“O POETA ENCLAUSURADO” poesie di JOSÉ CRAVEIRINHA parte I (introduzione di Anna Fresu)

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José Craveirinha (Lourenço Marques/Maputo1922-2003), di padre portoghese e madre ronga (la popolazione del sud del Mozambico), considerato uno dei più grandi poeti di lingua portoghese, ha contribuito con la sua poesia alla costruzione dell’identità nazionale. In Italia è stato tradotto per la prima volta da Joyce Lussu nell’antologia poetica “Cantico a un Dio di catrame, Lerici, Roma, 1966 e nella nuova antologia che abbiamo curato e tradotto insieme, “Voglio essere tamburo, Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 1991, con incisioni della pittrice mozambicana Bertina Lopes. Perseguitato per i suoi versi eversivi che denunciavano le violenze di cui erano vittima i mozambicani e le mozambicane ad opera dei colonizzatori portoghesi e per la sua attività politica a sostegno del FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico) e della lotta di liberazione, Craveirinha viene processato, condannato e mandato al carcere di Machava nell’allora capitale Lourenço Marques, oggi Maputo, assieme al poeta Rui Nogar e al pittore Malangatana, fra gli altri. Una delle prove a carico dell’accusa era stata il suo libro Chigubo stampato clandestinamente a Lisbona nel 1964 dalla Casa dos Estudantes do Império e subito sequestrato dalla PIDE (la polizia politica portoghese). Il poeta restò in carcere dal 1965 al 1969. Molte delle poesie scritte in carcere e portate fuori dalla moglie Maria, costituiscono con altre, scritte successivamente, il libro Cela 1, pubblicato solo nel 1980, dopo l’indipendenza (1975) dalle Edições 70, Lisbona per l’INLD (Istituto Nazionale del Libro e del Disco – Maputo, Repubblica Popolare del Mozambico).  Joyce Lussu in “Tradurre poesia[1], racconta il suo viaggio in Mozambico intrapreso con la speranza di incontrare il poeta che però si trovava in carcere. Joyce Lussu non era nuova a queste imprese, l’aveva già fatto, ma con maggior successo, per Nazim Hikmet e il poeta angolano e futuro presidente Agostinho Neto di cui è stata sempre la prima a farci conoscere le opere attraverso le sue traduzioni. Potè comunque visitare il quartiere di Mafalala in cui il poeta ha sempre vissuto e di cui tanto ha parlato nei suoi versi, ed incontrare sua moglie. Il libro Cela 1 non è stato ancora tradotto in Italia, eccetto per alcune poesie apparse in rivista e quelle che qui propongo vengono da me tradotte per la prima volta. I versi di Cela segnano un cambiamento nella poetica di Craveirinha rispetto alla produzione precedente, diventano più duri, più scarni, probabilmente anche a causa delle condizioni del carcere e anche della necessaria rapidità in cui ha dovuto scriverli su pezzetti di carta che la moglie poteva nascondere facilmente nella scollatura o imparare a memoria per poi trascriverli successivamente.

[1] Mondadori, Milano – 1967; Robin edizioni, Roma -1999.

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UNA CANZONE IN 3 TEMPI

I

Il poeta recluso

o anche soltanto incomunicabile per sei mesi

circola

e funziona

come un irrevocabile

perfetto colpo di stato.

 

Perfino Platone,

furbo, lo sapeva già!

 

II

 

Il poeta

anche se incarcerato

non ha mai il problema

di sentirsi completamente solo.

 

Perché la poesia non gli permette

di essere in prigione

e restare da solo.

 

III

 

La difficoltà della vera poesia non sono le idee.

Sono le parole.

Quando

per esempio voglio dire

che la città di notte è il palazzo

dove inquilini privilegiati

perché disoccupati

non paganol’affitto…

 

Penso…

ma senza parole

posso confessare molte cose ma

nessuno ne sa niente.

 

(1960)

 

1.

UMA CANTIGA EM 3 TEMPOS

I

O poeta enclausurado

ou mesmo incomunicável seis meses

circula

e funciona

como um irrevogável

perfeito golpe de estado.

 

Até Platão

esperto já sabia disso!

 

II

 

O poeta

apesar de preso

nunca tem o problema

de sentir-se completamente só.

 

Porque a poesia não lhe permite

estar detido

e ficar sozinho.

 

III

 

A dificuldade

da verdadeira poesia não são as idéias.

São as palavras.

