Tessuto damascato
Tessuto damascato
venduto a Catanzaro
effetto mezzo opaco
sei così pregiato.
Disegni stilizzati
composti di filati
di fibre artificiali
nelle mura dei palazzi.
Speciale lucentezza
esultante finezza
usato nella chiesa
di elegante bellezza.
Di un solo ordito
uscito dal telaio
di oro impreziosito
nell’arredo sacro.
Un filo di cotone
di differente torsione
un filo di seta
ecco la storia perfetta.
si sono innamorati
materiali inseparabili
cotone e seta
nei paramenti della reggia.
Stoffa di colori
motivi floreali
armatura di raso
nello stesso spazio.
Bottega dell’artigiano
artefice insuperabile
hai creato un’unione
di un amore impareggiabile.
Magari pensai
mi piace assai
ma non è troppo perfetta
tutta questa schifezza?
Mi sembra eccessivo
sfarzoso, pomposo
merita disgregazione
tale associazione.
Legame eccezionale
congiunzione orribile
materiale eccelso
di un risultato indegno.
Tessuto damascato
di buon gusto, raffinato
ora mi sembra pacchiano
indecente, sfortunato.
Sembrava sufficiente
manufatto sovrabbondante
ma è risultato esorbitante
vanità traboccante.
Maledetta l’ora
povero cotone
hai sbagliato a scegliere
una seta sconveniente.
Io come te,
tradito sono stato
condannato a rimanere
l’uno insieme all’altro.
Broccato ricercato
dal mercante genovese
rimpiango di aver conosciuto
quel tessuto catanzerese.
Palinsesto sesquipedale
Palinsesto d’amore,
manoscritto che conserva
le tracce di una storia anteriore,
sulla stessa superficie,
ma cancellata, a stento,
per dare luogo
a quella che ora vedo;
sesquipedale,
misura questa pergamena,
questa sofferenza,
per un documento intero.
Pratica di economia
per risparmiare il costoso papiro,
lettura perspicua perduta,
testo riscritto, sovrapposto,
preziosa cancellatura,
si mostra ancora predisposto
a lasciare leggere qualcosa,
messaggio, infame, macchinoso,
resiste l’effetto dell’ammoniaca,
discorso, arduo, pretenzioso,
tinta di nuovo perspicua,
amore che non è morto.
Parole farraginose
rimangono in modo ricorrente,
carta stracciata,
io dopo le tue sciocchezze,
archivio antico, innocuo,
espunge inevitabilmente
quello che mi avevi detto,
(provo a toglierlo della mente),
prima di lasciarmi da solo:
«ti voglio un mondo di bene»,
fascicolo sovraccarico
di una menzogna indelebile.
Pagina medievale,
materiale spendibile,
non come il mio cuore
che è arrivato al suo limite,
scritta con tintura di bile,
si avverte un verso dell’Iliade;
Achille l’eroe invincibile,
tradito in modo orribile,
piange la morte del suo amante,
compagno irriducibile,
defezione imprevedibile,
di un amore indescrivibile.
Palinsesto sesquipedale,
poema di parole intrecciate,
che rivela come Patroclo
subì un amore scontroso,
una storia complessa
di un una triste promessa:
«partirò all’Ade,
dove mi potrai incontrare»,
giuramento inattendibile
che non è stato possibile
perché all’Inferno sono andato
e di là non sono più tornato.
Cemento
Due torri dalla mia finestra vedo,
la luna in mezzo si alza,
la notte si abbassa,
per contemplarla.
Torri di mattoni sono state costruite,
dicono che neanche l’uragano più forte
le potrà mai
demolire.
L’amore che si professano è plasmato
sul dominio intorno che le accetta,
felici di essere insieme,
in piedi, sulla terra.
Palazzi capitalisti,
abitati da famiglie mezze ricche,
piene di sogni,
Terremoti, pioggia e vento,
nessuno riesce a farle cadere,
l’affitto sempre più caro
continuano a volersi bene.
C’è confusione nel condominio,
discussioni, controversie.
I problemi si concatenano,
un amore pieno di schegge immerse.
Un certo giorno d’estate
arrivò un ingegnere edile,
dicendo che le torri erano vecchie,
poco futuriste.
Questi soldi ti diamo
se riesci a rinnovarle,
i lavori puoi cominciare,
fa attenzione sono diventate delicate.
Maledetto l’architetto
che orchestrò tale rovina,
una delle torri era caduta,
sulla strada, senza vita.
Tutto era una truffa
un imbroglio, un’insidia,
solo voleva approfittare
senza disagio, con ignominia.
Due torri dalla mia finestra vedo,
una in alto, l’altra sul pavimento,
in attesa di essere ritirata,
il manovale la porta indietro.
Come il mio cuore
che aspetta di essere raccolto,
dalla separazione sofferta,
una torre senza ritorno.
Troppa gioia era,
per quei muri di cemento,
ora solo mi resta
di aspettare il prossimo progetto.
Il prossimo tormento.
Un nuovo libro ho imparato a scrivere
Non vivo, sono gelido, sono vuoto.
Molto tempo ho passato
senza i tuoi occhi.
Il desiderio si è perso,
si è annegato.
I rimpianti che mi inferisco
sono molti.
Lungo pensavo sarebbe stato il nostro cammino,
sbagliavo.
Più corto che un sospiro il nostro rapporto
è durato.
Godevo l’aroma del tuo collo,
dei tuoi capelli.
Ora godo l’aroma della mia tristezza,
dei miei pensieri.
Ti piaceva il mio umore.
Ti presentavo i miei amici.
Mi dicevi che eri felice.
Non credevo come il cielo
mi avesse fatto incontrare il tuo sentiero.
