Prof. Az-Eddine Nozhi
Università Sultan Moulay Slimane
Gruppo di ricerche applicate sull’immaginario e il patrimonio
Facoltà di Lettere
Beni Mellal
Introduzione:
Lavorare su un racconto di viaggio suppone una particolare attenzione alle rappresentazioni di tempo, di spazio, di quest’Altro che scopriamo. Il soggetto di scrittura rende conto dell’incontro con il Nuovo che è essenzialmente una esperienza umana fondatrice di una nuova fase nella vita del viaggiatore. Scrivere un viaggio, o meglio riscriverlo, equivale a domare quei momenti furtivi e quelle ore propizie passate in un tempo e in uno spazio diversi dal proprio. In questo senso, abbiamo scelto un racconto scritto da Mohammed Seffar, il giorno dopo il suo ritorno da Parigi nel 1846. Certo il testo riveste un carattere diplomatico dal momento che si tratta di un resoconto del soggiorno effettuato da Abdelkader Achaach, Pacha di Tetouan all’epoca, e i suoi compagni. Infatti, il sultano Moulay Abderrahmane aveva inviato Achaach come ambasciatoredi breve durata, se così si può dire, presso Luigi Filippo e questo, tra le altre cose, al fine di individuare le ragioni segrete della supremazia della Francia su tutti i piani. Achaach scelse Mohammed Seffar come segretario, visto il suo rango sociale e le sue competenze. E fu così che è stato scritto il racconto di viaggio che ci proponiamo di studiare. La ricchezza del testo in questione deriva essenzialmente dalla doppia postulazione, per citare Baudelaire, che lo attraversa. L’uomo e il segretario condividono la missione di riassumere un viaggio “iniziatico” tentando di rispettare l’imparzialità sollecitata in questo tipo di avventura. E così il lettore scoprirà due Parigi, provenienti da un’ambivalenza di sentimenti che Mohammed Seffar ha subito nel corso della sua permanenza nella capitale francese.
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L’Illusione, il modo di uso
E’ innegabile che un diario di viaggio scritto da un diplomatico rivesta un carattere particolare per le motivazioni latenti che stanno dietro il suo sviluppo. Ecco per esempio il caso di alcuni racconti di ambasciatori marocchini inviati alla corte reale francese, a partire dal XVII secolo. Nel 1610 El Hajri fu meravigliato dello splendore di Parigi, ma, ahimè, un dettaglio venne a turbare questa tranquillità: la vista del Corano nelle mani di un “miscredente”! Molto più tardi, nel 1860, El Amraoui elenca i resti della capitale delle luci senza che nulla disturbi l’euforia della scoperta. Da parte sua, Driss Jaidi nel 1876 vedeva in Parigi un paradiso sulla terra, inevitabilmente destinato alla scomparsa perché sulla terra regna solo l’irrisorio. Nel 1922 Mohammed Sayh accompagna Mohammed Hawari per rappresentare Moulay Youssef alla cerimonia di inaugurazione dell’Istituto del Mondo Arabo. Sayh ha descritto la città pulita e l’ordine che vi prevale. Era emozionato e con il cuore così agitato dalla vista della città che l’ha paragonata al paradiso (1); un paradiso, purtroppo, ancora una volta effimero!
Eccoci davanti a un problema filosofico, di origine metafisica, sollevato dai nostri connazionali, che erano per lo più, se non del tutto, dei teologi. La vita di questo mondo non è altro che un episodio passeggero che scomparirà in favore della vita eterna dell’altro mondo. Nella maggior parte delle culture del mondo, il Tempo è vissuto come un terrore che minaccia l’umanità dell’estinzione più crudele. Di fronte a questa crudeltà, l’immaginazione umana si ingegna a lottare attraverso miti e archetipi. L’arte, la scrittura, l’architettura, la fotografia, l’industria digitale.. sono dei modi attraverso cui gli esseri umani cercano di domare, anche se solo temporaneamente, il tragico flusso del tempo.
