INTERVISTA ALL’ARTISTA INTERDISCIPLINARE ANDRÉS MONTES ZULUAGA
A CURA DI LUCIA CUPERTINO
Lucia Cupertino: Qual è la situazione attuale in Colombia, sul piano delle libertà e dei diritti umani?
Andrés Montes Zuluaga: Sfortunatamente, in Colombia, il genocidio è un crimine ancora troppo frequente, figlio di una tanatopolitica che priorizza preservare i rapporti economici, politici e sociali che concedono innumerevoli privilegi ad un gruppo ristretto: un regime nepotista (54 famiglie) che ostenta la proprietà della maggior parte delle terre fertili e coltivabili, a cui sommare l’amministrazione delle risorse pubbliche, tramite incarichi all’interno del governo nazionale, regionale e municipale. In questo contesto contrassegnato dalla violenza quale modalità politica dall’alto, le persone che difendono i propri diritti sono vittime di omicidi serali, commessi principalmente nelle aree rurali da gruppi di 2-6 uomini armati, che si muovono in moto, generalmente giungendo a casa della vittima ed eseguendo il delitto lì o fuori casa, a sangue freddo.
Per quanto riguarda le vittime, fino al 29 aprile 2020 si registra l’assassinio di circa 116 membri di organi di consigli d’azione comunitaria, gruppi territoriali e associazioni di contadini; ex candidati a sindaco e consigli comunali, ex sindaci ed ex consiglieri; leader e membri di organizzazioni culturali, sportive, di quartiere e sindacali; membri della comunità indigena e della guardia indigena, medici tradizionali; esponenti di partiti politici e movimenti sociali quali Marcha Patriótica, Colombia Humana, Consejos Indígenas, Movimiento de los Sin Tierra: Nietos de Manuel Quintín Lame, Partido Verde e Cambio Radical, tra gli altri.
Ci sono anche vittime indirette, ad esempio le famiglie di queste persone giustiziate a cui è stato inflitto il terribile lutto della morte violenta o i loro vicini e compagni di lotta che sono stati infusi di paura e silenzio, fatto che ha generato sfollamenti forzati di circa un migliaio di persone in regioni come Antioquia, Chocó o Putumayo.
Lucia Cupertino: Come è nato il tuo nuovo progetto “Nabba” e come si collega a quello che ci hai appena raccontato?
Andrés Montes Zuluaga: Nabba o las caídas (Le cadute) è un’opera che coinvolge movimento, fotografia, teatro e cinema esteso. È realizzata in commemorazione di ciascuna delle vittime del genocidio politico in Colombia nel corso del 2020. Nabba è una parola tratta dalla lingua del popolo Guna Dule, una comunità nativa stabilitasi nel Guna Yala, ovvero il confine tra Colombia e Panama. È un popolo che, dall’arrivo dei primi conquistatori, ha resistito alla violenza politica. È una parola composta da due parti, Na e Ba, a ricordare che dall’unione della grande madre e dal grande padre, Nana e Baba Dumadi, nacque Nabba, la terra, dove si coltiva, raccoglie e costruisce. Ho deciso di concentrarmi su questa realtà per varie ragioni.
A livello personale, il primo motivo è voler riconoscere la resilienza della mia famiglia materna, che fu minacciata di morte a metà del secolo scorso quando viveva a Versalles, un villaggio di montagna nel nord della Valle del Cauca, a causa dell’attività politica che mio nonno, Luis Eduardo Zuluaga, portava avanti come leader politico, sociale e sindacale. Finì nella lista e nelle mira di squadre omicida e la mia famiglia fu costretta a lasciare beni, amicizie e lotte politiche e stabilirsi nel comune de La Victoria, una zona pianeggiante della stessa valle. Lì nacquero mia madre e alcune sue sorelle. Nella piazza centrale di questo comune, gli assassini esposero i cadaveri di dozzine di abitanti vicini, noti alla mia famiglia, con tracce truculente di torture e vessazioni, che purtroppo fanno parte del noto repertorio nazionale. Ancora una volta, terrorizzata, la mia famiglia dovette lasciare le sue terre, proprietà e comunità per trasferirsi a Cali, dove mia madre è cresciuta e mi ha partorito. Quindi questo lavoro è, in primo luogo, omaggio e commemorazione familiare. La seconda ragione personale, è più breve, sentivo che non era giusto restare in silenzio dinanzi a questo genocidio.
