“Patria” di Fernando Aramburu, recensione di Maria Zappia

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Il romanzo Patria di Fernando Aramburu (Guanda 2017)  segna il ritorno al romanzo tradizionale, a più voci e soprattutto il ritorno alla letteratura militante, realistica e orientata a fecondare la società. Con un linguaggio a tratti leggero in cui non viene disdegnato il c.d. “tono medio” dell’ironia, che si manifesta soprattutto nelle battute e nei gesti delle donne. Bittori, in questo spassoso brano si rivolge ad un “pubblico di stoviglie sporche”:

“Ci provò. Bittori, indaffarata in cucina, non riusciva a calmarsi. Si confidava, madre monologante, madre addolorata, con la schiuma dell’acquaio. Suo figlio con quella donna, una semplice infermiera ausiliaria. Manifestò la propria contrarietà al pubblico composto da stoviglie sporche. Allo strofinaccio disse questo; al rubinetto quell’altro. Non riceveva risposte, non trovava la comprensione desiderata. Aveva bisogno a ogni costo di aver vicino orecchie umane. In casa, in quel momento, c’erano soltanto quelle del Txato. Allora, spiacente per la sua digestione e il suo riposo, entrò, quello era entrare?, be’, fece irruzione nella stanza. Parlava da sola già dalla cucina, asciugandosi le mani sul grembiule. Senza smettere di parlare si sedette sul bordo del letto. Diede uno scossone al marito”

E che dire di Miren che, in chiesa, s’intrattiene con la statua di S. Ignazio di Loyola esortandolo ad intervenire come si fa con un amico…..?

“Dai, Ignazio, su. Rimetti in piedi mia figlia, tira fuori mio figlio dal carcere oppure non ti rivolgo mai più la parola. Accidenti, non lo vedi che anch’io soffro?”

Non solo ironia ed impegno etico, lo scrittore, dimostrando grande padronanza espressiva ed acuta sensibilità, entra anche diversamente nel mondo delle donne. Sia delle donne madri “adulte” Miren e Bittori, ferite dal terrorismo dell’Eta e sia dalla donne “giovani” Nerea e Aranxtia descrivendo anche riguardo a queste ultime le ferite dell’aver trascorso la giovinezza fianco a fianco ad un clima di violenza e di forti chiusure culturali. Nerea che pur mandata a studiare fuori territorio basco torna avvilita dalla tragedia, si perde nella ricerca di un rapporto di coppia che diviene sempre più impossibile e resta una figura irrisolta e sospesa, e Araxtia ferita profondamente nel corpo che avverte la necessità di rigenerare la società col perdono. La narrazione dell’aborto di Araxtia nella clinica a Londra, il fitto rapporto tra le due famiglie e la crescente solitudine del “dopo” si ricompone nella figura della “inferma” nel corpo ma sanissima nello spirito che, con grande energia morale, sfidando le ipocrisie saluta l’errante Bittori indicando una strada da percorrere per sanare le ferite, per guarire in fondo.

La strada giusta è quella della verità e del perdono. Tuttavia, e qui l’impegno etico dell’autore assume un ruolo rilevantissimo, prima la verità. Prima il percorso coraggioso del tirare tutto fuori. E Aramburu tira proprio tutto della Spagna e dei Paesi Baschi. Tira fuori il provincialismo, il clima di terrore instaurato dai terroristi, l’inutilità del vivere continuamente nascosti da parte di “finti eroi” la doppiezza dei vertici ecclesiastici e di Don Serapio in particolare, non risparmia neppure le descrizioni truci delle torture a Joxe Mari e le perquisizioni odiosissime della guardia civil spagnola a casa di Miren. A fronte di queste descrizioni e dei significati simbolici che l’autore assegna a ciascun personaggio, sfumano le parole di elogio, rivolte a tanti scrittori nostrani, italiani direi, che differentemente dall’autore di Patria, intendono la letteratura a soli fini estetici, autocompiacendosi nelle descrizioni di atti di estrema violenza (Nicolo’ Ammaniti a solo titolo di esempio) , o in romanzi di formazione (Marco Missiroli altro esempio) che ahimè restano confinati nella narrazione spesso fine a sé stessa, che non altera, se non superficialmente, la coscienza del lettore. Talvolta il compiacimento estetico di alcuni testi è così ardito che si rimane affascinati, ammaliati dalla scrittura, ma nella coscienza di chi legge cosa si produce? Direi poco.