Quanto ai nostri Ambasciatori, il problema della durata è risolto poiché vi è un tempo e uno spazio che ci attendono nell’altro mondo. Il lusso parigino, anche se ampiamente ammirato, è visto come fasto della vita terrena. Se i francesi sono avanti, vincono le guerre in terra e in mare, costruiscono metropoli… essi tuttavia godono solo artificialmente di un regalo avvelenato; perché la vita è altrove! Ma, come minato da una flagrante contraddizione, il processo di ragionamento cerca di capire i segreti dell’egemonia occidentale. Tale situazione accompagna i sentimenti ambivalenti che vincono questi viaggiatori in cerca di conferma della loro propria verità. A volte questi mostrano ammirazione senza precedenti per Parigi, a volte nutrono un odio storico nei confronti del miscredente quando si tratta di religione. Tale è il caso del nostro viaggiatore di Tetouan, Mohamed Seffar che ha scritto le sue impressioni e riflessioni dopo il suo soggiorno a Parigi, nel 1846. Ricordiamo che il Pacha di Tetouan all’epoca, Abdelkader Achaach, nominato dal sultano Moulay Abderrahmane come ambasciatore a Parigi, ha scelto Seffar come segretario. Entrambi gli uomini erano noti per la loro erudizione e per il loro rango sociale. Il modo in cui Seffar descrive le circostanze della partenza per Parigi danno l’impressione che si tratta di una dolorosa separazione con Tetouan e la famiglia. Leggendo la poesia scritta per l’occasione, ci si rende conto del ruolo delle città natale e dei suoi splendidi giardini per Seffar. Il vocabolario utilizzato si avvicina a quello di alcuni poeti andalusi che hanno cantato il pathos della Caduta. Cosa c’è di più curioso quando sapremo che Seffar è di origine andalusa, come Achaach?
Sarebbe possibile parlare di Tetouan come di un microcosmo andaluso? Lasciare gli splendidi giardini di questa città, non sarebbe, nell’immaginario di Seffar e di tanti altri un elemento che richiama la caduta diventata archetipo, vale a dire, il secondo paradiso perduto?
Ovviamente il nostro viaggiatore sta per atterrare in Francia. Contrariamente al concetto di viaggio, culturalmente accettabile in questi tempi e ben prima, trasferirsi in Europa significava compiere un’ascesa verso il Nord. Il tragitto è dunque verticale. Mentre il viaggio verso la Mecca, l’unico degno di questo nome per molti, è orizzontale. Parallelamente al movimento fisico, la fantasia crea un supporto archetipo che incornicia la struttura profonda dell’immaginario del viaggio. Ed ecco ad esempio Seffar che si paragona ad un defunto sepolto in un sudario per tradurre il sentimento vissuto in mezzo alla nave al momento della partenza. Non è necessario ricordare le basi simboliche del viaggio acquatico, ancora meno l’immagine fetale del viaggiatore sul fondo di una nave. È ugualmente impossibile negare le risonanze della storia di Mosè bambino confidato all’acqua o ancora il viaggio di Ulisse. Fortunatamente il mal di mare è stato solo un breve ricordo, rapidamente dimenticato grazie allo sciabordio delle acque. Giona uscì indenne dal ventre della balena. L’autore descrive i quattro giorni trascorsi nella nave come un felice soggiorno. Si ha l’impressione che Seffar descrivesse una casa e non una nave. La tranquillità regnava talmente all’interno della “Meteora” che, come dice Roland Barthes, “la nave diventa nella fantasia di chi scrive il viaggio “una casa superlativa “(2).
