Il titolo chiarisce senza possibilità di equivoci uno dei principali fili conduttori della raccolta: il tema del tempus fugit, ripreso con accenni e intensità diversi, dell’illusione di fissare la bellezza e l’amore nell’esistenza umana. La vita è interpretata dall’autore come una battaglia epica e solitaria fatta di scontri, baruffe contro la mediocrità, la mercificazione dei sentimenti, il livellamento ai peggiori istinti e come spleen esistenziale nei momenti di stanca o di disillusione.
L’autore, in questo contesto, affida chiaramente alla parola un compito alto e decisivo: “La parola deve essere affilata / in questi tempi di crisi amara,/ deve squarciare i veli velenosi / dell’indifferenza dei giorni oscuri. / […] / Perché la poesia muore / Se non uccide / L’ipocrisia.
Nella miseria più nera della mente,
Scaglio asce di guerra in rima sparsa,
In attesa di un vento macabro
Di zolfo
Che forzi il piano mellifluo
Dello sguardo.
Mi incateno agli angoli del ricordo
E agito un sonno gravido di lividi intatti.
Non ci sono porte di seta
Né troni nell’alto dei cieli.
Solo questa terra,
Terribile compagna
Che spezza le mie vertebre.
HARD TIMES
Indugio lacerato nel mio vuoto,
Il passo di solito è lieve solo
Per chi non teme la coscienza.
La voce dello spirito predica a vuoto
In questi tempi ardui e saturi di tutto.
Sarebbe inutile scompigliare le carte,
Invocando un terribile parapiglia
Liberatorio.
Quello che la mano vigile non ha
voluto trattenere,
Non affiorerà più da fonti nascoste,
E folle sarebbe sperare il contrario.
Nelle zone d’ombra che chiamiamo vita,
Uno sguardo di colpo ferisce,
Aprendo spazi che nessuno più cercava.
Chiamare Dio è una comoda banalità,
Quando né il martirio né l’ascesa,
Si attende più dal cuore.
Firenze-Moyo
28/07/2012
Mi aggrappo alle parole
Come a tanti salvagenti
Disseminati a caso
In un mare di tempesta.
Sono immense
Le onde che potrebbero
Inghiottirmi ad ogni istante,
Mentre spero,
Che una riva sconosciuta,
Sia visibile allo sguardo.
Me le stringo
Come fossero il cuscino,
Che di colpo mi spediva
In un mondo parallelo; allorché
Il prezzo delle cose
Era un gioco da bambino.
Le scaglio veloci le mie parole,
Come dardi acuminati,
Un arco stellare che imprime
Traiettorie insolite,
Conduce le mie azioni.
Le scrivo queste parole,
Facendone squarci
Che si conficcano decisi
Nella pelle al fine
Di sodomizzare le paure,
Di mettere in ridicolo
Le illusioni.
Certo che nulla può cambiare;
Forse che la mano sconosciuta
Che mi stringe al collo,
Mollerà la presa?
Paris 03/02/10
È solo illusione questo sole che prende spazi,
Che invade afferrandoti per mano.
È solo fumo questa bellezza fatta di case, chiese,
Monumenti e umani paesaggi.
Invece sono altre le domande da farsi
E altri i misteri da cercare, mentre
La dolcezza di una donna ti vorrebbe
Far sedere e contemplare.
Qualcosa che c’è prima e che ci sarà dopo,
Inafferrabile, eppure terribilmente presente.
Pare quasi sparire tra le bellezze italiane,
Quasi come a dileguarsi in un’orgia di promiscuità.
Ma le frasi sono brevi e le dolcezze durano
Come un battito di strali.
In un’ombra improvvisa si prefigura
L’indesiderato intruso che non perdona.
Perdere tempo, illudersi, sviarsi
In fondo, anche questo conta poco.
Giunti dal nulla
Al nulla torneremo
Gridano in molti
Quasi fossero al mercato
Affollato di fantasmi
Catapultati
Dal flusso strangolato
Eppur sempre famelico
Di vite da sventrare
Sarebbe bello
Sognare dell’eternità
Degli esseri in volo
Dare del tu agli astri
E prendere per mano
l’angoscia che scortica
Da tempo immemore
L’infinito
Il poeta avanza ogni volta,
Anche in un’epoca colma
Di desideri strozzati sul nascere
Come questa.
Non conosce impudiche paure,
Tra le mani, come sempre,
Ha un cesto gonfio di betulle,
Non salverà il mondo,
Non lo peggiorerà.
Saranno i giorni insolenti,
Ad emettere il loro responso
Funesto sul far della sera,
Quando sparuti operai
Annaspano a largo,
Quando il sogno antico
Che di nuovo si rinnova,
Sarà ucciso ancora una volta,
In un sacrificio rituale
Per bambole gonfiabili
E piene di brame inascoltate.
Non può fare del male il poeta,
La sua lingua lo conduce
Ove tutto e niente si danno la mano.
Scia di luce improvvisa,
Fragore che spesso uccide.
POESIA ANNO ZERO
Che la parola sia infine cattiva,
Terribile profeta dei tempi che
crollano,
Che distrugga i falsi incavi
Che danno rifugio all’egoismo.
La parola deve essere affilata
In questi tempi di crisi amara,
Deve squarciare i veli velenosi
Dell’indifferenza dei giorni oscuri.
Prepararsi alla guerra anche quando
Non viene dichiarata da nessuno,
È più importante di una vittoria di Pirro.
Perché la poesia muore
Se non uccide
L’ipocrisia.
Biografia:
Marco Incardona nasce a Vittoria (RG) nel 1978 da padre siciliano e madre campana; attualmente vive a Firenze , pubblicato dalla Nuova Rosa editrice (2011), è il suo esordio letterario. Finalista al premio il Forte con il racconto “Una voce tra le tombe”, ambientato a Castelfranco, vince il Quarto Premio con la piccola raccolta di poesie The Planets, ispirata all’omonimo poema sinfonico di Gustav Holst. Per Ensemble ha curato, insieme a Edoardo Olmi, il volume Affluenti. Nuova poesia fiorentina (2016).
Immagine di copertina: Foto di Teri Allen Piccolo.