Naufragi è il titolo di questa silloge e non è un titolo letterario, ma vero e drammatico, perché la lucidità della parola in Giuseppe Schembari è abbacinante. Seguire il succedersi dei versi è come una corsa lungo la via del cuore ineluttabilmente straziato dagli allucinogeni prima e dall’imbroglio e dal tradimento poi. Compaiono momenti di pietas come in Piccolo clandestino dove in soli nove versi l’autore ti fa respirare la bellezza che tuttavia poi “si cinse di catene”.
Potrei chiamarli versi cardiaci che esultano e fanno esultare nel movimento in sistole e tramortiscono in diastole e come tali sono versi bollenti che si rincorrono l’un l’altro fino al naufragio. Ho cercato con la lanterna della pazienza fra le intensità che le poesie suscitano come “bellezza dai fiati sospesi” oppure “fragile come l’opaca essenza dell’ombra” ma segue inevitabilmente la drammatica semplicità del tragico” sulla stradina del cimitero / di notte svende la vita / in mille ferite nascosta”.
E mi sembra di cogliere un dolore nel silenzio che suscitano questi versi ed è l’assenza di consolazione, c’è una danza o uno scontro fra la vita e la morte, ma non c’è paura, c’è naufragio.
Mi chiedo se tutto questo appartiene alla lucidità maschile o se è uno stile poetico alla maniera dei “poeti maledetti” come scrive Pino Bertelli nell’introduzione. Di certo la lettura suscita inquietudine e costringe chi legge a porsi in faccia al mondo con lo sguardo inchiodato alle nostre fragilità, alla nostra capacità di tradire e di mascherare.
Provo gratitudine per Giuseppe Schembari per il linguaggio poetico che esprime senza sbavature e senza piume, ma incide con parole-scalpello la nostra umanità nel profondo con un senso della bellezza vitale e presente che traspare dai settenari incalzanti di una metrica sobria e precisa, Questi naufragi in versi non sono affatto distanti dai naufragi quotidiani che avvengono nel Mediterraneo, pare quasi che Schembari ne abbia udito le grida, i tonfi, lo sciabordio delle acque: Sono i tragici imbrogli patiti dalla nostra umanità inerme.
Abisso
Nell’abisso
di un cesso pubblico
le scarpe affogano nel piscio
oltraggia le pupille dilatate
la luce a neon
Conosce
il percorso delle vene
la gelida anima
dell’ago che vi affoga
col caldo balbettio dell’eroina
Scorre con l’armonia beata
di un orgasmo
quando l’astinenza pugnace
è un morso allo stomaco
Nel guado degli annegati
sto genuflesso
al fascino malefico
di un’endovena
lugubre tatuaggio
inciso sulla pelle
Indugiano ancora
In una notte come questa
la città si scolora
senza una ragione
La strada dell’astinenza – dell’attesa
esala un lamento sordo
imprigionato nella pietra
Gli sguardi inchiodati
sulle assi di legno
non sanno fuggire
dal carnefice che li reclama
come figli suoi
Nel simposio dei disperati
l’ombra staglia
gli esili contorni
dei corpi tumefatti
grammo dopo grammo
intagliano sul marmo dell’avambraccio
la genesi dell’annientamento
Plana la stricnina
come una spirale incandescente
in quella parabola
che circoscrive lo sdegno
indugiano ancora incapaci
sul baratro della loro utopia
Lo specchio
Riguardi
lo specchio
dell’impalpabile ricordo
Senza fantasia
costringi
a compitare i doni
della memoria
E ne rimane
lo smacco
come una siderea
fiammata
Destino contorto
Vita provvisoria
in bilico
tra la barca e il mare
davanti una striscia liquida
Un destino contorto
inganna
nella foga che affoga
mani cianotiche
cercano appigli improbabili
urla la morte
in fondo al mare
Una preghiera si intona
a un dio che non ascolta
derisa dal silenzio
La stirpe dell’esilio
Imperterriti resistiamo
in questa stagione in bilico
tra sconfitta e rabbia
si rimescolano le carte
nella speranza che qualcosa accada
e divenga scalpore
salvandoci da questa inedia
Vertiginose ed incomprensibili
trasgressioni sintattiche
fanno volteggiare
come trottole impazzite
ma si palesano chiare le isotopie
che si separano di netto
Troviamo sempre
ringhiosi cani da guardia
che pattugliano in divisa
i loschi covi del potere
In questa sorta di vacanza di ideali
è stato facile che l’istrione
divenisse eroe
dinnanzi a un gregge
che bela inebetito
incapace a dissipare gli orrori
nel tempo perpetrati
ma genuflesso l’assolve
Forse sognare non basta
ci siamo distratti un po’ troppo
o forse credevamo di star bene
nonostante tutto
anche se dilagavano a dismisura
le metastasi del malessere
Ci sono cresciuti sul viso
come barba canuta
disprezzo e tradimenti
per scoprire che siamo
la nuova stirpe dell’esilio
Piccolo clandestino
Non come Venere
nata dalla spuma del mare
ma come quel bimbo
nato dalla schiuma
dell’onda di una barca
che lo adagiò stremato
sulle rive
della mia terra
e lo cinse di catene
Una semplice ribellione
Si tenta di eludere
l’ordito inganno
giustificando l’altrui nequizia
da quella ilarità fallace
che irrompe
con un riso barbarico
Ma nell’immediatezza dell’incomprensibile
dei tanti perché insoluti
dei dubbi inalterati
non si riscatteranno
rattrappiti furori
astratti progetti
apostate verità
dallo scempio di questo sopravvivere
che nega ogni rivalsa
ed evolve inevitabile alla resa
La tracotanza del potere
si abbatte insanguinandosi
chi non azzanna in anticipo
finisce azzannato
l’incognita è prima
il dopo è già vissuto
per gentile concessione dell’autore, poesie tratte da Naufragi, Sicilia Punto L, 2016
Giuseppe Schembari (1963) nato a Ragusa , ha pubblicato nel 1989 il volume di versi “Al di sotto dello zero” edito da Sicilia punto L di Ragusa, è stato tra i vincitori del Concorso dei Poesia “Mario Gori“ , Concorso nazionale di poesia civile “B. Brècht” città di Comiso, Premio Nazionale di Poesia “Ignazio Russo” città di Sciacca, inoltre vincitore e finalista in vari concorsi nazionali e regionali. Sue poesie sono inserite in varie antologie, collabora con giornali e riviste.
Poeta del “ Dissenso “ propenso verso formule d’avanguardia linguistica e sperimentale, per il quale la poesia è testimonianza e risposta al quesito della storia e della cronaca quotidiana, relativo ad un modulo d’oppressione e di sfruttamento.
Foto in evidenza e foto dell’autore a cura di Giuseppe Schembari.