Il lettore di Patria, viceversa, si sente coinvolto sino alla fine nelle vicende, e non solo emotivamente. Io ritengo che i lettori italiani si sentano coinvolti per svariati motivi: innanzi tutto le ferite del terrorismo degli “anni di piombo” pesano ancora, a distanza di anni, sull’intera società, e le “vittime” sono a tutt’oggi protagoniste di dibattiti e di interventi. Ma alle vittime del terrorismo in Italia, si aggiungono le altre vittime: quelle delle “stragi” di mafia che reclamano parimenti giustizia. Dal mio osservatorio, in quanto vivo al Sud, la figura di Bittori, che ritorna al paese per ricercare la verità, rappresenta l’atteggiamento tipico delle vittime secondarie di faide e di stragi che reclamano giustizia e che erranti proprio come Bittori si spostano da una caserma all’altra invocando protezione dallo Stato e verità. L’ulteriore elemento di coinvolgimento è dato dal ritrovare le strutture familiari e l’ambiente tipico di una certa provincia italiana: le abitudini domenicali, i caffè con gli amici, il bar, l’orto e la fonderia, i matrimoni e i pranzi con i suoceri, i pettegolezzi delle piazze.

Tutto però si ricollega ad un chiaro disegno che pone al centro il ruolo dell’ intellettuale nella società. Che lo vede partecipe della società civile. E così penso a Gorka, alla sua passione per i libri, al suo ingenuo premio ricevuto per una poesia che fa scomodare il padrone della fonderia a fare i complimenti al genitore proletario. Aramburu insiste sul ruolo dei libri e della cultura ed in effetti, quanto la lettura, ed aggiungo, i gruppi di lettura possano compiere aprire le menti ed elevare le coscienze è tema risaputo. Gorka mi è sembrato un personaggio da romanzo russo.

Gorka, lineamenti malinconici, afflitti, annuì di nuovo. Aveva avuto la cortesia di andare a trovare la sorella perché era il suo compleanno e perché i genitori, al telefono, gli avevano detto che era incinta. Regali? Due. Un librettino per bambini, in euskera, Piraten itsasontzi urdina, la sua prima opera pubblicata, che carino, davvero, molto carino, e dei fiori.

Plauso al traduttore

Confesso che avrei un gran desiderio di stringere la mano al grande scrittore, che ha riportato ad alti livelli il “romanzo realistico” classico a più voci ed impegnato. Tuttavia mi auguro di poter incontrare Bruno Arpaia e manifestare vivi, anzi vivissimi complimenti. Non so se la lingua di Aramburu fosse agevole, se vi fossero dei “parlati” delle intonazioni “colloquiali”, certo è che il traduttore ha reso splendidamente le atmosfere domestiche cosi come il clima che respiravano al tempo i giovani baschi. E visto che siamo in giornate di royal wedding riporto una citazione di Bittori rivolta alla “sposa” del figlio “moderna” e vegetariana, divorziata e secondo lei “accaparratrice”, ecologista convinta: “Una donna di seconda mano, che si è bagnata in tutte le acque passate, presenti e future.”

Un’altra “perla” sapiente del traduttore, a mio avviso è il riferimento alla “meglio gioventù basca”e finisco con l’ulteriore magnifica traduzione della lettera del perdono resa in maniera eccellente “Bittori. Seguendo il consiglio di mia sorella, ti scrivo. Io sono di poche parole, perciò vado al sodo. Chiedo perdono a te e ai tuoi figli. Mi dispiace molto. Se potrei fare marcia indietro nel tempo, lo farei. Non posso. Mi spiace. Spero che mi perdonerai. Io sto scontando la mia punizione. Ti auguro ogni bene, Joxe Mari

 

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Maria Zappia, nata nel 1965, è calabrese ed esercita la professione di avvocato civilista. E’ tra i collaboratori della rivista giuridica on line “Persona e Danno” curata dal Prof. Paolo Cendon e rivolge la propria attenzione a tematiche di diritto civile: sostanziale e processuale. Si occupa prevalentemente di responsabilità medica, di diritto del lavoro privato e pubblico, diritto dei minori e della famiglia, di responsabilità civile. Ha approfondito l’istituto degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Nelle discipline penalistiche ha affrontato, in più occasioni, la fattispecie della diffamazione sui social. Rivolge i propri interessi nei riguardi di letteratura e poesia scrivendo su Zoomsud, giornale on line diretto dal giornalista Aldo Varano. Ha vissuto lunghi periodi in Marocco e i prolungati contatti con la realtà del Maghreb, le hanno permesso di ampliare i propri orizzonti umani e culturali.

Foto dell’autrice a cura di Maria Zappia.

Immagine in evidenza: foto di Teri Allen Piccolo

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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