ORESTEA
SCENA I
di
Walter Valeri
regia
Loretta Giovannetti
Introduzione: saggezza e parola poetica degli antichi
Nelle tragedie attiche si era soliti parlare di eroi che lo spettatore ateniese riconosceva immediatamente, grazie anche ai poemi di Omero, la prosa di Esiodo, l’opera in versi dei poeti tragici che verosimilmente si erano succeduti sulla scena del Teatro di Dioniso ed Epidauro. La vita della città, la lingua poetica, la musica, i gesti con cui si esprimevano gli attori, erano la cornice culturale mutevole in cui si realizzavano i miti per tutti i cittadini. In questa gabbia obbligata si inserivano e organizzavano gli spettacoli. Inoltre vi facevano capolino, di volta in volta, i cambiamenti politici e l’esigenza di nuove libertà dettate dalla storia, dai suoi cambiamenti e dalle ultime mode. Non dobbiamo dimenticare che la democrazia, così come in larga misura la intendiamo ancora oggi, e l’abitudine al voto nascono proprio in quel periodo. Compreso il rischio della sua implosione, tentazione autoritaria permanente che vorrebbe sopprimerla. Gli stessi miti utilizzati da Eschilo differiscono non poco da come li ha trattati Sofocle, successivamente Aristofane e quindi Euripide. Quest’ultimo, in maniera più evidente rispetto ai suoi predecessori, rielaborandoli in maniera del tutto nuova e originale. Anche per questo non lo amavano molto, specie gli aristocratici e le alte gerarchie religiose, pur riconoscendogli un enorme talento. In un certo senso Euripide ha pagato sin da subito per una ‘eccessiva libertà d’aggiornamento’, fondata su di una sapienza drammaturgica inedita e per quella maniera di interpretare e intendere il dolore umano, descrivere i mali della società. Come sottolinea nel suo saggio, assai utile oltre che bello La fortuna dell’Orestea di Eschilo sulla scena moderna Anton Bierl:
“L’Orestea di Eschilo appartiene ai drammi più influenti che siano mai stati scritti e gode di una posizione straordinaria nella letteratura mondiale e nella storia del teatro. Dalla prima messa in scena nel 458 a. C. fino ai giorni nostri ha avuto un’importanza straordinaria. Soprattutto a partire dal XIX secolo, epoca di sforzi tesi alla rivitalizzazione di drammi antichi nel teatro moderno, l’Orestea si è rivelata un testo chiave di riflessione filosofica e culturale capace di riunire una gamma di interpretazioni. Per questo, da allora, proprio la messa in scena di questo ciclo tragico ha acquisito un fascino particolare per il mondo teatrale. Il confronto con l’antichissima trilogia, l’unica a essere conservata, è stato inteso dai registi per un verso come una sorta di ritorno alle fonti del teatro occidentale, una garanzia sul fondamento del proprio creare; per l’altro, il testo si è rivelato come possibilità di realizzare un particolare legame con il presente nel contesto sociale
contemporaneo al pubblico destinatario.”
Da secoli e per secoli i miti dell’epos antico sono stati modificati, analizzati, trasposti da ogni singolo autore o regista con metodi e forme aggiornate. Di volta in volta l’attenzione dei tragediografi e drammaturghi si è focalizzata sugli aspetti più problematici dell trama con ingrandimenti dei singoli personaggi e aspettative diverse: hanno scavato in profondità nelle motivazioni mutevoli dell’agire e del sentire psicologico dei vari eroi tragici. In altre parole, dall’età arcaica all’età classica sino ai giorni nostri, i miti sono stati manipolati in maniera non innocente. Si sono modificati pur rimanendo nella maggior parte dei casi riconoscibili; anche se notevolmente riplasmati in rapporto alle occasioni, alle tecnologie di scena e agli spettatori. Certo nel transito dal mito originario all’odierna rappresentazione le dinamiche di selezione ed adattamento del materiale non sono sempre facilmente definibili, perché vanno consumate a ridosso della scena e delle risorse disponibili, ma la regia, le strategie drammaturgiche, la musica, le parole e i versi che esprimono la sorte tragica dei personaggi devono essere poetiche, immaginifiche e infedeli, quindi ragionevolmente definibili per un pubblico attento e partecipe. (W. V.)
Spunti e scalfitture di Regia
Mettere in scena parole crudamente poetiche, in un percorso di sentieri emotivi pericolosi che odorano di eternità, fa paura, quella paura che evidenzia i nostri limiti e quindi ci stimola a superarli. D’altronde il futuro lo possiamo riconoscere solo dopo che è avvenuto e da come è avvenuto. Ed è così che si affronta un pozzo senza fondo di colpe, vendetta e morte, l’oscuro specchio di un microcosmo familiare che ricade inesorabilmente nella nostra contemporaneità. Siamo la trasmissione ereditaria di quel dolore, eppure in noi c’è la possibilità di un riscatto. Nella giustizia da condividere con gli altri, nella libertà di pensiero, nella poesia.
Scalfire lo spazio coi gesti e dare anima teatrale alla parola ci porterà ad esplorare labirinti antichi, storie e filosofie senza tempo, perché gli Antichi Miti inviano quotidianamente moniti al nostro presente e, col loro incanto, ci obbligano ad un Teatro per il Futuro. (L. G.)
