Traduzione in italiano da parte di Antonella Sarti Evans, Francesca Benocci e Eleonora Bello
Traduzione in māori di Te Ataahia Hurihanganui e Hēmi Kelly
Nota: L’antologia si compone di nove voci di poetesse maori delle quali si riporta la relativa biografia, tutte interessanti e diverse per temi trattati e stile. Nell’articolo sono riportate cinque delle voci presenti nell’antologia rappresentative di diverse espressione poetica.
Bartolomeo Bellanova
Dalla introduzione di Antonella Sarti Evans, Francesca Benocci e Eleonora Bello:
Matariki, sciame di stelle, abbiamo scelto di intitolare così questa selezione di componimenti di poetesse māori contemporanee in traduzione italiana, in omaggio alla raccolta originale principale, tātai whetū. [Abbiamo scelto di apportare il macron sul termine māori, come nella grafia inglese neozelandese e nella lingua māori, invece di mantenere il termine italiano ‘maori’ per precisione e nella speranza che il pubblico italiano possa pronunciare il vocabolo come facciamo in Nuova Zelanda, cioè màori e non maòri].
Tātai whetū significa Costellazione, ma potrebbe essere tradotto anche come “lignaggio/discendenza di stelle”: la discendenza è un concetto molto importante nella cultura māori. il passato riveste un ruolo fondamentale, sta di fronte a noi, ci guida. E naturalmente crediamo che un’altra guida luminosa, per la nostra vita, sia la poesia. Dunque, ecco a voi: una costellazione di poetesse māori contemporanee.
Vogliamo cominciare questa breve introduzione a Matariki, sciame di stelle suggerendo l’affascinante legame fra la poesia māori contemporanea e l’antica tradizione orale in Aotearoa/Nuova Zelanda [Aotearoa è il nome dato dai primi abitanti māori alla Nuova Zelanda e significa Terra della lunga nuvola bianca. I primi spostamenti māori a bordo di canoe risalgono circa al tredicesimo secolo]: i waiata, cioè i canti māori, possono essere considerati, a nostro avviso, uno dei modelli più alti e una squisita fonte di ispirazione di molta poesia indigena, anche se non tutte le poesie selezionate in Matariki sono riconducibili ai waiata, chiaramente.
I waiata rivestono da sempre un ruolo importante nella vita sociale māori in Aotearoa sin dal loro arrivo nella “Terra della lunga nuvola bianca” nel XIII secolo: si tratta di componimenti poetici che appaiono nella forma di canzoni d’amore (waiata aroha), lamenti funebri (waiata tangi), ninnenanne (oriori) e altri canti tradizionali. Sono spesso accompagnati da danza e per la maggior parte sono intonati da donne (waiata wāhine). Anche il kaikaranga, primo grido di benvenuto nel marae (luogo sacro per i māori, comunitario, sede di celebrazioni e di eventi collettivi) ha voce femminile, di una mana wahine (donna saggia e dotata di autorità e prestigio spirituale, sovente anziana). Dalle origini spirituali e di composizione piuttosto complessa, atta anche a favorirne la memorizzazione, i waiata sono canti associati alle divinità femminili, specie quelle della terra, dell’aurora, del piacere e dell’intrattenimento, della musica, ma anche della morte. Rappresentano un mezzo di trasmissione del sapere māori, della storia, della cultura e della lingua; un modo per sentirsi legati, per condividere il sentimento di appartenenza.
Ancora oggi si cantano waiata tradizionali, insieme a nuovi testi che vengono composti per riflettere su tematiche contemporanee, molto spesso con accompagnamento musicale e danza come nel passato.
Il linguaggio dei waiata è molto poetico, ricco di allusioni e di immagini, metaforico, portavoce di una cultura ancestrale caratterizzata in modo esclusivo dalla trasmissione orale fino all’età coloniale (XIX secolo).
Canti attuali, che uniscono presente e passato, sono molte delle poesie di Mary Maringikura Campbell, la prima autrice della nostra raccolta.