 

Quando

por exemplo quero dizer

que a cidade à noite é o palácio

onde privilegiados inquilinos

por estarem desempregados

não pagam renda…

 

Penso…

mas sem palavras

posso confessar muita coisa mas

ninguém sabe nada.

 

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2.

INTERROGATORIO

I

Lo sguardo

acquoso con cui ci fissa il serpente

e un giallo di pus che versa

il suo veleno dentro il nostro ostinato

mutismo.

 

Mille rospi gracidando

ripetono il ritmo della mascella che danza.

 

E

Sotto il viscido sguardo del rettile fumante

saliamo sul tetto del covile un milione

di volte più leggeri al peso

del panico.

 

II

 

Calmi

quattro ore di fila

comodamente seduti su una sedia

al millesimo secolo di domande

torniamo alla prima infanzia

e ci viene forte senza piscio

la voglia di pisciare!

 

Ma…

Non parliamo!

 

I nostri sorrisi mozambicanizzati

previamente da carezze

di manganelli.

 

E

le bocche gonfie

imitando il rosso del sangue naturale

rendono autentico questo verso.

 

(1966)

2.

INTERROGATÓRIO

I

O olhar

aquoso na nhoca a fitar-nos

e um amarelo de pus vertendo

o seu veneno dentro do nosso obstinado

mutismo.

 

Mil sapos coaxando

fazem o ritmo da maxila que dança.

 

E

ao viscoso olhar do réptil a fumar

subimos ao tecto do covil um milhão

de vezes mais leves ao peso

do pânico.

 

II

 

Quietos

quatro horas seguidas

comodamente sentados numa cadeira

ao milésimo século de perguntas

voltamos à primeira infância

e dá-nos forte sem mijo

a mijaneira!

 

Mas…

Não falamos!

 

Nossos

sorrisos moçambicanizados

previamente a carícias

de cacetadas.

 

E

as bocas inchadas

a sangue natural imitando o vermelho

tornam autêntico este verso.

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3.

Notti nauseate da un milione di angosce

spezzano le unghie nella lascivia delle morbide

pareti di cemento (menzogna, non sono morbide) imbiancato

e nell’amoroso carcere assordante di silenzi

il buio obbligatorio delle 9 di sera

moltiplica i nostri allarmi

ai passi degli stivali

dei carcerieri.

Dopo queste notti

sofferte come le sofrimmo

quando non tacemmo in un comizio,

rispettate un diritto conquistato

e anche se non lo dite

pensate: – GRAZIE

COMPAGNI!

 

Noites enjoadas de um milhão de angústias

racham-me as unhas na lascívia das macias

paredes de cimento (mentira não são macias) caiado

e no amoroso cárcere ensurdecedor de silêncios

o obrigatório escuro das 9 da noite

multiplica os nossos alertas

aos passos das botas

dos carcereiros.

 

Depois destas noites

sentidas como as sentimos

quando nós nos calamos num comício

respeitem um direito conquistado

e mesmo que não digam

pensem: – OBRIGADO

COMPANHEIROS!

 

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4.

AFORISMO

C’era una formica

che divideva con me l’isolamento

e insieme mangiavamo.

Eravamo uguali

con due differenze:

lei non veniva interrogata

e per disattenzione potevano calpestarla.

Ma a entrambi intenzionalmente

potevano metterci in ginocchio

ma non potevano

farci inginocchiare.

(1968)

AFORISMO

Havia uma formiga

compartilhando comigo o isolamento

e comendo juntos.

 

Estávamos iguais

com duas diferenças:

 

não era interrogada

e por descuido podiam pisá-la.

 

Mas aos dois intencionalmente

podiam pôr-nos de rastos

mas não podiam

Ajoelhar-nos.

 

 

(1968)

 

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AMORE DOLENTE

 

Baci.

Carezze.

Questo infinito sentimento

nell’amore reciproco di un uomo e di una donna

per non dimenticarci mai assolutamente

dell’amore degli amori più amati

l’amore chiamato patria!

 

Bavagli.

Bacchettate.

Prigioni.

Anelli di ferro alle caviglie.

 

E nell’infinito amore dolente

anche il bacio infantile dei figli

la tenerezza ferita instancabile della sposa

una coperta grande e una piccola per tutt’e quattro

e nascosto sotto una tavola schiodata da terra

il giornale che parla di Fidel.

 

E anche se dovessero tirarci addosso l’argomento,

con la sigaretta in bocca e il lugubre revolver sul tavolo,

non mostreremo la carta conservata sotto la tavola in soffitta

lì a far dell’amore nascosto

il futuro di un popolo.

