Nenad Šaponja
dalla raccolta SLATKA SMRT (Dolce morte)
traduzione di Mia Lecomte e Anastasija Gjurcinova
Siamo dove siamo
Nel profondo sognavo mute parole altrui.
Emersi dalla lacrima.
Affiorai dall’assenza.
Dimorai nella penuria,
nell’universale mancanza del mondo,
nella falsa solidità del corpo.
Spogliai la pelle in cui non stavo.
Il sogno da cui non posso uscire
Sono così incantato dal presente.
La morte fiocca. E l’inclinazione al visibile
trama l’inganno. Seguo il prevedibile.
Mi muovo da dove non sono.
Attraverso il fervore, il muro dell’incredulità.
Ulula l’orrore. Cerco di raccogliere me stesso.
Di occupare la prossimità,
stabilire la misura del luogo in cui mi trovo.
Piace la considerazione nell’altro.
Con l’illusione misuro il deperibile.
Mestiere:
levitazione
Una fortezza è il luogo
dove accelera il tempo.
Mentre la costruivo, ne uscivo.
Scendevo al fondo
per riconoscerne e raccoglierne lo splendore.
L’errore nascondeva il silenzio.
Marciavo sotto il vessillo dell’equivoco.
Deposta ogni logica.
Attraversai a piedi lo svenimento.
Vidi e dimenticai la certezza.
Esiste
il tocco della tua anima?
L’astuta cartografia del dolore
si assembla in un’immagine intenzionale
di cose inquiete. Gioco
con le scoperte del meraviglioso,
con l’inutile verità del verosimile. Una certa
consuetudine veste abiti
già sporchi, unti
nella rappresentazione del finale
oblio d’eternità.
Ammaliato dall’effetto di svenimento,
determinato e modesto, mi scopro
dove non sono. Un essere consunto,
è l’unica barca su cui navigo.
L’anima dislocata lega
le immagini dell’esistere all’apparenza del mare.
Il prestito delle immagini maschera l’apparente.
Io affondo nell’intenzione, nella melma
dove non si cammina, non si può stare
né essere. La distesa
dell’invisibile segue la traccia dell’affondamento.
La scaltrezza riduce anche la sola ombra
al rovescio del niente. Mentre l’Io si
immerge ancora nell’apparenza di sé.
Navigo attraverso un cubetto di ghiaccio.
Ci mascheriamo
di consuetudine
Si rinnegano le cerimonie del corpo.
Ci copriamo d’estate e d’autunno, d’inverno.
Il fumo dorato evapora
i tempi sedimentano, spesso come estranei.
Eravamo lontani, siamo vicini ora,
eravamo qui, siamo già là.
Non fummo mai abbastanza dentro,
mentre lasciavamo spesso l’anima fuori dal corpo.
Da varie parti dell’armonia temporale,
riconosciuti nella differenza, guardiamo le stesse cose.
Il mondo ribaltato da noi trasuda,
mentre corrodiamo i resti del futuro.
Ostinatamente cerchiamo in noi il luogo
in cui si svolge l’esperienza dell’esistere,
la rappresentazione della presenza, e viviamo nella matrice
che lo disvela fuori di noi.
E così il mondo cresce e rimpicciolisce,
mentre il tempo centra il punto
in cui il nostro nessun luogo e il niente
convergono perfettamente.
Ci vestiamo già dell’ora dell’inganno.
Sprofondai in un tempo
senza eventi
Nel luogo segreto, sognato,
nell’equazione che dimostra l’esistenza del mondo,
ti proteggo dall’annotazione quotidiana del cambiamento.
Echeggia il silenzio
mentre dilungo la presenza
fino ai limiti dello strappo.
Con ostinazione coltivo il fatuo
da ambo i lati del visibile,
nel profondo dell’essere.
L’entusiasmo, profondamente incommensurabile, svanisce,
la somma trascura il conto,
il certo l’incerto
Risuona l’oscurità, il deperibile profuma.
Visi irriducibili, scivolano
da un mondo all’altro.
L’anima visibile e l’invisibile
si alternano nello spazio del deperibile.
Infinitamente dispersi,
nella destrezza quotidiana,
non ci meravigliamo più di niente.
Bagliore
Visibile è una cosa,
Le nostre anime decompongono l’invisibile.
Alcuni strati, formano una fortezza.
Ci protegge la ferita, non l’armatura.
Il presagio del giorno scioglie la pienezza del sogno.
Camminiamo, molto più spesso, sull’inesprimibile.
Ci aiutiamo, con il respiro, attraverso le parole.
I nostri esseri fluttuano,
appena sopra al visibile,
fuori dalle ombre corte
del superbo e del vuoto.
La presenza è ciò che appena si presagisce.
L’irreale riscalda, il palpabile ci intralcia.
La pena al significato,
si scopre nell’accelerazione del tempo,
e il bagliore del riconoscimento è quello che è.
Traduzione dal serbo di Mia Lecomte e Anastasija Gjurcinova.
Per gentile concessione dell’autore, ringraziamo Mia Lecomte per avercele proposte.
Nenad Šaponja (Novi Sad, Serbia, 1964) è poeta, saggista e critico letterario. Fra le sue ultime raccolte poetiche si ricordano: Slatka smrt (Dolce morte, 2012), Postoji li dodir tvoje duše? (Esiste il tocco della tua anima?, 2014), Izgledam, dakle nisam (Sembro, quindi non sono, 2017), Silazim u tišinu tega bačene kocke (Scendo nel peso silenzioso dei dadi che rotolano, 2019). È tradotto in macedone, rumeno, albanese, inglese, spagnolo e polacco. Ha scritto inoltre i saggi critici: Bedeker sumnje (Baedeker per il dubbio, 1997), Autobiografija čitanja (Autobiografia del leggere, 1999), Iskustvo pisanja (Scrivere, un’esperienza, 2000, 2002). E il diario di viaggio: A Brisel se da prehodati lako (Bruxelles è facile da percorrere a piedi, 2018). Ha ricevuto il premio Brankova nagrada per la poesia, il premio Prosveta nagrada per la saggistica e il premio Milan Bogdanović per la critica giornalistica.
Immagine in evidenza: Opera grafica di Irene De Matteis.