Meticciato e ibridazione

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Meticciato e ibridazione

in “Introduzione alla filosofia latinoamericana”

Stefano Santasilia, Mimesis, 2017

 

La cultura latinoamericana presenta una profonda varietà di espressioni culturali – segnata da continui rimandi a radici precolombiane – tutte però, allo stesso tempo, riconducibili ad un minimo comun denominatore coloniale. Tale comunanza, se da una parte implica un passato di sottomissione – la cui eredità non ancora esaurita influisce profondamente, ancora oggi, nella vita dei popoli latinoamericani[1] – allo stesso tempo permette di riconoscere una koinè generata da quella ricerca identitaria che ancora non è giunta completamente al termine[2]. La condizione pluriculturale, costitutiva di tutti i paesi latinoamericani, implica la necessità di un ripensamento delle strutture che regolano la vita sociale al fine di individuare un assetto capace di riconoscere lo stato multiculturale come costitutivo della possibilità di una convivenza pacifica[3]. La piena comprensione della “condizione latinoamericana” passa, dunque, necessariamente attraverso la corretta considerazione dei concetti di “ibridismo” e “meticciato”. Entrambi, infatti, rimandano alla costituzione pluriculturale della società latinoamericana e alla genesi di una categoria antropologica fondamentale segnata da una “condizione spuria”, che caratterizza nondimeno lo svolgersi della stessa riflessione culturale.

Ibridismo e meticciato, nella loro medesima definizione, rinviano ad un incontro culturale originario, un punto zero – cui non è dato risalire – che accompagna, tuttavia, la vita stessa dell’individuo, rendendolo esempio incarnato della possibilità dell’incontro e della ristrutturazione continua dei valori. Si tratta, direbbe provocatoriamente Boaventura de Sousa Santos, di pensare il meticciato come condizione che non può mai essere completamente catturata concettualmente e che, per tale ragione, si colloca sempre ai margini del “sistema mondo”[4]. Un invito vivente alla continua riconsiderazione della costellazione di valori a partire dalla quale si vuole comprendere l’umana realtà e determinare i parametri della “civiltà”. Il meticciato si connota come la condizione per la quale «più che di una teoria comune, v’è necessità di una teoria della traduzione che renda intelligibili i conflitti e permetta agli attori collettivi di “conversare” riguardo alle oppressioni alle quali resistono e alle aspirazioni che li animano»[5]. Si tratta di un tradurre, quasi da assumere letteralmente, laddove il traduttore è colui che può “condurre attraverso”, e lo può fare proprio in nome della sua condizione “marginale”. Infatti, qualsiasi buon traduttore diviene, in qualche maniera, meticcio, ibrido, a causa della sua capacità di muoversi con abilità tra dimensioni corrispondenti ma mai “sovrapponibili”. La sua condizione ibrida si manifesta proprio attraverso l’acquisito talento di “ristrutturare” le questioni a partire dall’infra, e dall’impossibilità di un suo ritorno alla condizione precedente: una volta manifestata la “posizione ibrida”, già va riconosciuto il primato di un’ulteriore forma di espressione che non è più riconducibile completamente ai meri caratteri che l’hanno costituita.

Per tale ragione, qualsiasi discorso relativo alla generazione della cultura, o alla possibilità dell’incontro tra culture, deve necessariamente prendere in considerazione la condizione ibrida non solo come risultato finale ma, soprattutto, come momento originario dello stesso fenomeno culturale. Ma non è tutto. Come suggerisce Nestor García Canclini, occorre riconoscere il valore dello stato “meticcio” per assumerlo all’interno di una concezione più ampia dello stesso “ibridismo”. Secondo lo studioso argentino, «il concetto di ibridazione è utile, in determinate indagini, per la comprensione di fenomeni interculturali che sono soliti avere definizioni differenti: fusioni razziali o etniche chiamate meticciato, sincretismo delle credenze e anche altre forme di mescolanza moderna»[6]. Nonostante ciò, non bisogna perdere di vista un’importante differenza. Difatti, se «una teoria non ingenua dell’ibridazione risulta inseparabile da una coscienza critica dei suoi limiti, di ciò che non si lascia, non può o non vuole essere ibridato»[7], lo è proprio perché il concetto stesso di meticciato «si mostra insufficiente per definire e spiegare le forme più moderne di interculturalità»[8]. Secondo García Canclini, la ragione di ciò starebbe nella problematicità del passaggio caratterizzato dalla stessa ibridazione. Questa, infatti, rimette ad un momento originario quasi “abissale”, e incolmabile, che obbliga ad una continua “ricomprensione”: per comprendere il senso dell’incontro non è possibile mettere in opera forme surrettizie di cattura concettuale, «piuttosto è necessario collocarsi nel punto instabile, conflittuale, della traduzione e del “tradimento”»[9]. Posizionarsi, infatti, in quel luogo dove il terreno può franare facilmente, costituisce la stessa possibilità di abbandonare il dominio concettuale dell’orizzonte del reale. Ciò implica che l’ibridazione, traduzione-tradimento, si dia sempre e solo come un “salto” che può essere osservato per momenti, mai adottando uno sguardo che in un sol colpo possa abbracciare tutto il processo.

