estratto in anteprima da: “Maya: Il Mondo Degli Spiriti”
1 – “Quelli”
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Il sole non aveva ancora finito la corsa che compiva ogni giorno terminando dietro le montagne che marcavano il confine Ovest del villaggio, quando il cielo cominciò a scurirsi caricandosi di grosse e dense nuvole di colore grigio-scuro. Il vento cominciò a soffiare spazzando dal suo percorso alcune foglie morte e secche che ingombravano la strada, riempiendo l’aria di polvere proveniente dal suolo.
Nonno Momo si fermò, alzò la testa verso il cielo e cominciò a scrutarlo cercando di capire il motivo dell’improvviso cambiamento. Ma non c’era niente nel cielo che potesse spiegarlo.
Nonno Momo era un uomo alto e non troppo magro. Le sue spalle erano larghe. Nonostante i suoi ottantaquattro anni, era ancora molto robusto. Il suo viso trasmetteva fiducia e sicurezza. L’unica cosa che contrastava con questo aspetto del suo viso era una cicatrice sulla guancia sinistra, che aveva rimediato durante la guerra. Aveva i capelli sale e pepe. Camminava sempre con il suo bastone come quasi tutti gli anziani del villaggio. Ma a differenza di altri anziani, il suo non gli serviva per stare in piedi, poteva anche farne a meno. Era uno degli uomini più rispettati nel villaggio. Si raccontava che, da giovane, durante la terza grande guerra aveva contribuito, insieme ad altri quattro guerrieri a salvare il villaggio dall’attacco di villaggi nemici. Quindi nel villaggio erano stati nominati “i cinque guerrieri leggendari”.
«C’è qualcosa che non va nonno?» gli chiese suo nipote Aika che stava adagiato sulla sua schiena.
Aika aveva dieci anni; era un ragazzo molto dolce che amava passare il tempo con il vecchio nonno. Era la prima volta che andava nelle piantagioni. Di solito, quando tutti gli altri andavano a lavorare, lui e il nonno rimanevano a casa. In pratica era stato cresciuto dal nonno.
«Non ti preoccupare Aika. Va tutto bene.»
I cambiamenti che stavano avvenendo intorno a lui non lo preoccuparono in quell’istante, ma si vedeva chiaramente che era perplesso. Nonno Momo e suo nipote stavano tornando a casa. Avevano passato tutta la giornata nelle piantagioni a lavorare insieme agli altri abitanti del villaggio. A quell’ora normalmente tutti erano già tornati dalle piantagioni. Loro due erano ancora per strada perché Aika si era ferito alla gamba mentre stava lavorando e il Nonno aveva chiesto agli altri di tornare prima, perché voleva prima bendare la ferita per evitare la perdita di sangue. E siccome era un uomo molto rispettato, tutti gli altri avevano accettato senza protestare.
La giornata era stata particolarmente calda. Ma erano abituati a un caldo così in quel periodo dell’anno. Ciò che non era per niente normale era la formazione di quelle nuvole. “Forse sta o deve succedere qualcosa.” Pensò Nonno Momo, che era sempre attento ai minimi dettagli. Poi, a un tratto, in un istante, la temperatura calò bruscamente come non era mai avvenuto nel villaggio. Il fulmine cominciò a lacerare il cielo che era diventato tutto scuro. Di sicuro c’era qualcosa che non andava! Che cosa significava tutto questo? Che cosa stava succedendo? I vestiti della stagione calda che nonno e nipote indossavano non erano adatti a far sopportare questo tipo di freddo. Anche se avessero indossato quelli della stagione delle piogge, non sarebbe cambiato molto. Perché mai prima di quella sera e durante tutta la storia del villaggio avevano sentito parlare di un freddo di tale portata.
«Nonno, sento freddo» mormorò Aika tremando.
«Lo so, ma stai tranquillo che finirà presto» cercò di tranquillizzarlo il nonno, facendolo scendere dalla sua schiena.
«Ma nonno, perché fa così freddo?».
