NEGRO MOMENT 5: IL MORO DI VENEZIA ROY RAHEEM! – di Reginaldo Cerolini

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Oggi dopo il lavoro, ho ascoltato molta musica, principalmente rap. Ho cercato di fare il punto su più di un anno di osservazione del sottobosco delle cosiddette seconde generazioni alle prese col difficile percorso dell’italianità, partendo dalla estetica rap, ancora da scoprire e già così ricca di futuro. Se è vero che manca un’osservazione del fenomeno che tenga conto della fondamentale differenza e forza espressiva, non mancano certo i ritmi, le parole e le riflessioni che questi giovani artisti realizzano. Su questi alfieri del sottobosco con l’estro del futuro pesa una realtà storica di un’Italia ed un’Europa non esattamente sensibile alle tematiche che esprimono, ovvero neanche a dirlo ancora, la differenza[1]. Non è un caso che il rap sia lo strumento oggettivo della loro capacità espressiva, e che in esso si convogli lo sforzo delle loro creazioni artistiche: l’immediatezza, la schiettezza del mezzo e la corrosività istintiva ne fanno un medium fondamentale e caustico, verso un percorso di identità.  Ma anche un’altra verità si presenta tangibile per chi decide di seguire questo percorso, ovvero la tenacia contro ogni più radicale forza contraria alla realizzazione del . Infatti se il individuale si carica delle aspettative del artistico contro il costante e castrante ma della realtà il percorso di affermazione identitaria può assomigliare ad un calvario e così, riuscire ad affermarsi vivendo di ciò che si produce in un Italia immiserita artisticamente e culturalmente in coma da un ventennio non può che essere una sfida audace e spesso insostenibile. Per quel che vedo però la forza tellurica di questi alfieri è di conoscersi, e di esprimere un sé insieme libero e comunitario che fa di loro senza che forse lo sappiano o ne siano pienamente consapevoli una comunità dialettica[2] e di auto-sostentamento. Non c’è altro modo che essere comunità in una realtà nazionale partitica, egalitaria, suprematista e razzista contro ogni buona speranza solitaria. Certo non esiste ancora chi parla di loro o che ne parli senza considerarli fenomeni momentanei, e buffi, esoticità nazionali del sottosuolo destinate all’estinzione, quando invece esprimono non solo un Negro Moment[3], quanto una Nuova italianità ed europeità. Per fortuna esistono etichette intelligenti, pioneristiche ed enti culturali attenti[4] in grado di credere alla loro esistenza, dargli dignità, voce e spazio perché esprimano tutto ciò di cui sono capaci. Io sono certo che alcuni di questi alfieri lasceranno il segno perché sono destinati per tenacia a farlo. La loro radicalità è destinata, per altro, a mischiarsi ancora con i confini sbavati delle nazioni del mondo e di imprimersi con la differenza delle differenze ovvero l’alterità, dove direbbe Rimbaud l’eternità si riscopre perché Io è un altro (ovvero l’altro da sé, come eterna marea e vibrazione generatrice).

Sono pertanto contento di chiudere questa breve e spero luminosa[5] rubrica con l’ultimo degli alfieri da me avvistato, l’afro futurista Roy Raheem.

Il nigeriano, cresciuto nei dintorni di Venezia, Roy Raheem mi ha sempre colpito per la sua voce, la sua dizione pastosa, virile, per la forza onirica, caustica e futurista dei suoi versi che me lo hanno sempre fatto avvicinare per certi versi a Young Thug, e al meno conosciuto Attilio degli Odio Razziale[6], ma poi ognuno è in realtà solamente uguale a se stesso.

In rete dal 2013, con pubblicazioni su Spotify[7] dal 2015, produce video dal 2017 su YouTube. Le sue produzioni si devono a its Devas, Wairaki, Karati, Ocean Dreams. I suoi video hanno un’estetica urbana con spesso una visione in cui si inseguono colori forti e cupi tali a rendere un’estetica caratterizzata da una poetica che guarda al mondo con disincanto.