Voglio sottolineare un motivo sociale per cui continuo con questo progetto: dall’invasione europea in questo continente fino ad oggi, in Colombia, i diversi regimi che si sono alternati al governo l’hanno fatto per mezzo del terrore della morte. Sono pratiche, purtroppo, fondative. Da circa 484 anni viviamo il ripetersi di un ciclo nefasto di eventi: attacchi alle comunità indigene, genocidio, sfollamento e usurpazione della terra, in un sistema gerarchico che genera una società disuguale. Ricordiamo che nel 2017 la Banca Mondiale ha fatto uno studio su questo aspetto e la Colombia si è classificata al settimo posto nel Mondo. Non voglio far parte del gruppo di persone che, stando a proprio agio, coi propri privilegi assicurati, come fossimo sull’isola di Circe, rinunciano ad esprimere il loro rifiuto verso questo regime e preferiscono tacere.
La ragione etico-estetica-politica va di pari passo con quanto precedentemente espresso: il genocidio, come pratica politica, è molto radicato nella storia della Colombia. Per etica, non voglio tacere al riguardo o banalizzare la morte. Per estetica, mi sono riproposto un’opera in cui, ogni giorno, onoro la memoria e celebro la vita di quelle persone che sono state vilmente uccise per la loro intenzione di contribuire alla comunità e ai loro territori. Per senso politico, prendo ciò che ho sviluppato nell’action art o con la performance, per legare la mia vita e il mio lavoro, per far sì che le mie azioni quotidiane siano allo stesso tempo un modo di manifestare attivamente a livello politico, etico ed estetico. Ogni performance fotografica, ogni registrazione vocale o audio e ogni minuto di video o performance dal vivo che realizzo per Nabba o Le cadute, lo offro a un mondo turbolento, rifiutando il mandato di indifferenza, indolenza e insensibilità che ci viene imposto in questo momento storico.
C’è anche una ragione comunicativa: i recenti governi hanno cercato di banalizzare ed invisibilizzare questo genocidio, ad esempio, nel 2017, il ministro della Difesa, Luis Carlos Villegas, ha dichiarato ai media che la stragrande maggioranza degli omicidi di leader sociali nelle regioni è il risultato di una questione di liti per confini di terreni, a sfondo passionale e cose del genere, non essendoci alcuna organizzazione alle spalle. Attraverso questo lavoro, voglio anche che si sappia che in Colombia, nonostante il genocidio, ci sono persone ammirevoli che continuano a trasformare la realtà dei loro territori.
Lucia Cupertino:Il tuo lavoro si concentra sull’interrogazione collettiva attraverso azioni performative come, ad esempio, le azione urbane. Potresti citare quella più significativa che hai realizzato e quali reazioni ha generato?
Andrés Montes Zuluaga: Ho presentato la mia prima azione, chiamata Quiete, a Cali nel 2009. Era un dialogo metaforico con Milan Kundera. Lui, nel suo romanzo L’immortalità, sviluppa un approccio alla vita confrontando la modernità con la pre-modernità: “Prima che i sentieri scomparissero dal paesaggio, scomparvero dall’anima umana: l’uomo perse il desiderio di camminare sulle proprie gambe e goderselo. Non vedeva più nemmeno la sua vita come un sentiero, bensì come un’autostrada: come una linea che va da un punto all’altro, dal grado di capitano al grado di generale, dal ruolo della moglie a quello della vedova.”
Dialogando con queste parole, mi riproposi un atto di resistenza e un’azione urbana che fermasse il traffico di un viale congestionato di Cali, attraverso il mio corpo quieto. E così, interrompendo il flusso veicolare, sottolineavo la velocità della vita contemporanea, l’affanno di passare da un punto all’altro senza contemplare il sentiero; generando una azione-reazione che dissipava la velocità e il senso di controllo che dominano la nostra vita. Ho continuato a ripetere questo lavoro in diverse città e paesi della Colombia fino al 2013. Inizialmente era un’azione individuale.
Poi, dal 2017, l’ho ripresa e ho iniziato a esplorare la sua dimensione coreografica. In primo luogo, con un gruppo di circa 12 studenti di arti sceniche e danza che hanno frequentato un mio laboratorio a Cali. In seguito, in una conferenza performativa che diedi, invitai il pubblico a commettere un “delitto”: realizzare Quiete insieme a me, questa volta si trattava di circa 45 persone. Ma è stato nell’anno 2018, il 13 giugno, in una giornata di mobilitazione pacifica in cui i cittadini colombiani hanno protestato contro il genocidio politico che si sta perpetuando in Colombia, che ho proposto alla comunità di realizzare Quiete quale resistenza corporea e politica. Stimo che eravamo almeno 500 persone: ci siamo distese a terra, sul viale situato vicino al Comune, per contemplare il cielo ed esprimere il nostro rifiuto alle politiche che profondono paura e morte tra la popolazione.
