Per gentile concessione dell’autrice, articolo introduttivo a cura di Amelia Glaser, poesie tradotte dall’ucraino da Amelia Glaser e Yuliya Ilchuk, dall’inglese all’italiano da Pina Piccolo. L’articolo è stato ripreso da Lit Hub, dove è apparso il 26 aprile 2022.
La primavera è la stagione migratoria per le cicogne e le gru. Ad aprile, gli alberi e i tetti dell’Ucraina, dai Carpazi alla steppa di Zaporozhian, diventano il luogo di nidificazione degli uccelli. Questa primavera, la poetessa Natalia Beltchenko ha descritto il persistere della natura, nonostante i bombardamenti dell’artiglieria russa sulle città ucraine e il fumo di enormi incendi che si leva nei cieli di quel Paese:
E mentre il mondo vomita guerra
ritirandosi nel vuoto,
la primavera ha iniziato a dividere
tra noi le sue gru e cicogne
Beltchenko, una poetessa di Kiev, ha l’abitudine di pubblicare foto di uccelli sulla sua pagina Facebook, rivelando con queste immagini la bellezza dei parchi, dei fiumi e della steppa dell’Ucraina. A volte esse servono ad illustrare una nuova poesia o una traduzione dal polacco, dal russo o dal bielorusso. Altri poeti, del passato e del presente, fanno parte del più ampio ecosistema di vita, natura e poesia raffigurato da Beltchenko. Il premio Nobel polacco Wisława Szymborska (1923-2012) è nota per aver raccolto, tra gli altri oggetti, un accendisigari a forma di sottomarino. Il soggetto di una delle poesie più recenti di Beltchenko si trasforma metafisicamente in questo oggetto, assumendo la forma di un accendisigari nell’impermeabile (sebbene troppo piccolo) dell’esilio polacco.
Altri poeti del passato popolano e ispirano i versi di Beltchenko. Lo scrittore polacco Jarosław Iwaszkiewicz (1894-1980), la cui poesia è stata tradotta da Beltchenko, dedicò una poesia a Urania, fondendo insieme la musa greca e un pino ed esprimendo nei versi conclusivi il desiderio di dissolvere l’io, fondendosi in questa sacra manifestazione della natura: “Che potessi anch’io essere Urania, nulla e pino”. ( Bym także był Uranią, nicością i sosną. )
Nel suo recente tributo alla natura, alla poesia e all’anonimato, Beltchenko riprende da dove Iwaszkiewicz si era interrotto. Ma invece di voler diventare un pino, la voce invidia l’invisibilità di un insetto:
Essere capace, come una falena,
di sussurrare a questo momento: “fermati!”
e raggiungere la luce, strisciando dietro il fondale,
come se non fosse mai stato inverno.
La falena immaginata da Beltchenko potrebbe con un suo battito d’ali cambiare il corso della storia. Questa visione agogna l’effetto farfalla” di Lorenz, ma è anche una giustificazione per continuare a guardare le piccole cose, gli insetti e gli uccelli che rispecchiano e alterano il nostro mondo. Nel tradurre questi versi si è tentati di imporre un “io” lirico, ma Beltchenko resiste alla narrativa in prima persona, rifiutandosi di cedere alla soggettività, dal punto di vista grammaticale e tematico. La poesia segue la falena nel suo tragitto verso la musa Urania, “a un ramo del pino di Iwaszkiewicz”. Proprio come il desiderio di diventare falena (o pino) l’aspirazione a fondersi con la poesia del passato non è che una dissoluzione della soggettività.
La natura ha in un qualche modo la capacità di rigenerarsi, guarire, anche fra le macerie dell’umanità. Nelle sue poesie – e talvolta nelle fotografie che le illustrano – Beltchenko paragona la sua famiglia agli scoiattoli, facendo un gioco linguistico sulla somiglianza del suo cognome con “bilka” – “scoiattolo” in ucraino. In una delle sue poesie chi parla evoca la sua parentela con la foresta:
…mio padre si è fuso con te
ed è diventato come te:
scoiattoloso, innevato e aviario
La perdita personale o la tragedia di massa non vengono escluse dall’ecosistema interconnesso della poeta, eppure le sue poesie sono stranamente piene di speranza. La natura stessa possiede la possibilità di sopravvivenza. In “Ver Sacrum”, un ciclo del 2019 sull’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl il 26 aprile 1986, Beltchenko scrive dell’inizio di una nuova vita dopo il disastro nucleare. Anche quando il mondo sembra essersi totalmente arso qualcosa si ostina a rimanere.
ma le femmine nelle erbe della vita
danno alla luce scarafaggi, cavallette
але самки в траві життя
народжують коників і коваликів
*
E mentre il mondo vomita guerra
ritirandosi nel vuoto, la primavera inizia a dividere
Tra noi le sue le gru e cicogne
C’è un potere in questa migrazione verso nord,
che sfugge alla paura e all’assenso,
mentre siamo fuori sul ghiaccio primaverile,
un male primordiale ci atterra nelle mani
I tempi del futuro e del passato
sono rimasti bloccati nel fango della grammatica.