 

(1958)

 

 

AMOR A DOER

Beijos.

Carícias.

Este infinito sentimento

no recíproco amor homem e mulher

para jamais nos esquecermos de vez

do amor dos amores mais amados

o amor chamado pátria!

Mordaças.

Palmatoadas.

Calabouços.

Anilhas de ferro nos tornozelos.

 

E no infinito amor a doer

também o infantil beijo dos filhos

a magoada ternura incansável da esposa

um cobertor grande e um pequeno para os quatro

e numa tábua despregada no chão

escondido o jornal a falar do Fidel!

E nem que nos caia em cima o argumento

de cigarro na boca e lúgubre revólver em cima da mesa

não mostraremos o papel guardado na tábua do soalho

ali a fazer do amor escondido

o futuro de um povo.

 

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6.

 

 

 

PRIGIONE

 

I

Qui

dove neanche uno della PIDE ci sente

gridare nel dialetto nazionale degli oppressi

costruiamo

I sogni più fantastici

col materiale invisibile della speranza

la realtà universale dentro

il popolo là fuori!

 

 

II

 

Patria:

a causa di noi due

l’unico qualcuno che annusa l’odore

della propria paura

è il carceriere.

 

Patria:

il nostro stesso timore

ci porta al culmine della furia

ma il carceriere con la sua stessa paura

fabbrica per tutta la polizia

l’acme della disperazione.

 

(1966)

 

.

CALABOUÇO

 

I

 

Aqui

onde nem um pide nos ouve

a gritar no dialecto nacional dos oprimidos

os mais fantásticos sonhos

construímos

com o invisível material da esperança

a realidade universal dentro

do povo lá fora!

II

 

Patria:

a causa di noi due

l’unico qualcuno che annusa l’odore

della propria paura

è il carceriere.

 

Patria:

il nostro stesso timore

ci porta al culmine della furia

ma il carceriere con la sua stessa paura

fabbrica per tutta la polizia

l’acme della disperazione.

 

(1966)

 

Pátria:

por causa de nós os dois

o único alguém a cheirar o cheiro

do seu próprio medo

è o carcereiro.

Pátria:

o nosso próprio receio

leva-nos ao cúmulo da fúria

mas ao carcereiro o próprio medo

fabrica para toda a polícia

o auge do desespero.

 

per gentile concessione di Anna Fresu, dalla raccolta “Cella 1”

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foto Anna FresuANNA FRESU

Nata a la Maddalena, in Sardegna, si è laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università La Sapienza a Roma. Ha seguito numerosi corsi di teatro, tra cui il Teatro Studio, partecipando alla creazione del teatro Spaziozero. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. Ha condotto numerosi laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado. È presidente delle associazioni culturali “Il Cerchio dell’Incontro” e, fino al 2016, di “Scritti d’Africa”. Nel 1975 ha lavorato in Portogallo come mediatrice culturale nella cooperativa agricola Torrebela. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro e creato e diretto, col regista e giornalista Mendes de Oliveira, il “Dipartimento di Cinema per l’infanzia e la gioventù” realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il suo lavoro in Mozambico è stato premiato al Festival del Cinema per lo Sviluppo a Genazzano nel 1991. Sempre nel 1991 ha curato e tradotto dal portoghese con Joyce Lussu le poesie del poeta mozambicano José Craveirinha (Voglio essere tamburo, Centro Internazionale della Grafica, Venezia). Nel 1996 è tornata in Mozambico come collaboratrice RAI per una serie di servizi televisivi e ha realizzato un laboratorio teatrale con i “meninos da rua”, bambini-soldato e vittime della guerra. Nel 2013, ha pubblicato il suo libro di racconti “Sguardi altrove”, Vertigo Edizioni. Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con alcune riviste on line e blog. In Argentina è stata docente di Lingua e Cultura Italiana presso la Società Dante Alighieri e l’Università di Mendoza e ha partecipato a congressi sulla letteratura italiana e  realizzato diversi spettacoli teatrali. Nel 2018 pubblica il suo più recente libro di poesie “Ponti di corda“, Temperino rosso Edizioni e ha curato l’antologia poetica “Molti nomi ha l’esilio“, Kanaga Edizioni.

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Le immagini nel testo sono riproduzioni di disegni del pittore mozambicano Malangatana, compagno di carcere del poeta, per gentile concessione di Anna Fresu.

La foto in evidenza è di Davide sani, per gentile concessione di OpenMultimedia web-design.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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