Non vivo nel tempo che Crono dispone – Poesie di Benedetta Davalli

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Non vivo nel tempo che Cronos dispone

Abito un lento vagare di suoni

Dove il cuore respira con grazia.

 

 

 

 

 

Talvolta si accasa in me

un groviglio di buio.

E’ pesante da portare,

irto da pensare.

 

 

 

 

 

Sguardo

 

Prima delle parole c’è lo sguardo

poi il contatto pelle a pelle

per dare sostanza e voce

alle vibrazioni remote.

agli echi lontani.

al tepore placentare lasciato.

 

 

Essere ora nel mondo

con il mio sguardo e le mie orecchie

con la bocca le mani

le gambe per gattonare

e toccare questa terra abitata

ora anche da me.

 

 

 

 

 

 

Ereditiera

 

Ho ritrovato fra le tue tele tessute a mano

ricami incompiuti e fili sospesi , madre.

 

Fili sospesi e tele come vele

per navigare la vita.

 

Li ho raccolti uno ad uno,

continuando i tuoi punti

che mi interrogano

sulla nostra distanza.

 

.

Lo so. I punti rivelano

la mano diversa, indicano

un allora a me sconosciuto

Quando tessevi, prima del matrimonio?

o dopo il primo figlio?

 

Già i figli ti distolsero,

ma ora questi fili annodati

dalle nostre mani

raccontano di noi.

 

Con gesti riverenti

raccolgo i fili sospesi

lontani dall’ago

e immersi nel lago della mancanza,

Nascosta mancanza fra le pieghe

delle tue tele che odorano di te

e profumano di parole tue dal ritmo lieve.

 

Grazie mamma,

per i fili sospesi come sospiri

ad un già e non ancora

che in me s’alluma

e mi commuove e fa vivere

e scioglie i grumi del muto deserto

che un tempo ci abitò.

 

Con l’ago intreccio il filo alle tele

ed entro nelle orme del tuo silenzio

del tuo silenzio di donna,

Un silenzio di ’attesa

che canta e riluce

come le lenzuola del lettone

tanto agognato. Ti imploravo.

e con quale slancio saltavo

dopo il tuo permesso –un poco

soltanto un poco –

.

Quel poco era per me eternità

di piacere, un’ampia piazza di gioco.

! Ancora sento i talloni che affondano

nel tuo morbido corpo!

 

Emozioni di paradiso

rapidamente sfumate in un –adesso basta -.

Fu una cacciata dall’Eden

che sempre tacqui a me bambina.

 

Queste tele ora cucite

con il filo della vita

che tu mi hai donato,

hanno il tuo profumo,

la 4711, ricordi?

Ancora conservo questa tua acqua di colonia

talvolta il mattino lo indosso, una goccia

due gocce, quasi un vestito segreto

del tuo silenzio di madre.

 

 

Stracci

 

Stracci, antichi oggetti d’uso

ora cocci di parola perduta

un tempo importanti per ogni mestiere

fabbro, infermiere, salumiere,

solo ai dottori erano alieni.

 

Anche mia madre usava gli stracci

e me li dava per giocare.

coperte o mantelli per bambole

da cullare o incoronare,

nascevano da vestiti consunti

o da maglie ormai lise.

Così ogni straccio era una storia

conteneva sensazioni e invenzioni.

Cari stracci da perdere per sempre!

Quando diventavano troppi

arrivava lo stracciaio, persona

dimessa ma autorevole in materia

che conosceva e valutava il tessuto.

 

Mi piaceva giocare con gli stracci

mi piaceva vedere scorrere

a terra il disegno indossato

quasi un ricordo fuori posto.

Godevo della libertà di pensare

è consumato, oh sì- .

 

Gli stracci da buttare…

parti di intimità consunta,

da cambiare: Un ciclo,

un fare e disfare,

collocando lo sporco e il pulito

il vecchio e il nuovo con gesti

di mano esperta e trasformante.

 

Stracci da terra, da spolvero,

macchie e buchi, che importa

si possono buttare!

 

Dalla raccolta inedita “A piedi nudi”, per gentile concessione dell’autrice LogoCC

 

 

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7 dicembre 2014

 

tremilaquattrocento diciannove

affogati in mare quest’anno

e siamo al 7 dicembre.

Una morte continua, silenziosa

nel fruscio del mare che inghiotte

grida e corpi, vesti e sciarpe

Hamin, Nadal dove siete? Il buio

il buio mi ha tradito, vi cerco

siamo partiti insieme

non possiamo dividerci ora!

Il barcone è diventato sarcofago

per la rapina di pochi

e il pericolo di tutti noi

che siamo tanti e sfregiati

dall’ignoranza di chi non ci vede!

Hamin, Nadal noi siamo partiti

insieme, non possiamo dividerci ora,

ora che il barcone si è rovesciato

ed è buio per noi che affoghiamo

né possiamo ribellarci al mare….

Oh immane impotenza trasforma in canto

noi morti- viventi che gridiamo

libertà libertà libertà !!!!!

 

 

 

Parigi 13 novembre 2015

 

 

In quella notte la parola bomba

si materializzò in sette esplosioni

e la convivialità di quei luoghi

venne spezzata perché la parola

era mitra e il mitra era morte

e le persone cadevano a terra

come tanti lembi di stoffa

 

e sale un silenzio di paura e follia

che avvolge tutti come un bagno di odio,

il lamento dei feriti richiama

alla vita, polizia e infermieri corrono

raccolgono, spostano, curano…

 

Riprende il movimento vivo

dell’aiuto inasprito dalla caccia

all’assassino e dal terrore

e dal pianto e dall’urlo dell’orrore,

l’allarme si diffonde,

 

mentre io ti cerco con lo sguardo

e non ti vedo, la mia vista

è offuscata, ma mi basta un bottone

per riconoscerti, tu..tu dove sei?

Fatti sentire…aspettami a morire…

 

Non così….non così.

 

per gentile concessione dell’autrice LogoCC

 

Foto in evidenza di Micaela Contoli.

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Benedetta Davalli

Benedetta Davalli Leoncini (Budrio 1944 - 2017), è stata cofondatrice de lamacchinasognante.com. Laureata a Bologna, ha esercitato la professione di psicologa e psicoterapeuta. Ha pubblicato "La penna ferita" (1992) "Luci e colori "(1997) "Voca voce" (2006). Ha fatto parte della Società poetica, arte della lingua materna di Ravenna ed ha curato il volume collettaneo "La lingua che accade "assieme a M.L. Antonellini e M. Collinelli. E' presente in diverse antologie della poesia italiana compreso le diverse edizioni di Poeti romagnoli d'oggi a cura di F. Pollini. Interessata allo studio della parola poetica ha sperimentato nei suoi testi una ricerca appassionata di significati, timbri vocali e immagini. ha fatto parte di multiVERSI.

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