L’arrivo a Marsiglia rappresenta il primo episodio di incontro con il nuovo mondo. Le prime frasi del racconto mostrano già un uomo affascinato dallo stile di vita dei francesi; si innesta già nel confronto tra “loro” e “noi”. Strada facendo, ed esattamente ad Aix-en-Provence, Seffar è terrorizzato dalla vista di un condannato a morte, esposto al pubblico. Fu solo più tardi che gli venne spiegato che si trattava di Gesù sulla croce! La prima illusione servirà come punto di partenza per iniziare l’attacco contro il cristianesimo e la crocifissione. Curiosamente, Seffar condivide la stessa illusione con coloro che avevano creduto condannare Cristo; poiché quest’ultimo è asceso in cielo nel momento in cui un uomo che gli somigliava fu crocifisso.. In Non parlerai la mia lingua, Abdelfattah Kilito afferma che Seffar invoca il Santo Corano e la tradizione profetica per attenuare lo shock dovuto alla vista del crocifisso. Perché, sempre secondo Kilito, un tale spettacolo richiede una cultura visiva, o ancora artistica. (3)
L’arrivo a Parigi rappresenta il vero punto di partenza del racconto di viaggio del segretario dell’Ambasciatore. È comunque importante ricordare che il racconto di viaggio allinea due immagini della stessa città: Parigi del libro di Rifaat Tahtaoui (Takhliss alibriz fi talkhiss bariz) e Parigi che l’autore ha vissuto. Certo, molte descrizioni della città delle luci, secondo Suzanne Miller (4), attingono dal libro di Tahtaoui e hanno risparmiato al nostro viaggiatore alcune visite. In effetti, il primo viaggio ha avuto luogo nel cuore di un libro. Come non pensare all’effetto specchio, vale a dire un libro che ne riflette uno o più di uno?
Le illusioni si susseguono e questa volta attorno al Jardin des Plantes di Parigi. Seffar riporta quello che ha visto insistendo sul fatto che lo spettatore avrebbe preso alcuni animali per vivi mentre erano mummificati. La vita continua a giocare brutti scherzi a questi visitatori di Parigi. A un ricevimento offerto in onore dell’Ambasciatore del Sultano, Luigi Filippo ha mostrato un grande spirito cerimonioso e una generosità innegabile. Quando Seffar riporta i fatti della serata, sottolinea il carattere fallace dei Saloni. Grazie ai grandi specchi, si pensava che ci fossero tanti saloni e altre persone dall’altra parte. Infine, possiamo leggere lo stupore dell’autore davanti agli spettacoli di illusione, come il Diorama che permetteva di cambiare lo sfondo degli spettacoli danzanti o altri.
Decisamente, l’ambasciatore e i suoi compagni non hanno potuto vedere che l’aspetto esteriore della civiltà francese a Parigi. Il soggiorno a Parigi è una visita guidata al Louvre, alle Tuileries, al Palazzo Reale, a Versailles, all’Opera … In un modo o nell’altro, Seffar è diviso tra una Parigi vissuta da vicino a un’altra narrata da Tahtaoui. Invece di scoprire il segreto della città e andare nei bassifondi, il nostro autore visita un libro per parlare della sua visita a Parigi. Alla fine abbiamo solo un’immagine della città, ispirata ad un libro umano (Tahtaoui) e spiritualmente guidata dal Libro divino, questa volta. Le parole del viaggiatore, come quelle dei suoi predecessori, riversano nell’ambivalenza che, per motivi specifici, tende al risentimento.
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L’illusione non è eterna, ahimè!