Realtà contemporanea e mito sono intrecciati, quasi indistinguibili, in molta poesia māori contemporanea; proseguendo nella tradizione delle donne māori cantastorie di un tempo, molte autrici ribadiscono di essere māori. Questo ci sembra cruciale: riconoscere come propria l’identità e la cultura māori, talvolta indipendentemente dalla propria fisionomia o dalla prima lingua. L’inglese è ormai la lingua più parlata in Nuova Zelanda, ed è stato necessario riappropriarsi di te reo Māori come lingua madre, indebolita a causa di quasi due secoli di politiche coloniali, ma finalmente riconosciuta come lingua ufficiale di Aotearoa/Nuova Zelanda in seguito a lunghe battaglie.
Altra costante di molta poesia indigena neozelandese è il legame con la Madre Terra, Papatūānuku, che si avverte intensamente in molte poesie della nostra raccolta. L’anelito a fondersi con la terra, ma anche con il vento, con il mare, con la luce, con le balene, con gli alberi rende così profondamente indigene queste voci, in sintonia con la credenza māori di essere nati dalla Terra come il fondamento della relazione fra Natura e umanità. È avulso dalla concezione primigenia māori il possesso della terra, alla quale, al contrario, tutte le creature appartengono: siamo figli della Terra. Secondo la mitologia māori della creazione del mondo, Papatūānuku, la madre Terra, diede vita a tutto, dalle piante, agli alberi, all’umanità, fornendo il nutrimento fisico e spirituale della vita stessa e della creatività.
E dalla Terra, secondo il mito māori, si originò la prima donna. Dall’argilla, dalla terra rossa di Kurawaka (nella regione di Hawkes Bay, Isola del Nord): Hineahuone è il suo nome, cioè “l’elemento femminile che viene dal suolo”.
Secondo la concezione animistica della Natura, il legno ospita il prezioso spirito di vita, la forza vitale: mauri in lingua māori (altrimenti tradotto con ‘principio della vita’, ‘essenza vitale’, ‘fonte di emozioni’), che attende di prendere la forma che lo scultore riuscirà a identificare, invitandolo a uscire nel mondo visibile, ad apparire.
Non mancano nell’antologia voci come quella di Tayi Tibble che si interrogano provocatoriamente sul significato di essere un’adolescente e giovane donna māori nella società globale contemporanea. Significa essere notate per il “marrone” della pelle e la peluria corporea; significa frequentare abitualmente la sede locale del Work and Income New Zealand (corrispettivo della Previdenza Sociale); significa dovere accettare riluttanti le attenzioni di un insegnante. Questo e altro come normalità. Non solo, significa per molte vivere lontano dal proprio marae, senza più conoscerne le leggende, le storie, la tradizione.
Eppure, oggi in Nuova Zelanda sempre più si sceglie di essere māori (una scelta non priva di conflitti), e si torna a studiare la cultura indigena, si cerca di comprenderla, di interpretarla, reimparando la lingua dei nonni o dei bisnonni, che era andata progressivamente scomparendo fino agli anni Settanta – per un lungo periodo era stata persino bandita – per poi essere rivitalizzata grazie all’intervento di poeti, scrittori e artisti indigeni (per citare solo i primi, Hone Tuwhare, Patricia Grace, Witi Ihimaera, Ralph Hotere). La poesia, l’arte ma anche il teatro, il cinema hanno restituito vigore e importanza a una cultura troppo preziosa da lasciar scomparire: l’anima neozelandese è oggi sempre più orgogliosamente māori. O almeno questo è il sentimento di molti qui in Nuova Zelanda, una società dalla vasta multiculturalità, nonostante le lunghe ombre del colonialismo britannico ed europeo (pākehā) contribuiscano ancora a creare uno spazio sociale fortemente diseguale, un comprensibile sentimento di inferiorità e un sotterraneo malessere. La ferita del colonialismo è tutt’ora aperta, e nonostante i passi avanti, in Nuova Zelanda i numeri sulla disoccupazione, sulla salute mentale, sull’incarcerazione e sui bassi rendimenti scolastici fra la popolazione indigena restano un triste fatto. Né il razzismo è stato debellato, purtroppo, e i suoi effetti velenosi si avvertono a livello psicologico e di memoria nella poesia dell’ultima generazione.
