NEGRO MOMENT ‘ Kuti as a Kilimangiaro, di Reginaldo Cerolini

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La prima volta che ho sentito parlare di Tommy Kuti è stato da Pina Piccolo[1], la seconda volta in cui ho sentito parlare di lui è stato da un mio amico rapper italo-nigeriano, ma mi era ancora oscuro. Ho sentito parlare di questo artista per la terza volta da una parente che lavorava nella produzione di Pecchino Exspres (di cui quest’anno è diventato concorrente molto apprezzato). La quarta volta che ho sentito parlare di Kuti è stato direttamente dall’infaticabile artista Omarito, che addirittura mi ha riferito che il suo trasferimento a Milano è stato motivato da un suggerimento del musicista rap. Ho però conosciuto il lavoro di Kuti solo interessandomi a questa rubrica Negro Moment, è stato allora che ho potuto confrontarmi direttamente col suo lavoro. In modo critico, mi sono reso conto di come, simile a una montagna sia il punto di riferimento per tutti gli artisti emergenti di origine africana, o semplicemente i nuovi italiani. Lo è già da quella sorta di movimento, non solo online di Afroitaliano, e dalla canzone ed evento sociale del 2015 STRANERO con Diss2peace e Yank si trattò (vero e proprio capolavoro di testi e di happening contemporaneo, in cui la massiccia presenza di italiani caucasici e un vero e proprio manifesto della Nuova Italia)[2].

La mia ignoranza rispetto al suo lavoro, fino ad un anno e mezzo orsono, è lenita dall’ignoranza dei media in generale, per non parlare di quella televisiva. Ora che una trasmissione come Pechino Express, della Rai, pensi di aver scovato un artista e di renderlo noto secondo meccanismi televisivi, mi sembra una verità ambigua, primo perché è essa autoreferenziale, secondo perché mostra la sua arretratezza culturale e terzo il suo ritardo nel riconoscere il suo valore, è come dicevo pura ignoranza[3]. Youtube, i blog, le tv, le webtv ed i siti come sempre da ormai anni, conoscono Tommy Kuti dai suoi esordi, e l’underground rap-trap degli ultimi 3 anni, divenuto chic perché la visibilità significa vendite, gli ha dato una dimensione di notorietà e di famigliarità con i followers, solida ed in crescita. Ciò non toglie che il rap-trap dei Nuovi Italiani sia ancora di nicchia nonostante il numero di follower. Mi capita sempre infatti di proporre i nomi di Omarito, Kuti, Miriam Ayaba, Yank, Roy Raheem, etc. e gli italiani caucasici e senza origini miste, non li conoscono[4], ovviamente con Ghali, BelloFigo[5], e Laioung vado più sul sicuro.

Che cosa penso io di Kuti? Devo dire che non mi aveva convinto il suo nuovo esordio di successo con Armstrong[6], nonostante la bellezza elegiaca e semplice del video di Luca Spagnoli, che ne è anche produttore (interessante), e il peso specifico del testo dove niggas, razzisti e la volontà di emergere hanno la forza del realismo dei termini dindi, cash, Armstrong. Mi aveva interessato molto il sound ghaliano Beautiful , con un testo pulito, tematicamente molto chiaro (il verso “hanno accenti africani ma parlano meglio di certi italiani” superbo), e l’elegante video di Luca Spagnoli. Politici in trip è un testo perfetto e avveniristico, meno convincente come base, e non troppo originale come video. È stato qui che ho provato della vera ammirazione per Kuti e ne ho sentito la grandezza. In esso la posizione dei nuovi italiani è una dichiarazione di consapevolezza, priva di rabbia, di cupidigia, o risentimenti, ma mostra la forza vera della consapevolezza, e ha un’ironia accattivante (carattere essenziale ed equivalente alla denuncia sociale ed alla rabbia, della tradizione rap, ma troppo spesso dimenticato dalla nuova generazione Trap) quanto spiazzante e in questo, nello stupore pieno delle frasi efficaci si mostra un artista. Recentemente, la canzone Sku, Sku[7], con la presenza di Coliche, è molto divertente ed efficace (video che ha preso l’idea della festa interetnica, in versione afroitaliana da Omarito di Negritude), ma il pezzo più significativo[8],mentre attendiamo l’uscita dell’album Italiano Vero -della cifra stilistica di Kuti e che si mostra agli effetti come un manifesto rap, è #Afroitaliano[9], pubblicato il 5 aprile 2018 ha oltre 400.000 visitatori. Le qualità della produzione musicale e del testo, oltre che dell’interpretazione musicale da parte di Kuti emoziona e fa sentire fieri di essere ciò che siamo, di ciò che nonostante l’ignoranza imperante ed il razzismo l’Italia unita e multietnica (ribadendo come io intendo l’uso dei termini nero o negro come segno storico della differenza) sta tentando di diventare[10]. Oltre ad essere la pubblica dichiarazione della relazione artistica d Kuti-Fibra, ha nel video – girato con asciutta classicità in bianco e nero da  Martina Pastori ed Edoardo Bolli- l’ironica risposta dell’identità di ormai migliaia di nuovi italiani. La cifra stilistica di Kuti, insieme all’ironia da trickster, e al giocoso e semplice metterla sul ridere – per non esacerbare la sofferenza di una condizione di svantaggio- come già sapientemente argomentato da Pina Piccolo, nel suo saggio, è il sentimento sospeso – non giudicante- poetico e di speranza. Che cosa si può chiedere di più ad un artista?