Fra i suoi successi Tony (con Yank e Bandolero) per la regia di Luca Spagnoli ( v. 328.686), Ohissa (con Miriam Ayaba  e Tommi Kuti) (v. 65.014) e Real Talk Street (sensazionale!) (41.354) Non ce la fanno più (v. 29.917) e Frecciarossa[8] (v. 12.359).

Recentemente è uscito con il pezzo Shogun, che segna un’estetica orientale per pelle nera.[9]

Roy è come un diamante grezzo che ha il chiaro segno della sua luce ma che deve ancora vedere sodalizi artistici con produzioni musicali che sappiano interpretare al meglio la sua spinta assolutamente originale e futuristica, aggiungo post-atomica. Si sente infatti nei suoi testi una riflessione consapevole sulla crisi della realtà, uno smaccato disincanto ed una poetica del sé che tenta di costruire un intimo percorso di dignità. Per questo motivo ho scelto fra le sue canzoni di soffermarmi sulla tagliente e non convenzionale New Niggas[10] (v. 8.281), come canzone più vicina al suo lirismo civile.

 

NEW NIGGAS

 

[Intro] Hey
Aaah new niggas
Hey
Aaah new niggas
Hey
Aaah new niggas
RRR-Raheem

[Strofa 1] Sto fatto sul mio balcone, salto la colazione
Sono vegan, frà, spaccio vegetazione
Marco nel palazzone, calcola l’equazione
Negro per il fascio il cancro di sta nazione
Vieni a farti un giro dentro al quartiere
Vogliono catene, non ste catene
Smontano carene, sbabbano le carriere
In giro quelle sere, giuro fanno di mestiere
Pure senza un cent, 50 Cent, ho preso almeno 9 shot
Qua niente [?] ma frà è okay, lei punta ai miei boxer
I’m staying in my lane
Con a fianco i miei fiammano states
Lei scuote il booty, tu imbusti shit every day
E io non saprei neanche che dirti
Vogliamo la pace, nuovi hippy
Sì ma coi denti d’oro, gypsy, tinti
Pagami in monete d’oro come i quiz in TV
Tu lo vedi il Paese K.O
Ma ormai qua è palese è palese da un tot
No show, siamo in cella, animali da zoo
Sarà guerra, Congo, a fine mese già lo è, chapeau

[Ritornello] Siamo fuori con l’AK, new niggas
Fuori con un K, new niggas
Fanculo KK, new niggas
Vogliamo K in banca, new niggas
Aaah new niggas
Hey hey hey hey
Aaah new niggas
Hey hey hey hey

[Strofa 2] Quanto mi fa pena
Bimbo, c’ho una scimmia sulla schiena
Giro la salvana più la selva in indoor
La mia tipa ha il culo a pesca, J-Lo
La tua tipa caramella, Fruit Joy
Frà si bagna, quasi annega nel Po
Faccio su una caravella col joint
Non mi bevo la tua merda syrup
Gringo, sono figlio di immigrati
Vivo, dall’infanzia denigrati
Tipo non sai che mare di pianti
Ho visto più affogati dei migranti
Non è colpa mia se la tua vita è triste
Cerchi di esser chi non sei
Io resto negro, fiero delle sconfitte
Il mio pensiero resta solo il mio sensei
Penso a lei, ai miei, non rifaccio nulla
Sono solo dalla culla davvero
Cosa fai il negro, non mi incollo no per il dinero
Ti sei indebitato fino al collo bro e vedo tutto di nero
Lavoro sodo per un maniero
Per un po’ alla vecchia maniera
Se non va faremo maniero
Tiro su in qualunque maniera
Vedi la mia faccia felice maniera
Non mi importa chi sei tu, al mondo importa solo flus
So chi sono e meno male, non sarei come sei tu
Chiedono qual è la chiave, io ho rubato passepartout
Sto occupato braaaa, non fate [?] Sono Rosso [?] Voglio cento nel palmo, [?] Culo grosso nel vano del Bentley
Stare al grano come Scoobidoo a Shaggy

[Ritornello] Siamo fuori con l’AK, new niggas
Fuori con un K, new niggas
Fanculo KK, new niggas
Vogliamo K in banca, new niggas
Aaah new niggas
Hey hey hey hey
Aaah new niggas
Hey hey hey hey

