A determinate epoche storiche corrispondono specifiche forme di espressione. Ad esempio, la parola “trovatore” ci porta al cospetto dei poeti lirici in lingua d’oc che, a partire dalla seconda metà del secolo XI, diedero vita a una grande produzione letteraria legata alle corti. Invece il termine “verismo” ci ricorda il movimento letterario fiorito in Italia nell’ultimo trentennio del XIX secolo. “Quanto alla ‘materia’, il populismo che affiora in certe prove di Verga e dei veristi non è da associare a ragioni politiche e resta ancorato alla scoperta del ‘primitivo’ e dell’ ‘elementare’ come documento di verità non alterata dalla falsità dei rapporti sociali superiori. Di questa fenomenologia del primitivo i veristi accentuano gli elementi regionalistici, ancorandoli al particolarismo delle tradizioni e dei dialetti; e folclore e sociologia alimentano quell’incontenibile produzione di romanzi e racconti che fa dell’età del verismo la prima stagione della narrativa italiana moderna”.[1]
Lo scrittore può far uso di vari generi letterari, ma il meglio di sé lo dà attraverso quello che gli è più congeniale. Ad esempio, il nome di Raymond Carver è indissolubilmente legato alla short-story. Sere fa, mentre passavo da un canale televisivo all’altro alla disperata ricerca di qualcosa di decente da seguire, sono stata raggiunta dalla frase di un tuttologo secondo cui i saggi sarebbero frutto di cose lette, mentre i romanzi scaturirebbero dalla fantasia o dal vissuto. Era ancora molto giovane e timido il narratore che incoraggiò me a insistere nella scrittura, dicendomi: “Perché tu un libro ce l’hai, e può essere il libro della tua vita”. Contenuto e forma fanno parte di categorie retoriche utilizzate per classificare opere letterarie. Voler condurre a tutti i costi un lavoro che sfugge ai normali parametri di riferimento entro i limiti di un’etichetta è gesto d’inaudita violenza; è come togliere la libertà al suo autore, costringerlo fra le quattro pareti di una cella.
Il viaggio è il filo conduttore che attraversa i miei scritti; sono anche geografici e temporali, ma un esame più approfondito potrà far dire che si tratta di percorsi interiori. Le persone in cammino sembrano essere molte, di ambo i sessi, provenienti o dirette in zone disparate del globo; più universalmente si potrà dire che la mia scrittura affronta il tema dell’attraversamento della vita da parte dell’uomo. Utilizzo soprattutto il genere racconto, perché lo amo, me lo sento congeniale. Cosa determina la scelta di certi argomenti a scapito di altri? Continuo a rimandare la stesura di un romanzo d’amore che dentro di me è pronto; forse perché a distanza di venticinque anni il dolore del tradimento ancora fa parte del mio bagaglio?
Dei personaggi privilegio stati d’animo, esperienze interiori; ma ne descrivo anche l’immersione nel sociale, la partecipazione a eventi esterni. A seconda del contesto, ricorro a cronache quotidiane o ad approcci storici, sociologici, antropologici. Adotto una cadenza saggistica per riscattare situazioni vissute con particolare intensità; ma anche per valorizzare circostanze che sono frutto di pura immaginazione. Il rigore scientifico è un’esigenza interiore: lo inseguo tanto nel riciclare storie quanto nell’inventarle. Come lettrice non trovo niente di più squallido che cogliere inesattezze. Rigore scientifico come ricerca della verità e crescita interiore.
Quando li invento, ai miei personaggi faccio dire ciò che penso, ciò che in molte occasioni non ho avuto la prontezza di ribattere per soggezione o insicurezza; li rendo, insomma, portavoce di convinzioni e inquietudini tutte mie. Ciò può avvenire anche quando propongo figure reali, utilizzando quelle loro opinioni che coincidono o rafforzano le mie. Elementi autobiografici possono essere le fondamenta su cui costruire qualsiasi genere letterario; tutti i miei scritti ne contengono, anche se in porzioni differenti. Lo stesso testo può accogliere riferimenti ad aree geografiche, epoche e situazioni diverse: a determinarne l’ordine d’inserimento non sono criteri spazio-temporali, ma imponderabili associazioni d’idee.
Non so se avrò mai disposizione interiore per scrivere il romanzo d’amore, o se avrò più il tempo materiale per farlo. Cerco di mettere a tacere la coscienza ripetendole che i racconti finora scritti, se riuniti come fossero capitoli, già compongono “il libro di una vita”. All’insieme della mia produzione un ristretto numero di persone attribuisce un’importanza storica, sociale, antropologica, etnografica, e ciò mi sostiene durante il viaggio, ma il fine ultimo del mio procedere è che abbia valore letterario.
[1] Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Garzanti Editore, 1997:1125.