Il dibattito relativo alle differenze, e alle prossimità, tra meticciato e ibridazione, nonché al loro costitutivo legame, caratterizza il punto di partenza di una riflessione che non considera meramente il lato biologico della questione, bensì soprattutto quello culturale, ovvero la stessa possibilità di trasformare un’eredità di sottomissione in momento di creazione e libera espressione[10]. L’attenzione dedicata al processo di ibridazione, considerato nel suo essere previo all’instaurarsi della condizione meticcia e mediante la possibilità di un’assunzione critica della propria condizione, indica soprattutto la necessità di individuare una categoria che implichi il rimando ad un incontro costitutivo, da intendersi non come ciò che si rende necessario a partire da una constatazione. Non si tratta semplicemente di prendere atto della situazione, tantomeno di proporre un “assorbimento” di una realtà in un’altra. Gli effetti storicamente negativi di un’unilaterale lettura del pluralismo culturale si lasciano, infatti, chiaramente osservare attraverso le politiche di integrazione elaborate a partire da un’unica e indiscutibile concezione del progresso[11]. Una comprensione corretta del meticciato impone, piuttosto, una comprensione differente dell’umano, considerato di per sé come già votato all’ibridazione. La nostra riflessione non può dirsi, però, completa senza un riferimento ai contributi di due autori, l’uno argentino e l’altro francese, il cui apporto alla questione è, senz’ombra di dubbio, rintracciabile ancora nel dibattito attuale: Günther Rodolfo Kusch e Serge Gruzinski. Il primo, antropologo e filosofo, rappresenta una delle più rilevanti voci del pensiero della liberazione[12]; il secondo, storico, ha dedicato i suoi studi più importanti proprio alla relazione tra colonizzazione e ibridazione[13].

Per comprendere il senso che Kusch attribuisce al meticciato, è necessario fare riferimento alla sua concezione della cultura intesa come “geocultura”. Secondo il filosofo, qualsiasi possibilità di costituire una cultura universale deve necessariamente passare attraverso l’assunzione consapevole della propria radice etno-culturale. Ciò affinché la genesi stessa del concetto di umanità non si caratterizzi, così com’è avvenuto durante la colonizzazione, secondo una forma impositiva, bensì mediante un autentico dialogo: «Tra gli interlocutori deve darsi una differenza di formazione, non nel senso di livello culturale – ossia che uno sia più avanzato dell’altro – bensì nello stile, ovvero nella maniera in cui la cultura risulta incarnata in entrambi. […] Cultura non è solo l’insieme dei valori spirituali che il gruppo offre ad ogni membro e che si conserva nella tradizione; cultura è il baluardo simbolico nel quale ci si rifugia per difendere il senso della propria esistenza. […] Cultura è, anche, un atteggiamento sviluppato in modo che possa essere compreso mediante elementi che non appartengono obbligatoriamente alla tradizione, referenze simboliche elaborate al momento, che costituiscono la propria differenza nei confronti dell’interclocutore e che assumono, nello stesso dialogo, il valore di segnavia culturali che permettono ai due dialoganti di autodefinirsi»[14]. A partire da tale concezione, Kusch va configurando la propria idea di “essere americano”, declinata mediante l’incontro tra cultura indigena e cultura europea[15]. Tale ibridazione ha non solo un valore storico: essa, da un lato, documenta un avvenimento tanto crudele, quanto fruttuoso, dal punto di vista culturale; dall’altro costituisce l’esempio emblematico dell’ibridazione intesa come evoluzione socioculturale. Il pensatore argentino afferma la necessità di non pensare l’incontro, l’ibridazione, come produzione di una concezione da affiancare a tutte quelle già prodotte lungo la storia del pensiero. La riflessione sull’origine dell’essere americano come punto zero, insondabile, di una forma di esistenza nuova è, innanzitutto, rivelazione dell’impossibilità di sviluppare una lettura sostanziale dell’umano, che non si dà se non nella prassi storica: ciò che lo stesso Kusch chiama “un incessante operare”[16]. Tale dinamica implica l’abbandono della ricerca di un fondamento concettuale, al fi ne di rivolgere l’attenzione al pluralismo semantico dei simboli offerti dalle differenti culture: questi – soprattutto quelli sacri – costituiscono, infatti, la forma mediante la quale l’uomo riconosce, nella propria finitudine, la sua autentica collocazione nel mondo[17].