Nonno Momo lanciò uno sguardo tenero, s’inginocchiò davanti a suo nipote che si era intanto seduto per terra, si tolse la maglia e gliela fece indossare. Gli accarezzò i capelli e gli fece un piccolo sorriso. Poi si rialzò. Cercava di nascondere la preoccupazione al nipote, ma appariva chiaro in volto che qualcosa era cambiato. L’uomo, che aveva sempre avuto un viso luminoso, che rideva sempre, che parlava sempre, era diventato silenzioso. Aveva assunto un’espressione seria e corrucciata; si guardava intorno come se stesse aspettando… Come se sapesse che qualcuno o qualcosa sarebbe arrivato da un momento all’altro.
2
A differenza di quello che stava succedendo a Nonno Momo e a Aika, lungo la via nel villaggio tutto sembrava normale, come al solito. Le persone erano tornate ai loro rispettivi impegni della giornata. L’organizzazione del villaggio prevedeva che, dopo il ritorno dall’occupazione della giornata, le donne dovessero andare a preparare la cena mentre gli uomini si occupavano di insegnare ai figli le cose della vita sociale nel villaggio.
La struttura del villaggio era abbastanza semplice e il capo era la persona più importante: aveva la funzione di capo, di giudice, comandava direttamente i soldati e i guerrieri del villaggio. Viveva nella chefferie[1] che era costituita da un insieme di case circondate da un recinto al centro del quale c’era una grande piazza.
La piazza era il luogo dove si riunivano le persone quando il capo del villaggio doveva fare un discorso. E durante le grandi feste del villaggio tutte le cerimonie e le danze tradizionali si svolgevano lì. Il capo del villaggio era sempre accompagnato dal consiglio degli anziani.
Il consiglio degli anziani era costituito da dodici membri, e mentre il passaggio del potere del capo era ereditario, per i membri del consiglio degli anziani vigeva una rigorosa selezione. Perché erano le persone più importanti del villaggio dopo il capo e il loro ruolo oltre a quello principale che prevedeva di dare consigli al capo del villaggio nelle diverse decisioni da prendere, era anche di assicurare la transizione del potere e la nomina del nuovo capo, in caso di morte del capo precedente. Quindi non soltanto il capo ma tutta la popolazione del villaggio doveva avere una fiducia assoluta nei consiglieri.
Dopo di loro veniva la “regina madre”: la moglie del capo del villaggio. Poi i soldati della guardia personale del capo del villaggio, i soldati che proteggevano il villaggio, i guerrieri e, per ultimo, il popolo.
Mentre per Nonno Momo e Aika era già buio, nel villaggio gli ultimi raggi di sole stavano sparendo dietro le montagne dell’Ovest, e la gente iniziava a rientrare nelle loro case. Era una delle regole instaurate dal capo del villaggio: «La giornata finisce quando il sole se ne va. Qualsiasi persona si trovi ancora fuori sarà imprigionata.» Aveva dichiarato durante il suo ultimo discorso. Nessuno aveva capito perché avesse preso quella decisione e nessuno protestò.
3
Il vento si fermò. Nonno Momo era pronto, attentissimo a qualunque cosa potesse succedere in quel momento; il suo cuore batteva a un ritmo frenetico; aveva la pelle d’oca. Forse era per il freddo che faceva oppure per la paura che stava crescendo in lui. In quell’istante si mise a ricordare i momenti della sua gioventù, quando era ancora un guerriero del villaggio. Quando combatté durante la terza grande guerra. Si mise a ricordare i suoi compagni di battaglia, quelli con cui aveva combattuto per salvare il villaggio. Pensò ai “cinque guerrieri leggendari”. Si chiese se un giorno sarebbero rimasti nel villaggio, che lui aveva tanto amato e per cui aveva combattuto tutta la vita, dei giovani pronti a fare quello che aveva fatto lui. Guardò suo nipote che era seduto per terra accanto a lui ed ebbe un rammarico. Il rammarico di non avergli insegnato tutte quelle cose della vita. Di aver preferito rispettare le volontà di un capo patetico che non sapeva nemmeno cosa significasse combattere per qualcosa. Di non aver saputo combattere per i suoi fratelli leggendari che avevano tentato di far ragionare il capo del villaggio rispetto alle sue decisioni.