A Parigi, la giornata non è scandita da chiamate alla preghiera, ma dalla meccanica dell’orologio che regola la vita della gente. Gli episodi dell’incontro con il nuovo mondo continuano anche quando Seffar conosce la velocità del treno. Il movimento non procede al ritmo degli zoccoli dei cavalli, ma grazie al vapore. Tale trasporto ispira all’autore la metafora aeronautica per esprimere la gioia della scoperta. Nel suo cuore, Seffar gode dell’euforia della scoperta e questo si traduce in frasi che tradiscono la sua determinazione originale di riportare “oggettivamente” i fatti osservati. Cosa c’è di più incantevole di questa città brulicante tutto il giorno e la settimana, al contrario di Tetouan, viva e vibrante solo il giorno del Suk settimanale? Il visitatore continua i suoi paragoni senza menzionare esplicitamente il comparato. A Parigi, le attività quotidiane si distribuiscono sulla giornata mentre le principali occupazioni da noi si svolgono una volta alla settimana! Ancora una volta, la percezione del tempo è diversa. Nella metropoli francese, gli abitanti impegnati corrono in tutti i sensi, il giorno come gran parte della notte. Sia gli uomini che le donne lavorano senza sosta; la sera, queste brave persone immergono la loro stanchezza nelle serate in cui si scambiano le cortesie più nobili. Parigi diventa “un mare mosso” che minaccia il deambulante con le sue onde molto alte. Ma come sarebbe stato il racconto di viaggio Seffar se avesse visitato il ventre di Parigi, come lo descriverà più avanti Zola nel 1873 , o ancora se avesse letto I Misteri di Parigi (1842-1843) di Eugène Sue? Certo, il suo racconto sarebbe stato diverso! Storicamente parlando, il viaggiatore marocchino frequentava, in quell’epoca, una città che assumeva le forme di un mito moderno, il mito descritto da Balzac, Hugo e tanti altri. Diciamo che l’autore ha sfiorato il pensiero mitico, senza quella stessa profondità di analisi di certo, quando parla della città tentacolare.
Il comparatismo di Seffar si inserisce in una logica metafisica che postula che i due mondi sono diversi secondo la volontà divina, tuttavia, si nota un’altra volontà, questa volta dell’autore, di capire bene la differenza tra le due civiltà.
L’a priori religioso grava con il suo peso sull’osservazione dell’autore. Prima ancora di partire, il nostro viaggiatore ammette che si sarebbe avventurato in un mondo cristiano che disprezza i musulmani e cerca di dominarli. Il mondo dell’altra sponda è visto come un continente cristiano e non come un insieme di paesi autonomi. È quindi un viaggio dal nemico! E la tradizione vuole che ci si armi bene, di fede ma anche di astuzia, per affrontare questo nemico. Ma diciamo comunque che dall’altra parte, i musulmani erano visti come barbari assetati di sangue. Da entrambe le parti, le ostilità erano pronte a scattare e queste visite avevano proprio lo scopo di comprendere quest’Altro per evitare lo scontro.
Come Ulisse, Seffar parte per la Francia attaccandosi al palo della nave per non soccombere al canto delle sirene. La fede incrollabile e la conoscenza teologica permettono al viaggiatore di lottare contro le seduzioni delle luci artificiali e umane di Parigi. Citiamo, a ragione, il filosofo francese Ferdinand Alquié per il quale “l’uomo parte dunque verso il futuro, felice di conquistare il domani. Ma in questo vi è solo un’apparenza: la condizione è tale che nulla gli è più difficile di amare il futuro senza cercare il passato “(5) .
Lo abbiamo riportato all’inizio, prima di imbarcarsi per la Francia, Seffar sentì i dolori di nostalgia di Tetouan prima ancora di viaggiare. E come il poeta arabo di un tempo, compose una poesia per tradurre i turbamenti futuri dell’anima.
Nell’immaginario del viaggiatore, i protagonisti fondamentali sono distribuiti secondo un sistema binario preciso: Tetouan/Parigi, Marocco/Francia, mondo musulmano/mondo cristiano, libri/immagini. Pertanto una topologia ispirata alla fede religiosa è l’unica accettabile da tutti: il mondo dei credenti e il mondo dei non credenti e degli empi. Il mondo si divide in base alle credenze e i confini territoriali sono solo un’illusione. Seffar descrive l’illusione quando parla dei quadri che rappresentano la Trinità e trova tali rappresentazioni scandalose. Di fronte a queste menzogne, il segretario dell’ambasciatore cita il Corano e, naturalmente, spazza via rovesciandola tutta la tradizione iconografica occidentale. L’iconoclastia è così giustificato dalla fede inconfutabile del musulmano che diffida delle immagini. Non è egli nel regno delle riflessioni che soggiogano l’anima e fanno smarrire lo spirito?