Il vivere si struttura, dunque, attraverso la stessa costituzione dell’universo simbolico che forma la dimensione culturale. Ciò implica che l’origine della cultura sia etica, considerando che ethos ha come significato originario quello di “dimora” e “rifugio”. L’universo simbolico si presenta, però, come un accadere continuo che non può mai essere tradotto in uno schema definitivo. Per tale ragione, la tradizione si rivela autentica solo nel suo conformarsi, in maniera duplice: come il momento originario di costituzione e manifestazione dell’umano – attraverso i simboli che ne veicolano il significato e ne innervano la vita quotidiana – e, in forza di ciò, come possibilità di accoglienza sempre attiva in nome dell’insondabilità dell’origine[18]. La cultura deve, dunque, innanzitutto configurarsi come geocultura, e la possibilità del dialogo non si dà che a partire dall’incontro consapevole tra due posizioni differenti ma radicate entrambe nel fondo originario dell’umano. Quanto detto ci permette di comprendere il senso delle affermazioni di Kusch in relazione alla “paura” costitutiva dell’essere americano, la paura di riscoprire realmente il fondo originario, capace di mostrare l’abisso di un incontro violento che, allo stesso tempo è fonte di nuove forme e nuovi simboli. Quella paura che ha spinto l’espropriazione del proprio essere all’estrema manifestazione, ossia all’imitazione della cultura dominatrice, e che, nel corso della storia, ha motivato scelte politiche orientate all’occultamento delle autentiche radici culturali.

In tale orizzonte, il meticciato si conferma come categoria connotata da un’eccedenza rispetto alla mera dimensione biologica: esso mostra non solo tutto il suo valore antropologico ma si colora, in maniera indelebile, di una precisa sfumatura etica, quella della virtù[19]. Se l’essere latinoamericano manifesta pienamente l’ibridazione – in quanto esso si dà sempre e solo come meticcio –, il meticciato costituisce la piena manifestazione della cultura latinoamericana come “possibilità altra” rispetto ad un pensiero della purezza originaria. La virtù che caratterizza la condizione ibrida consiste, pertanto, soprattutto nel suo generare una basilare apertura alla pluralità. L’incontro con l’altro, secondo tale prospettiva, non rappresenta più il rischio dell’ignoto, e della perdita di stabilità, bensì la possibilità di un ulteriore arricchimento dell’umano. Il meticciato, allora, è carattere costitutivo dell’essere americano, ma lo è semplicemente come manifestazione dell’incontro, dell’intreccio dialogico che conforma ogni essere umano. La genesi dell’essere americano, nello specifico latinoamericano, costituisce l’esempio emblematico di questo dialogo, perché non più opera di due distinte realtà che optano per l’incontro, ma incontro continuo con se stesso, alla ricerca di una definizione che va costruita e ricostruita in ogni momento. Dimensione in cui l’ibridazione è sin da subito, ed è precipuamente realtà politica, pertanto etica.