Lucia Cupertino: La tua riflessione sul corpo e sul suo valore politico è centrale. Anche per evidenziare lo sfruttamento più deleterio della violenza sessuale, in questo senso Trojana è la tua opera più significativa, com’è nato il progetto?
Andrés Montes Zuluaga: Trojana è nata dal ripudio che ho sviluppato nei confronti della violenza sessuale, della violenza di genere e in generale dell’abuso di potere. Mi segnò molto un caso nazionale accaduto in Colombia: un uomo, -figlio del nepotismo, appartenente all’élite, ricettore di privilegi- aveva rapito, picchiato, violentato, assassinato e cercato di coprire il suo crimine, il tutto nell’arco di 18 ore, durante le quali la polizia e i media si misero alla ricerca della bambina -indigena, di umili origini, famiglia sfollata- per salvarle la vita. Era la fine del 2017, ero appena tornato a Cali e mi commosse. In risposta, ho partecipato all’organizzazione di un sit-in all’entrata della Procura. Allo stesso modo, insieme ad Ana Carolina Arcila, artista teatrale e complice di progetti da vari anni, abbiamo iniziato a scrivere un’opera che abbiamo chiamato Voci in cui, attraverso vari dipinti, abbiamo assunto la voce di vittime e vittimari di violenza sessuale. Nella fase di esplorazione, apparve il germe di ciò che sarebbe stato Trojana. Da allora, abbiamo deciso di approfondire la nostra storia familiare e personale e, in questo modo, ho raccolto memorie sulla violenza intrafamiliare nella mia famiglia materna. Era la voce delle vittime, ma non riuscivo a fare interviste a vittimari. Durante una conversazione, un’amica, che lavora nell’ambito del servizio sessuale virtuale, mi ha raccontato alcuni “aneddoti di lavoro” sulle richieste e le fantasie di alcuni clienti. In quel momento mi sono reso conto che attraverso la webcam esiste una maschera di anonimato che consente agli aggressori di esprimere la propria voce l la loro richiesta di consumo. Così è nato Trojana: attorno all’intuizione che, se volessi conoscere la “voce” degli aggressori sessuali, avrei potuto farlo facilmente attraverso il corpo e le piattaforme presenti su Internet. Poi è arrivata la mia compagna di vita e progetti, Maud Madlyn che, dopo aver appreso del progetto, ha deciso di produrlo, co-crearlo e portare avanti la parte più difficile della ricerca-azione, che implica relazionarsi via webcam con i clienti sessuali per comprendere il loro comportamento da vicino. Trojana è un giornalismo ibrido, ispirato al leggendario cavallo di Troia, per attaccare però il patriarcato dall’interno.
Lucia Cupertino: Quali sono le tue prossime sfide personali e professionali?
Andrés Montes Zuluaga: Pensare alle sfide implica riconoscere le difficoltà. Credo che la sfida che mi interessa di più al momento, in un contesto in cui proliferano le contingenze, è quella di mantenere la speranza, la dignità della lotta, alimentare il pensiero critico e l’urgenza di trasformazione. Personalmente, una delle maggiori sfide consiste nel liberarmi di aspettative. Di fronte all’incertezza del futuro, mi preparo per essere forte ed essere al servizio delle persone con cui vivo. Sono giorni eccezionali, giorni di pandemia. Ore di contraddizione tra la possibilità di continuare ciò che ho intrapreso e lo scetticismo sul fatto che ne valga la pena. Facendo riferimento alle parole che un buon amico medico mi ha detto online oggi: “Al momento tutto è sotto controllo, ma come gli tsunami, si sta appena raccogliendo l’acqua in spiaggia”.
ANDRÉS MONTES ZULUAGA
Cali, 1984, artista interdisciplinare che approfondisce le arti viventi, il teatro e la performance, generando proposte peculiari che si muovono tra l’action art, l’installazione, le domande coreografiche ed il cinema esteso. É attivo in processi che mettono in discussione le ideologie egemoniche offrendo diversi approcci sul mondo del lavoro, della produttività, della contemplazione, del corpo, della violenza e memoria. Il suo lavoro artistico comprende spettacoli, concerti punk, azioni urbane, site-specifics art, installazioni, videoarte, conferenze performative, presentazione d’archivio e rappresentazioni teatrali.
Per contattare l’artista: contacto@andresmonteszuluaga.com
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Foto di copertina e all’interno dell’articolo a cura dell’autore.