Come il mondo cristiano nella sua interezza, Parigi si presenta al lettore come un mondo arcaico, nonostante la sua modernità: gli abitanti sono immersi nei piaceri della vita terrena, si dedicano a celebrare il culto delle stele e delle statue (sculture e dipinti). In una sola parola, l’ambivalenza mostra a Seffar , come ai suoi predecessori o contemporanei, la città delle luci come una città assolutamente contraddittorio, bella ma oh quanto crudele!
E per giustificare il suo punto di vista nei confronti dei cristiani, Seffar evoca le Sure del Corano, versi poetici o degli hadith. È prima di tutto un mondo di passioni che regolano la vita dei parigini; e come mostra Spinoza, il credente entra nella logica di trovare dei rimedi alle passioni nella scienza dell’eterno.
Parigi è davvero un paradiso terrestre per i malvagi, ma che non durerà a lungo perché si basa su una falsa religione.
CONCLUSIONE:
Il soggiorno di Seffar a Parigi è da leggere in una duplice ottica. In primo luogo, si tratta di una trasferta ufficiale che ha lo scopo di chiarire le incomprensioni tra i due stati. Dopo è l’esperienza del viaggiatore, vale a dire, dell’uomo, che si apre davanti ai nostri occhi. In entrambi i casi, e secondo Abdelfattah Kilito, una domanda capitale è alla base dell’intero racconto: perché loro e non noi? Seffar sembra aver trovato la risposta nell’ordine, il buon governo, un regime politico ben organizzato e democratico. Ricordiamo che il Makhzen voleva scoprire i segreti della supremazia francese che minacciava allora il mondo musulmano; ma tale relazione avrebbe potuto rispondere all’urgente necessità di far fronte ad un grande invasore? Il manoscritto di Tetouan è stato veramente letto dal sultano o da coloro che ne dovevano render conto?
Per l’ambasciatore Achaach, quasi assente dal racconto, e i suoi compagni, l’andata e il ritorno hanno avuto luogo sulla nave chiamata “Meteora”. E il viaggio a Parigi è stato solo una meteora: un oggetto dal cielo, ma purtroppo di breve durata!
BIBLIOGRAFIA:
(1) – SEFFAR, Mohammed, Récit du voyage en France, 1845-1846, annotations et présentation par Suzanne Miller (Université de Harvard) , traduit en arabe par Khaled Ben Sghir, Publications de l’Université Mohammed V, Rabat, 1995.
(2) – BARTHES, Roland, Mythologies, Paris, Seuil, Coll.Points, 1957, p. 54.
(3) -KILITO, Abdelfattah, Lane tatakallama loughati, Beyrout, Dar
Attliaa, 2002, p.80
(4) -Miller, Suzanne, Op.cit , p. 73
(5) -ALQUIE, Ferdinand, Le Désir d’éternité, Paris, Quadrige, Presses universitaires de France, p. 46.
Saggio inedito, per gentile concessione dell’autore, traduzione di Sana Darghmouni
Az-Eddine Nozhi, nato a Khouribga il 28 marzo 1967, dopo aver conseguito la maturità al liceo Baja nella città di Ben Ahmed, ha intrapreso i suoi studi universitari a El Jadida e quelli superiori a Rabat, dove ha conseguito un Dottorato di Stato in letteratura francese (2006) : Images et fiction dans l’œuvre de Le Clézo, Sollers et Perec.
Attualmente, Az-Eddine insegna all’università Sultan Moulay Slimane di Beni Mellal (Marocco). Si interessa dei rapporti testi/immagini sia in letteratura francese, araba o altre. Dirige un gruppo di ricerche sull’Immaginario e ha redatto molti articoli su varie tematiche in particolare la relazione tra l’immagine e il testo, le rappresentazioni sociali.
Az-Eddine Nozhi ha pubblicato recentemente una raccolta di racconti pubblicati da Falia (Marocco): Récits du lundi et d’autres jours.
Foto in evidenza di Micaela Contoli.
Foto dell’autore a cura di Az- Ezddne Nozhi.