La riflessione sull’ibridazione come manifestazione di una razionalità “altra”, espressione di differente modo di concepire la realtà dell’umano, è tema centrale anche della ricerca di Serge Gruzinski. Lo storico francese, infatti, analizza il fenomeno della conquista a partire dalle dinamiche di adattamento che questo comporta, soffermandosi in maniera approfondita sull’elemento meticcio inteso come fenomeno “donatore di senso”. Attraverso un consapevole, e preciso, cambio di prospettiva, lo studioso non intende certo stemperare la connotazione crudele della conquista bensì mostrare come essa stessa nasconda l’origine di un’inedita forma di comprensione, dimensione che non viene colta se ci si accontenta di leggere il corso degli eventi solo attraverso il filtro della dialettica “dominantedominato”[20]. Mediante un approfondito studio delle fonti, e delle dinamiche legate alla colonizzazione – non solo quelle tipiche della conquista ma anche, e soprattutto, quelle concernenti l’esplicarsi della relazione tra dimensione ispanica e indigena nell’ambito della “cultura novoispana”[21] –, lo storico francese dà il via alla decostruzione di quell’immagine univoca che caratterizzava la costituzione del mondo latinoamericano nell’immaginario collettivo: l’eliminazione della cultura nativa – peraltro concepita secondo una visione monolitica e indifferenziata – da parte dell’azione di conquista spagnola. Gli studi di Gruzinski, infatti, hanno permesso che venisse alla luce un mondo simbolico estremamente multiforme e carico di un senso più profondo. La conquista, nonostante la sua durezza, non ha il potere di fare tabula rasa dell’immaginario collettivo indigeno e, per tale ragione, è costretta ad “accettarne” le dinamiche simboliche integrandosi con esso[22]. La colonia, frutto di tale “incontro”, non può più essere semplicemente considerata espressione di un sistema politico oppressivo nel quale il potere viene esercitato a spese dei più deboli; essa si presenta, piuttosto, come l’espressione dinamica di due universi umani multiformi che cercano, attraverso l’adozione di particolari strategie, di individuare un possibile stato di convivenza sociale, politica e culturale[23]. La riflessione di Gruzinski assume la colonizzazione – in particolare quella dell’attuale territorio messicano – come oggetto d’indagine specifico ma l’intenzione dell’autore eccede la mera indagine di carattere storiografico. Il nuovo dispositivo interpretativo, all’interno del quale la categoria del meticciato assume un ruolo centrale, permette a Gruzinski di leggere le dinamiche d’integrazione coloniale come esplicative di quelle culturali in generale. L’ibridazione che caratterizza il manifestarsi del periodo coloniale diviene, dunque, prefigurazione del momento originario costitutivo di ogni realtà culturale e, allo stesso tempo, annuncio profetico della necessità di un incontro tra culture al quale bisogna prepararsi, piuttosto che rassegnarsi.

Ciò permette allo studioso di ampliare ulteriormente il proprio orizzonte di ricerca e di utilizzare il fenomeno della conquista come un fruttuoso pre-testo: l’occidentalizzazione del Nuovo Mondo non è che la forma originaria di un processo più esteso, quello dell’occidentalizzazione del mondo in generale[24]. Tale tema diviene centrale in quell’opera che costituisce la summa della riflessione dello storico francese in riferimento al tema del meticciato, La pensée métisse, pubblicata nel 1999. In essa, la ricerca relativa alla realtà storica del mondo americano si intreccia con quella del mondo contemporaneo mostrando come l’ibridazione, origine dello stesso meticciato, provochi la frattura nella linearità dei tempi storici e inauguri, così, la nascita di una nuova realtà culturale che è, già di per sé, realtà in dialogo[25]. Lo studioso ritiene che la radice degli attuali processi di globalizzazione, o mondializzazione, non appartengono esclusivamente alla contemporaneità, ma affondano le radici in una concezione meticcia di cui la cultura coloniale – messicana nello specifico – è stata il primo grande laboratorio, e della quale è doveroso apprendere le “forme” fondamentali[26]. Il meticciato, dunque, assurge al ruolo di categoria eccedente il mero processo storico documentabile: esso rappresenta lo spazio intermedio della storia, il momento della sua dinamica complessità, quel punto abissale in cui si origina un nuovo senso[27]. Lo studioso descrive, infatti, il meticciato come una mezcla – mescolanza intesa, in questo caso, alla stregua di un continuo processo – nella quale i significati variano secondo le differenti “traduzioni” che i dialoganti riescono a mettere in opera. L’opera di Gruzinski, attraverso i continui riferimenti alle fonti documentarie e alla produzione artistica, mette in luce la necessità di una comprensione del mondo latinoamericano che non può prescindere dal suo costituirsi come realtà sempre tradotta, in quanto espropriata e, per tale ragione, in dialogo.

I contributi di Kusch e Gruzinski confermano quanto già osservato in precedenza e mostrano la chiara necessità di assumere il meticciato non più solo come dato bensì come dispositivo interpretativo fondamentale alla comprensione del mondo latinoamericano ma, a partire da questo, della stessa dinamica storico-antropologica. In entrambi gli autori, infatti, emerge chiaramente il riconoscimento del carattere dialogico dell’umano, tratto costitutivo che implica non solo l’apertura verso l’esteriorità dell’altro, quanto l’accettazione dell’estraneità costituente la nostra stessa condizione soggettiva. Nella condizione meticcia il soggetto si costituisce come dialogo vivente, a partire dalle differenti radici che lo costituiscono. L’occultamento di una di queste produrrebbe, come è accaduto storicamente, una lacerazione profonda dello stesso essere latinoamericano. Quella lacerazione con la quale, nel corso dei secoli, questo stesso essere ha tentato di occultare la sua espropriazione costitutiva. In tal caso, come è dato comprendere, il rimedio si è rivelato peggiore dello stesso male, per due ragioni: non ha permesso una comprensione adeguata della propria condizione e ha accentuato la percezione dell’espropriazione nella forma di una mancanza. Come osserveremo nei successivi capitoli, il profondo lavoro del pensiero latinoamericano consiste proprio nel capovolgere tale percezione al fi ne di mostrare il valore “virtuoso” della propria condizione ibrida.