I miei lamenti sono pronti,
solo desidero la mia morte.
Un bel romanzo ho vissuto,
sono muto.
Lo spettro della tua presenza
mi perseguita, mi tormenta.
Ora piango la tua assenza,
la tua partenza.
Un libro del passato
ho bruciato.
Una pagina in bianco
ho strappato.
Il capitolo finale non è ancora
terminato.
La vita è grigia, è nera.
Nel frattempo ho perso la mia giovinezza.
Spaventoso è ancora di più
il mio futuro, la mia
ubriachezza.
Solo aspetto l’ultima parte, la mia salvezza.
Non vivo, sono gelido,
sono rotto.
Molto tempo ho passato
senza i tuoi complimenti.
Il desiderio si è perso,
è morto.
Gli errori che ho commesso
sono troppi.
Un libro nuovo ho cominciato
a scrivere.
La prima pagina ce l’ho qua,
in tasca.
Al libro vecchio appartiene,
la bastarda.
Questa volta non riinizierò
a fallire.
Ora ho cominciato di nuovo
a vivere.
Un nuovo libro ho imparato
a scrivere.
Tanta disperazione e odio sentivo
Tanta disperazione e odio sentivo
che chiamai il cavallo della Morte.
— La mia vita in cambio del finale sospiro,
mi arrendo davanti alla tua corte.
Sdegnoso arrivò il vil Signore,
trapassandomi un agghiacciante brivido
— Ecco qua il mio cuore,
vattene e portalo insieme al tuo grido.
Tra le ombre buie il Signor cavalca,
trascinandosi la mia anima.
Si gira e mi guarda in faccia,
temo sia una cattiva minaccia.
— Ti prego non aspettare,
vivere già non mi piace,
il cavallo deve andarsene,
altrimenti non saprei cosa fare.
— Dolore e sofferenza hai vissuto
e diventerai schiavo mio.
Ma non sei pronto per andare al cimitero,
il tuo percorso non è finito.
— Rimanere sarebbe un incubo,
non è quello che desidero.
Ti imploro andare al tuo nido,
solo ti chiedo il mio suicidio.
— Sono io che decido,
quando devi partire.
Ci sono ancora tante cose,
sul tuo destino scritte.
— Queste cose non mi interessano,
per me niente ha più senso.
Non ho voglia di sapere,
quello che ancora devo vedere.
— L’amor credi di aver perso,
senti rabbia, odio e disprezzo.
Aspetti il mio cavallo con sollievo,
non sai l’errore che hai commesso.
— Il mio cuore è spezzato,
sono rimasto senza fiato.
Non troverò più la forza,
per vivere in questo mondo senza gioia.
— Ancora c’è una persona
che ti può ridare la forza.
Solo devi credere nel tuo destino,
ci rivedremo presto, ora addio, schiavo mio.
Ottobre s’avvicina
Una stazione di treno.
Un treno che si avvia.
Un avviarsi sottile.
Una carrozza che si stacca.
Una stazione chiassosa.
Una goccia d’acqua.
Un uomo seduto da solo.
Una banchina occupata.
Un astio esistenziale.
Una noia senza pari.
Una stanchezza evanescente.
Un disgusto colossale.
Io sono qui,
con il libro tra le gambe,
aspettando la vita che passa,
un invito che non arriva,
questa volta non accade,
sopportando gli sguardi,
una commedia senza fine,
così triste, così distante.
La gente si ferma, mi guarda, mi fissa, mi stanca.
Una stazione di legno.
Due gocce d’acqua.
Un cielo pieno di nuvole.
Un uomo che si arrabbia.
Una sagoma di persona.
Forse devo sbrigarmi,
si è fatto un po’ tardi,
l’ultimo treno parte ora,
non vorrei rimanere,
qua fuori, sotto la pioggia.
Il binario che si allontana.
Una carrozza piena d’anime.
una puzza così mi ammazza,
non ce la posso proprio fare.
Un giorno come gli altri,
o quello pensavo in quell’istante,
tutto andava come di solito,
fino quando la vidi lí,
così bella, così mi pare.
Non mi ero ancora accorto,
avevo letto troppo,
posso avere l’ora?
da stamattina l’orologio non funziona.
Sono le dieci meno un quarto.
La ringrazio, sono in ritardo.
non conosco l’orario
mi sembra questo sia l’ultimo sul binario.
Prego, sembra stanco,
si sieda al mio fianco.
Credo di aver capito,
quello che c’è scritto
qua, sul vetro dal lato sinistro.
I libri ne parlano spesso
e non l’avevo mai capito
Le emozioni che si rasentano
come se tu fossi ferrovia e io treno.
Ottobre s’avvicina,
credo sia la frase scritta,
un riferimento comunista,
in quel momento sulla vetrina.
Per gentile concessione dell’autore.
Hugo Domínguez Silva è nato a Vigo (Spagna) nel 1991. Si è laureato in Traduzione e Interpretazione e ha conseguito la magistrale in Lingua e Cultura italiana per stranieri (Filologia moderna) presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Ha vissuto in Francia, dove ha studiato e lavorato come traduttore e professore di spagnolo. Attualmente vive in Brasile, dove insegna lingua gallega all’Università Federale di Minas Gerais. Parla 7 lingue: spagnolo, gallego, catalano, italiano, francese, inglese e portoghese. Amante della letteratura e dei viaggi, si sta specializzando nella traduzione di João Guimarães Rosa, principale autore della letteratura brasiliana contemporanea. Condivide con il grande scrittore mineiro che si firmava con lo pseudonimo di “viator” (viaggiatore in latino) la voglia di conoscere altre culture e di viaggiare.
L’immagine di copertina e i disegni contenuti nel testo sono a cura dell’autore.