Mourid (di Angela Mainini)

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Foto dalla fotogallery di Nicoletta Lofoco.

 

Ma non mi mancano
sono qui: sotto i bottoni di questa camicia leggera.

 

Timida giornata primaverile, un sole tenue illumina il paesaggio; la quiete del lago e la sua profondità si intonano ai sentimenti di attesa e commozione per l’incontro che ci aspetta. Mia sorella e io, dalla campagna emiliana, ci sentiamo piccole e piene di stupore di fronte a quella villa maestosa sul lago di Como. Quando ci accoglie, subito mi colpisce il suo sguardo buono, giocoso, grande, incastonato in un volto sereno seppure velato di pensieri. Ci sentiamo a casa: Mourid.

Non dimenticherò mai quelle ore di assoluta grazia. È così difficile mettere in fila le parole quando ti trovi di fronte a un uomo come Mourid Barghouthi. La sua persona è l’incarnazione dei suoi versi e viceversa: Mourid non potrebbe essere altro che un poeta. Lui è le sue opere e le sue opere sono lui, un pensiero che genera al contempo sollievo e malinconia e si può esprimere in una sola parola: immortalità. È questa parola che ritrovo stampata sulla prima pagina dell’ultima sua raccolta di poesie, scritta proprio di fronte a quelle montagne, a quel lago:

 

Solo, elevato, il mio balcone è nuvola accarezzata dal cielo,

guardo giù a una riva, un paradiso

[…]

la foresta riposa su scogliere che toccano

il silenzio del lago da ogni parte

e il profumo dei fiori risale dal dirupo verso me

l’altitudine delle coste.

 

Chi era Mourid Barghouthi? Era un marito e un padre innamorato. Dalle poesie d’amore scritte per Radwa sugli scalini dell’università al Cairo, ai romanzi dei ritorni in Palestina, prima da solo e poi con il figlio Tamim, non sono parole scontate quelle che si leggono tra le sue pagine. Come lui stesso raccontava a un piccolo pubblico assetato al Festival della Letteratura di Mantova nel 2014, “Un poeta, prima di mettersi a scrivere, deve spazzare via tutto quello che è già stato scritto; solo allora, può iniziare a scrivere”, e ancora: “la poesia è poesia della terra. Non è svolazzare di farfalle. È terra, quotidiano”.

 

l’amore non è un sogno

non è un’anima

e non è un’idea

l’amore è un corpo solido

con due mani e due piedi

con una testa pensante e due occhi grandi

 

Mourid Barghouthi è conosciuto in tutto il mondo per il suo primo romanzo, Ho visto Ramallah (Illisso 2008), ma la sua anima è la poesia. Quando parla, quando scrive, la profondità del suo spirito e dei suoi pensieri si incastonano nella realtà e sulla carta per imprimersi nel cuore e nella mente del lettore in immagini nitidissime. Leggendo Mourid si vive perciò l’esperienza del sublime: un continuo camminare, sospesi, sul filo di corda spessa della realtà quotidiana respirando le profondità del cielo che ci immerge.

 

Anche se non ne ricordi l’aspetto

eccola tornare da te

la tua tracotante, antica gioia:

lenta e scaltra,

ha serbato il suo fascino solo per te,

velata, come da nubi

per sette anni una tempesta

poi

ti ha colpito con forza

ti ha colpito per dritto e per traverso

ti ha strappato via il bastone

tu l’hai scansata, ma inutilmente

perché fin dal principio,

(se non fosse per centinaia di dolori

che dal vetro ti assillano come

mendicanti al semaforo)

fosti creato per la gioia.

 

 

Un uomo radicato nel presente, una persona autorevole dal carattere dolce e l’accoglienza di un padre. Ripenso con grande riconoscenza al mio viaggio in Giordania, due anni fa: se chiudo gli occhi, torno con il cuore e i sensi al giardino della casa di Mourid, un regalo che mi resterà sempre nel cuore. Potevo sentire la sua presenza forte e accogliente anche soltanto girando attorno alla casa vuota, tra gli alberelli da frutto e il divanetto a dondolo. Stavo camminando in uno dei posti dove forse Mourid aveva trovato un po’ di casa, in una vita costantemente a mezz’aria.

 

E il mio amore,

ha sui palmi la durezza di chi vive per sistemare il proprio disordine

il mio amore se vuole è una gazzella

o una tigre

se mi tiene il broncio mi faccio tenero

se le tengo il broncio mi fa ridere

e così anch’io faccio ridere lei

io la porto dal mio esilio al mio esilio

lei mi porta dalle mie mani alle sue

e dice: Questa è casa tua!

 

Il grandissimo potere della letteratura è la sua immortalità. Mourid vivrà sempre, soprattutto sulle pagine stropicciate, usurate, spostate dal vento e finanche strappate: dovunque sia profumo di vita vera, terra, dolore e amore, a queste porte eterne si potrà bussare a una porta sempre aperta, e andare a trovare l’anima di Mourid Barghouthi.

 

Nota alle traduzioni. Le citazioni presenti nell’articolo sono traduzioni inedite da varie opere di Mourid Barghouthi; si prega di richiedere l’autorizzazione prima di riportarle altrove, e di includere sempre il nome di Murid e quello della traduttrice, Angela Mainini.

 

Angela Mainini è nata il 29 aprile 1993 a Reggio Emilia. Fin da piccola inizia a sviluppare la passione per le lingue, per il teatro e per le diverse culture attraverso musica e danza. L’unione di questi interessi la portano a scegliere la strada della traduzione, in particolare di poesia, che coniuga la creatività della scrittura con il desiderio di fare da ponte tra una cultura e un’altra, tra un modo di pensare e di vivere a un altro. Dalla triennale a Bologna, alla magistrale a Torino approfondisce gli studi di traduzione, presentando la traduzione integrale di un’opera in poesia di Mourid Barghouthi dall’arabo all’italiano. Continua la sua formazione con il Master in Traduzione dall’arabo alla SSML di Vicenza. Collabora con il

portale di letteratura araba “Parole dal mondo arabo”.

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Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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