[1] Cfr. a tal proposito Castro-Gómez, Grosfoguel (2007), Mignolo (2007), Walsh, Mignolo, García Linera (2006).

[2] Non è un caso che Carlos Beorlegui intitoli il suo voluminoso studio dedicato al pensiero latinoamericano Historia del pensamiento filosófico latinoamericano. Una búsqueda incesante de la identidad, cfr. Beorlegui (2010).

[3] Cfr. a tal proposito Villoro (1998).

[4] In questo caso rimandiamo alla definizione “sistema mundo” utilizzata da Enrique Dussel nella sua Ética de la liberación. Dussel (1998), p. 11.

[5] Sousa Santos (2000), p. 28.

[6] García Canclini (1989), p. X.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. XI.

[9] Ivi, p. XXIII.

[10] Cfr. a tal proposito Mignolo (2010) e Sousa Santos (2010).

[11] Cfr. Villoro (1997).

[12] I tratti fondamentali del pensiero di Kusch sono descritti e analizzati, in maniera dettagliata, nel capitolo X, dedicato appunto alla filosofi a della liberazione. Per tale ragione, ora, ci soffermeremo in maniera più approfondita solo su ciò che, nella riflessione del pensatore argentino, mostra avere un diretto riferimento alla questione del meticciato.

[13] Cfr. a tale proposito Gruzinski (1991), (1992), (1994) e (2000).

[14] Kusch (1978), p. 13.

[15] Cfr. a tal proposito Azcuy (1989

[16] Cfr. Kusch (1978), p. 11.

[17] In tale prospettiva, è importante segnalare la prossimità tra la posizione di Kusch e quella di Ricoeur nel criticare la “via corta” di carattere heideggeriano – il rivolgersi direttamente alla ricerca del fondamento tralasciando l’analisi delle manifestazioni culturali più rappresentative dell’umano – e nel riconoscimento della fondamentale importanza della dimensione simbolica (cfr. Ricoeur, 1995, nello specifico la prima parte). Riguardo alla prossimità tra le interpretazioni dei due pensatori cfr. Maturo (2012) e Ure (2015).

[18] Cfr. Kusch (1976), pp. 151 e ss.

[19] Cfr. a tal proposito l’interessante articolo di Zagari (1994).

[20] Riguardo a ciò cfr. Benzoni (2009), pp. 66-69.

[21] Mediante la definizione “cultura novoispana” si fa riferimento alle dinamiche culturali e sociali caratteristiche della Nueva España, il viceregno istituito dalla Corona spagnola in America del Nord e Centro America. Riguardo a tale argomento la bibliografia di carattere storiografico risulta essere sterminata. Ci limitiamo, pertanto, ad un unico riferimento che può fungere da punto di partenza per una ricerca interessata al tema: De Valle Arizpe (1997).

[22] Riguardo ciò, anche Tzvetan Todorov si sofferma sulla necessità, da parte del conquistatore, di penetrare il mondo   simbolico delle culture precolombiane. Cfr. Todorov (2005).

[23] Cfr. Gruzinski (1994).

[24] Cfr. Gruzinski (1991).

[25] Cfr. riguardo a ciò rimandiamo all’interessante contributo di Cacciatore (2009).

[26] È molto interessante l’attenzione che Gruzinski rivolge al valore della favola concepita come una delle forme cardine attraverso cui si realizza il processo di ibridazione: «La favola si mostra indifferente ai riferimenti geografici e storici, e confonde i luoghi e le epoche […]. La favola è il supporto ideale di un pensiero che pratica l’ibridazione. […] La favola “mette in connessione” le credenze amerindie con quelle dell’antichità mediante un solido vincolo, dal momento che il paganesimo antico e quello americano sono considerati espressione di uno stesso fenomeno, l’idolatria» (Gruzinski, 2000, pp. 176-178). Come si ravvisa nelle stesse affermazioni dell’autore, il processo di ibridazione si articola soprattutto attraverso l’individuazione di “forme” e “spazi” comuni. Il venire alla luce di una cultura meticcia si configura come un processo fondamentalmente dialogico basato sul comune sfondo dell’umano.

[27] Cfr. Gruzinski (2000), p. 60.

 

Testo pubblicato per gentile concessione della casa editrice e dell’autore.

 

Foto in evidenza di Teri Allen-Piccolo.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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