 

[1] Non considero in nessuna maniera significativi i posteriori fagocitamenti di artisti dalla duplice o plurima identità originaria che vengono annessi alla crosta culturale per via dei loro successi e intesi come forme di accettazione anti razziale e di avanzamento culturale. In Italia Ghali (e l’originale Chadia Rodriguez), In Francia Moha La Squale, in Inghilterra il giovanissimo SL, di fatto sono eccezioni artistiche e come tali vengono e devono essere considerate, proprio in ragione del fatto che successo, potere e denaro proteggono dal mondo e differenziano dagli altri esseri umani costretti a vivere una vita comune e di diversità di classe di identità e contesti. A tal proposito il successo nell’estate del 2018 della canzone Apesh**t ( v. 185.637.394) della coppia J-Z e Beyoncè nell’album The Carters, rappresenta un manifesto critico  e culturalmente complesso (tra storia, arte e moda) e solo in una certa misura radical chic, dei meccanismi di affermazione culturale, che negri e migranti in ogni dove del mondo devono fare per affrancarsi dall’essere minoranze economiche, sociali e culturali o semplicemente degne di autonomia espressiva. Dice, profetica Beyoncé  “I can’t believe we made  it”, non posso credere che ce l’abbiamo fatta, dopo la materialistica ma storicamente vera espressione iniziale “Stack my money fast and go”, scarica i miei soldi in fretta e sparisci.

[2] Uniti sicuramente dall’intersezionalità dei social, si conoscono anche negli eventi musicali e condividono mete necessarie, suppongo, alla formazione di un percorso artistico, per cui a quanto vedo i primati sono Milano e Roma.

[3] Sebbene, fra questo inventario, sia comparso solo Slava come seconda generazione di origine non italo-africana, si sono menzionati alcuni artisti italo-nordafricani, facendo dunque del concetto di Negro un paradigma della differenza che non considera solo i negri di carnagione e provenienza bensì la diversità in senso lato e rivoluzionario.

[4] Mi riferisco alla firma di un contratto da parte di Omarito, e alle case editrici che danno spazio a voci diverse, più recentemente anche Tommy Kuti ha pubblicato un suo libro Ci rido sopra: crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini, Rizzoli Ed. Non possiamo sorvolare come il fatto di essere neri sia ancora una volta il fatto eclatante dell’interesse, ma passerà anche questo.

[5] Spero infatti di  aver fatto un poco di luce sul sottobosco, ma mancano i nomi di tutti quelle voci di seconda generazione che a me non sono arrivate e grave mia mancanza è l’assenza di voci femminili, ma confesso di conoscere solo Miriam Ayaba (che è italiana) e la marocchina-spagnola Chadia Rodriguez, che con i suoi milioni di ascoltatori non ha certo bisogno di me per una critica e per la visibilità, ma faccio notare come la sua prospettiva sulle droghe, il sesso, e il corpo femminile autolegittimato sono una vera ventata di affermazione post-femminista.

[6] Ho parlato del suo lavoro di solista nel 2015.

[7] Segnate fra le più popolari Shogun, New Niggas, NCLFP, Rendezvous, Touch.

[8] Recentemente Side Baby, ex DPG, ha fatto un’omonima canzone ( v. 311.684) con Gué Pequeno.

[9] Anche Omarito in Occhio di Falco ha interpretato questa insolita, in Italia, commistione di orienti (africano ed asiatico), ma il gioco del samurai negro, aspirazione al concetto di forza istinto e controllo è già presente nei manga americani dagli anni novanta e vede anche un film antesignano Ghost Dog-Il codice del samurai (1999) interpretato dal premio Oscar Forrest Steven Whitaker e presentato in concorso al 55° Festival di Cannes.

[10] Per sottolineare come si aiutano e sostengono fra di loro, nel video sono presenti, fra gli artisti che riconosco, Yank e Yves The Male.

 

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Immagine di copertina: Copertina del CD “Shogun” dell’autore.

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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