Mentre stava pensando a tutto ciò, nonno e nipote sentirono un rumore che assomigliava al rumore che fanno le foglie degli alberi quando il vento soffia. Ma non c’era vento…
«Nonno che cos’è?» gli chiese Aika.
«Silenzio!» rispose lui «non fare alcun rumore.».
La paura che sentiva prima dentro di lui si trasformò in eccitazione. Forse sapeva che cosa stava arrivando. Forse aveva sempre sperato dentro di sé di vedere un giorno quello che stava per uscire dal buio. Si mise a girare su se stesso, cercando di vedere se quello che stava arrivando era ciò che pensava. In quel momento non sentiva più il freddo.
Aika non aveva mai visto suo nonno in quello stato. Seduto per terra, lo guardò pensando al nonno che era abituato a vedere. Il nonno che lo aveva cresciuto, che lo sapeva consigliare in ogni momento. Al nonno che ogni fine settimana, di sera, accendeva un grande fuoco davanti alla casa e i bambini venivano a sedersi attorno a lui per ascoltare le sue storie. Dove era quel nonno in quel momento?
A un certo punto vide arrivare qualcosa dalla strada. Aveva una forma umana. Con una testa, due braccia e due gambe. Camminava come un essere umano ma molto lentamente. Non si riusciva a scorgere se indossasse un vestito oppure no. L’unica cosa che si poteva distinguere nettamente da quella distanza erano i suoi occhi. Sembrava che al posto degli occhi avesse due sorgenti di luce bianche che illuminavano l’ambiente davanti a lui.
«Non può essere vero quello che sto vedendo in questo momento!» disse.
Aika era sempre seduto lì e stava tremando, non soltanto per il freddo, ma anche perché il comportamento del nonno gli aveva messo paura.
«Ma nonno, vuoi spiegarmi quello che sta succedendo? Avremmo dovuto continuare la nostra strada senza fermarci. Adesso guarda che cosa sta arrivando da là». Nonno Momo si abbassò e pose le mani sulle sue spalle e guardandolo negli occhi, gli disse:
«Adesso mi devi ascoltare molto attentamente. Alcune cose succedono perché devono succedere. Il passato sta tornando e non penso che potremo fare qualcosa per evitarlo. Dovremmo ricordarci degli insegnamenti ancestrali, altrimenti il villaggio sarà massacrato. Devi memorizzare queste parole che ho appena pronunciato. Capito?»
«Sì nonno. Ma perché…».
«Spero solo che un giorno diventerai il grande uomo che ho sempre voluto che tu diventassi.»
«Nonno che…»
«Ascoltami! Io ci sarò sempre per te quando avrai bisogno di me. Ricordi quella canzone che ti ho insegnato? Quella che dicevi non essere adatta ai bambini?»
«Sì.»
«Voglio che tu la canti adesso chiudendo gli occhi.»
«Ma perch…»
«Fallo! Ci sono cose che i tuoi occhi non sono ancora pronti a vedere.».
Le lacrime stavano già scorrendo sul viso di Aika. Anche se non sapeva quello che suo nonno stava per fare, pensava che forse, chiudendo gli occhi su quell’immagine del nonno che lo stava guardando negli occhi, dicendogli delle cose strane da memorizzare, sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto vivo.
[1] Chefferie è un termine francese, da chef “capo”, che designa sia l’ordinamento politico-territoriale sia l’insieme delle funzioni politiche esercitate dal capo nelle società tradizionali prestatuali, soprattutto in quelle africane e oceaniane.
di Gaius Tsaamo, per gentile concessione dell’autore e della casa editrice, dal libro Maya: il mondo degli spiriti, di prossima pubblicazione per Qudulibri.
Gaius Tsaamo: Nato nel 1986 a Douala. Arrivato in italia nel 2008 per studiare medicina. appassionato di letteratura e di poesia; il suo primo libro è uscito nel 2013 con il titolo: “L’école de la vie” dalla casa editrice (On demand) Lulu. collabora con “Multiversi” e ha partecipato alla realizzazione di ” Sotto il cielo di Lampedusa 2- Nessun uomo è un’isola”.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto dell’autore a cura dell’autore.