#AFROITALIANO

Esulto quando segna Super Mario
Non mangio la pasta senza il Parmigiano
Ho la pelle scura, l’accento bresciano
Un cognome straniero e comunque italiano
A volte mi sembra di esser qui per sbaglio
San poco di me, son loro bersaglio
Ciò che ho passato loro non lo sanno
E il mio passato mai lo capiranno
Mi dai del negro, dell’immigrato
Il tuo pensiero è un po’ limitato
Il mondo è cambiato, non è complicato
“Afroitaliano” per te è un rompicapo
Non sanno chi siamo in questo Stato
Mi vuoi lontano, ho letto il tuo stato
Chi non ci vuole vede solo il colore
La nostra nazione sta scritta nel cuore

Sono Afroitaliano, Afroitaliano
Sono Afroitaliano, Afroitaliano

Questi che ne sanno di file in questura
Delle mille facce della mia cultura
È la melanina ciò che li cattura
Io non ho dei dubbi sulla mia natura
Quando io rappo è in italiano
E anche se parto resto un italiano
La prima volta che ho detto “ti amo”, ti giuro, l’ho fatto… in italiano
Gli 883, la Dogo Gang
I cartoni sul 6 con Cristina D’Avena
La scena rap, chi era giù con me
Quando tutta sta gente non mi conosceva
Fanculo i razzisti, quelli della Lega
Ogni 2 Giugno su quella bandiera
Mando una foto ai parenti in Nigeria
Mangiando una fetta di pizza per cena

Sono Afroitaliano, Afroitaliano
Sono Afroitaliano, Afroitaliano

[Parte parlata con Fabri Fibra e Tommy Kuti] [Ma lei si sente più africano o si sente più italiano?
Afroitaliano, perché sono stufo di sentirmi dire cosa sono o cosa non sono
Sono troppo africano per essere solo italiano e troppo italiano per essere solo africano
Afroitaliano, perché il mondo è cambiato]

Sono Afroitaliano, Afroitaliano
Sono Afroitaliano, Afroitaliano

 

[1]                     E di lui ho letto la sua riflessione critica nel saggio The Black Body Telling Stories: Giullarate in the 21st Century.

[2]                     Ci tornerò con un saggio.

[3]                     Non si tratta di affermazioni ad effetto ma la constatazione che operatori ufficiali (pagati!) e rappresentativi del sapere generale (della cultura) sono di fatto ignoranti ovvero negligenti.

[4]                     Curiosamente la cosa è reciproca fra i Migranti molti italiani che non siano quelli classici, sono del tutto sconosciuti, quasi come fosse una distanza culturale. È un fenomeno che meriterebbe uno studio interdisciplinare.

[5]                     La differenza sostanziale di un BelloFigo e di un Ghali è che il primo è sostanzialmente nato ed elemento di YouTube, mentre il secondo si è mosso nei circuiti rap e nella rappresentanza di una casa di produzione e di un manager, insomma con l’industria indipendente dal rap-trap. BelloFigo ha una radicalità come notavo in Un negro BelloFigo: lo srapper dall’ironia complessa! Irriverente e libera, propriamente anarchica come notano i curatori del suo libro Bello Figo Swag Negro.

[6]                     Trovo di grande interesse notare come nella tradizione rap il riferimento a personaggi vissuti o viventi considerati di culto sia determinante per affermare una propria dialettica estetica che può essere positiva negativa o neutra. Fino ad un anno fa quindi 2013-2017 non c’era cantante rap internazionale o nazionale che non facesse riferimento a Pablo Escobar, ma anche a sportivi e personaggi della moda e dello spettacolo. È un fenomeno culturale abbastanza universale ma che nella tradizione culturale negra mitizza dei personaggi per uno desiderio di grandezza che copra la realtà che stanno vivendo. Sono veri e propri eroi che presi come simbolo del superamento del proprio stato di malessere e o indigenza si avvicinano molto a delle utopie biografiche. Ovvio nel caso di Escobar si sarebbe tentati dal dire distopie biografiche, ma la dialettica di ciò che il riferimento agiografico significa rende tale affermazione dubbia. Infatti è la cocente verità, durezza e realtà di un mondo che manda avanti i furbi, i feroci, i ricchi e quelli senza scrupoli. Si tratta di una dialettica molto immediata per un ragazzo di periferia. In questo Kuti usa Armstrong di utopia di quello che l’essere umano, non solo i negri ma attraverso la storia dei negri, può e deve raggiungere.

[7]                     Pubblicato il 30 novembre di questo 2018 ha già, in YouTube, 25.716 visitatori.

[8] Sebbene Hassan abbia il merito contundente di  essere un vero e proprio trattato di geopolitica.

[9]                     Si deve assolutamente menzionare nella storia dei movimenti italiani, che passano anche attraverso internet (se non soprattutto), l’importanza della pagina Facebook #Afroitaliani.

[10]                   Si tratta di un manifesto per il testo, per la bellezza del prodotto artistico in sé, e per la presenza di tutta questa generazione di artisti che sono silenziosamente e con fierezza presenti nel video.

 

Immagine in evidenza: Collage di Basseck Mankabu.

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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