Durante le recenti vacanze estive ho percorso quella lunga scia di asfalto della strada provinciale che collega Poggio Imperiale a Vico del Gargano, caratterizzata nel primo tratto pianeggiante, dalla presenza di campi di pomodori e, distinti a malapena dalle auto, di uomini curvi sulle piante. Altra strada statale, altri campi più estesi in direzione opposta conducono in pochi chilometri a Rignano, paese divenuto ora famoso per la presenza quasi decennale ma solo ora conclamata, del famoso “ghetto di Rignano”. Si tratta di una grande baraccopoli dove vivono più di duemila braccianti-schiavi costretti a dormire dove capita, a prelevare l’acqua dalle cisterne, a calpestare uno sterrato fangoso attorno al quale è ammassata un’enorme quantità di oggetti abbandonati: reti, materassi, mobili, sedie, sdraio e poi vecchie auto e vecchie roulotte. Le baracche sono fatte con pezzi di legno e lamiera, sono come imbracate in teloni di plastica. Delle circa duemila persone che vivono qui, la maggior parte sono uomini, ma ci sono anche diverse donne. Il ghetto è una sorta di vera e propria cittadella nel nulla, con baracche adibite a ‘negozi’, in cui si vendono pane, alimentari e merci di vario genere, e anche una moschea per pregare. I media nazionali ne hanno parlato nei giorni attorno al 23 agosto 2016, giorno della visita inaspettata del ministro della Giustizia Andrea Orlando al campo. Dalle immagini TV e dalla permanenza in quelle terre bellissime, sono nati i versi che seguono.
Al raccoglitore di pomodori
Ogni cinghiata d’auto di passaggio
scandisce il giorno sulla tua schiena ricurva.
Le auto dei turisti sulla serpe viva di cemento
spostano la stessa aria del tafano
in volo da una pianta all’altra.
Del tuo sudore nutri le ore,
nel tuo sudore affondi la vita,
nell’affanno del tuo cuore
strascinato nel campo della vergogna.
Terra e bucce rosse sotto le unghie
e poi terra rossa e pomodori
nei bulbi oculari scheletrici della notte
e cicale scalcinate compagne di veglia.
Non ti è dato masticare il caramello delle carrube
con la pelle grinzosa come la tua
ispessita dai rutti afoni dei caporali.
Non ti consentiranno di scavare le tue labbra
dentro al fico spaccato.
Non ti è concesso il calore del pino d’Aleppo
fuso nell’effusione del sole.
Non si punteggeranno i tuoi occhi
con le corolle dell’ibisco selvatico.
Non annegherai i tuoi piedi nella tavolozza
di Nettuno, azzurro sfumato nel verde
e il verde cavalcato
dal cristallo trionfale delle onde.
La tua sola ricchezza saranno i tatuaggi
osceni delle zanzare tigre.
D’improvviso tacciono le frustate dei pneumatici.
È domenica, cambio turno nei villaggi turistici.
Tutti a cena.
06.08.16