Le cicogne si sono addormentate nei loro nidi
non essendo ancora arrivate
Solo l’esercito ucraino e i suoi volontari
sono svegli. In questo conto alla rovescia per una nuova era,
sarà un bambino nato in uno scantinato
a ricevere le tavole sacre
*
Essere capaci, come una falena,
di sussurrare a questo momento: “fermati!”
e raggiungere la luce, strisciando dietro al fondale,
come se non fosse mai stato inverno.
La falena vola via verso la musa Urania,
verso un ramo del pino di Iwaszkiewicz.
Il viticoltore versa agli uccelli il suo vino,
e neutralizza il dolore ubriacandosi.
Ninna nanna dell’inverno, cullami, lasciami
in una pelliccia calda a scrivere poesie,
scaccia le lepri dai meli,
così non mangeranno i germogli, visita i semi
dei sogni, visita i tuoi cari, noi,
fa che sia di nuovo Natale.
E dopo, la primavera, e i nostri soldati vivi,
e la falena è dentro la manica…
*
Ieri ho messo i pantaloni di mio padre.
Mi stanno bene ora.
Lo ricordo bene quando li indossava
all’incirca all’età che ho io adesso.
Abbronzato. Inafferrabile.
O forse gli correvo lentamente intorno?
Nel punto in cui i suoi pantaloni erano colore caffè e latte
e non color vomito e vodka.
Mi aggregavo sempre a giri di persone molto più grandi.
Alla ricerca, credo, del pescatore, del fotografo dilettante,
del coltivatore di pomodori sotto una lampada riscaldante
per il mio compleanno di Natale,
l’’ingegnere elettrico, lontano
nelle foreste della mia infanzia,
quello che a quattordici anni
vide la sua prima lampadina.
*
La foresta è quasi nostra,
come il sale nella saliera.
È calma e non ha paura,
perché dalla bocca e dalle ciglia uccello dopo uccello
e da burrone a burrone
fa un cenno col capo come agli amici:
e tu sei felice.
Ulisse, foresta, tornate a noi,
perché mio padre si è fuso con te
ed è diventato come te,
scoiattoloso, innevato e aviario,
se solo potessi inviare a mio figlio
le tue lettere.
*
La neve sta cadendo su Cracovia, quella del tipo
che rallenta le tue frasi e rallenta le tue azioni
che rallenta le lacrime che gocciolano dalle tue ciglia
per la paura dei tempi di guerra per Kiev
Cracovia è un impermeabile, di taglia junior,
dove ti ritrovi nascosta in fondo a una tasca
illesa, e nell’altra
vivi nella disperazione e nel dolore che non si placano.
Tu sei l’accendisigari di Szymborska
dentro la tasca, quella a destra.
Ma i guai si versano da quella di sinistra,
come nelle pianure alluvionali di Irpin.
Poesie tradotte dall’ucraino da Amelia Glaser e Yuliya Ilchuk, dall’inglese all’italiano da Pina Piccolo
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Natalia Beltchenko è una poetessa e traduttrice. Nata a Kiev, ha ricevuto il Premio Hubert Burda (Germania, 2000) e il Premio Mykola Ushakov per la Letteratura dell’Unione Nazionale degli Scrittori dell’Ucraina (Ucraina, 2006). Finalista del Premio Gennady Grigoriev (Russia, 2013), vincitrice del premio “Pianeta del poeta” di L. Vysheslavsky (Ucraina, 2014). Le sue opere comprendono otto raccolte di poesie e numerose selezioni in riviste e pubblicazioni antologiche, sia in Ucraina che all’estero (in inglese, tedesco, francese, polacco, coreano, olandese, bulgaro, ecc.).
Amelia Glaser è professoressa associata di letteratura russa e comparata presso la UC San Diego. È autrice di Jews and Ukrainians in Russia’s Literary Borderlands (2012) e Songs in Dark Times: Yiddish Poetry of Struggle from Scottsboro to Palestine (2020). Attualmente è ricercatrice presso il Radcliffe Institute for Advanced Study.
Yuliya Ilchuk è professoressa assistente di lingue e letterature slave presso la Stanford University. È l’autrice di Nikolai Gogol: Performing Hybrid Identity (2021). Attualmente conduce ricerche su memoria e identità nella letteratura russa e ucraina post-sovietiche.
Immagine di copertina: Immagine ripresa da Lit Hub.