SCENA I
AL CENTRO DEL PALCOSCENICO UN CUMULO DI TERRA CHE RAPPRESENTA LA TOMBA DI AGAMENNONE, RE DI MICENE. ENTRA IN SILENZIO IL CORO GRECO CHE SI SCHIERA DIFRONTE AL PUBBLICO. INIZIA CON FURIA LA DANZA DI GUERRA ‘HAKA’ DEI MAORI. TERMINATA LA DANZA UNO DI LORO SI TRASFORMA A VISTA NEL PERSONAGGIO DEL POETA-TESTIMONE. INDOSSA LA MASCHERA D’ORO DEL DIO APOLLO
Poeta – Testimone
E io cosa volete che vi dica?
Si poteva fare qualcos’altro? Forse è così.
Fare di meglio? Non so, forse…solo gli dei sanno.
La storia non chiarisce fino in fondo, non chiarisce mai.
E’ solo la buccia del nostro destino, è ciò che appare.
Venuti dai campi dalle stalle
dalle piccole città della Grecia tutti
erano seduti o sdraiati nelle tende affollate
sotto mille navi per quel gridìo d’ ombre
inebriate dall’entusiasmo, dallo sfarzo
delle armi e canti in diversi dialetti .
Per una breve festa devo dire, perché
la fame, l’inedia, la noia patita, la rabbia
per non poter partire si fece ben presto fuoco
crepitio di fiamma più che viva nelle risse.
Assiepati, come stracci, cocci al sole
gli Achei sulla battigia andavano e venivano
farfugliando senza meta. Persino gli Spartani
sbracavano consumando la proverbiale mente
militare ognuno nel mugugno, inquieto tormento
incapace di tenere a freno la lingua, le mani
la voglia di prendere il mare o bestemmiare
contro il dio dei venti e quelle onde così ostili
o come morte le vele stropicciate mai tese
per intero all’aria arrotolate al boma senza vita.
Nessuno poteva accettare la sconfitta
voluta da un Dio d’ acque ostili e maligno
senza prima menare le mani, nessuno
voleva abbandonare i rischi dell’impresa
i frutti futuri della guerra all’inedia , senza
prendere il largo, spingere oltre l’orizzonte
la punta delle lance, le frecce sibilanti
i muscoli esposti con orgoglio, esercitati
nelle palestre, o più che ferro nelle gambe
sotto lo sforzo dei pesi sfavillanti, unti
i polpacci, i gambali, gli scudi di sole roteanti
e le corazze imbrunite per le imboscate.
Si poteva lasciare la flotta nell’inedia? Dopo mesi
di preparativi? Mancare alla parola data? Umiliare
ulteriormente le tasche semi vuote le suppliche
di chi aspettava pigolando a casa?
Eludere la fama, il bacio lubrificante di Venere
la saliva, l’aspro sudore del Dio della guerra?
Corifeo
Lacrime, lamenti disumane perdite
sempre vanno messe in conto.
Coro
Urrah!
Corifeo
Guai a chi dimentica d’odiare
il suo nemico e lascia vagamente
distrarre il suo pensiero d’altro
che non sia di guerra poiché il futuro
è tutto in quel recinto armato
d’angoscia che ulula e lo serra.
Coro
Urrah! Urrah!!
Corifeo
Guerra di notte nelle strade.
Coro
Guerra di giorno nelle piazze.
Corifeo
Guerra di proclami nella Grecia
finalmente tutta in guerra!
Coro
Guerra!
Corifeo
Finché l’ unico grido: ‘vittoria’
sia il dono più prezioso per chi
torna a casa mutilato ma felice
sorridente nel cuore e nella mente.
Coro
Urrah dalla stessa gola, ugula
di gioia e rame: tutti gridiamo Nike
Corifeo
Glorioso gioco splendide faville
prima di farsi in ogni nemico
smisurata cenere.
Coro
NIKE, NIKE: Vittoria! Vittoria!
Poeta- Testimone
Non io… non io, io no.
(Si toglie la maschera di Apollo)
“il vento è favorevole alla mia nave
quando il mare è lontano”:
so che a poco serve ricordare ma
questa sera accendo per voi
le lanterne del ricordo
perché siano la voce del visibile.
Coro
Si spalancò l’azzurro del mare
accompagnato dal grido delle ciurme
dagli evviva dai tamburi sulle mura
poi dai monti dai guizzi dei delfini
dai riverberi accecanti delle luci
ora qua ora là, come fresco gorgoglio
sull’acqua mossa dalle prue
e più che burro il bianco delle nubi:
solo chi conosce la palestra
del dolore senza lacrime
può scendere nell’urto della guerra
ammutolire, sconfiggere il nemico
estinguere il morso del sangue, lavare
col sangue il sangue del fratello.
Corifeo
Ognuno dica sfregandosi le mani:
è guerra, finalmente siamo in guerra
(Si rivolge al pubblico)
e deve essere vinta.’Vincere’ lo dica ognuno
nitrendo unicamente preso da sé stesso
Coro
Lo dica agli altri ritto sulla prua in mare
apertamente sfoderando la sua spada
sventolando rosso lo straccio del sacrificio
come il collo d’un cavallo alato e gridi:
sia il collo d’Efigenia la vera via maestra
stella lattea nel cielo luminoso del galoppo.
(Il Coro sorride in maniera enigmatica
poi arretra ai lati della tomba lasciando il Corifeo
al centro della scena)
Corifeo
Agamennone sacrificò al dio del mare
sua figlia Efigenia poi più nulla lo trattenne
così la flotta partì sciamando sulle ali
ben oliate d’un padre senza cuore.
(Raggiunge il Coro)
Inedito di Walter Valeri, per gentile concessione dell’Autore.