di una donna addormentata
senza le vesti passate
senza più pesi.
Giulia Tenenti ha 24 anni e viene da Ancona, capoluogo di provincia delle Marche, dove il mare accogliente e solitario le ha dato la spinta necessaria per abbracciare un luogo senza orizzonte fisico come Bologna, la nuova casa. Qui studia lettere moderne e si dedica con passione alla scrittura e alla politica, dove l’una sostiene e protegge l’altra. Una trama a doppio filo lega questi due aspetti che virtuosi si alimentano.
La poesia è uno dei medium espressivi che predilige, appassionata anche di fotografia e arti visive.
Immagine in evidenza: Opera grafica di Irene De Matteis.