La conflittualità, il dolore, gli effetti del colonialismo, l’intreccio dell’inglese neozelandese con la lingua māori sono alcuni dei leitmotiv della poesia indigena contemporanea. L’inglese neozelandese corrente è intessuto di frasi e vocaboli māori, e questo è un altro frutto della battaglia per la riconquista della lingua indigena, condotta anche grazie alla letteratura.
Mary Maringikura Campbell
Considera questo
Considera questo
prima di gonfiarmi di droghe
sono più di un cervello
un cuore che batte
sono carne e ossa
una pianura fertile
sono i miei Tūpuna(1)
sono un’ariki(2)
sono ieri
oggi e domani
ho un’anima
vedo …
Passa dolcemente perché ho un cane nero
che va e viene
sono una scatola di strumenti da recupero
una strada dissestata
sono tapu(3)
dentro di me c’è Dio
il mio Dio
il meglio di me
sono una madre
una figlia
una sorella
una zia
una nonna
ho due cani e un gatto
e uccelli liberi che volano in cerchio
sono molto più di un cervello
sono un Papa’ā (4) māori
Prima di gonfiarmi di droghe
considera questo, caro Psichiatra!
(1) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘avi, in lingua maori.
(2) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘persona di nobili origini’.
(3) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘sacro, proibito.’
(4) Un neozelandese di origini miste europee e maori, di provenienza dalle Isole Cook
Passare oltre
Passiamo tutti alla fine
non ce ne andiamo
che in un altro spazio
lasciamo solo granelli di polvere
Perché è tutto ciò
che dovremmo lasciare
Nient’altro
che amore
Aroha(1)
e naturalmente
i nostri mokopuna.(2)
(1) Amore.
(2) Figli e nipoti
=====
Maraea Rakuraku & Vana Manasiadis
Introduzione a tātai whetū [rivisitazione poetica del mito della creazione]
Diventare
Lei è il nulla che
diventa spazio che
diventa intervallo che
diventa forma che
diventa stelle che
diventano nebulosa. Parole
diventano frasi che
diventano suoni che
diventano
materia e traccia. Onde luce voce terremoto
acqua
Lei è frizione che sfiora i valichi e i fondali
la cintura d’asteroidi che si agita. Non è atomo
stazionario.
È il punto fisso attorno al quale tutto ruota. È la figura
solitaria,
la folla nel viso. È tutti in una volta e nessuno. È le sette
sorelle:
la sprezzante, l’indignata, l’umile, la servile, il pugno,
il velluto, il guanto. Tesa, si tende, dà vita al nuovo.
Hai visto il suo coro? Hai udito i loro sguardi?
Reclamano
echi. Le lingue uniformano i dittonghi e gridano
abbagliano
inducono si adattano colpiscono leniscono o
sparano le prime sillabe.
Perché è qui dove dimora il silenzio e una gomitata per
farsi spazio può esser letta
come una dichiarazione di violenza. Eppure, è
all’indomani di questo atto che ha luogo
una nascita.
Ma è anche qui dove puoi ascoltare attentamente, c’è un
sussurro
che sembra uno tsunami a spazzar via campi d’erba alta.
Non cercare riparo, canticchiare non t’aiuterà. Il
tempo s’ingrossa
sulle vecchie riserve e sui frangiflutti. L’energia si
sposta. Respiro, pancia, ombelico,
composizione, pianto: non c’è scelta. I campi
devono essere livellati.
Qui sta il calcolo. Gira la testa verso il punto dove la luce
avvampa fulgida.
In lontananza, brilla, immobile. Lei aspetta. La verità.
Non puoi non vederla, il bianco attraverso le
palpebre, spalancate.
L’impulso elettrico. L’inverso gettato contro la
tua pelle. Il tempo.
Né sconosciuta. L’hai afferrata una volta. Il suo battito,
pur irregolare, calma, consola.
Diventando Presenza. Diventando. Adesso.
====
Maraea Rakuraku
Quando comincia?
Non è tanto lo sventolare una bandiera, tenere un
cartellone, sapere cosa significa teoria postcoloniale e
quando usarla, imparare citazioni a memoria e allinearle
come
soldati mandati in onde d’urto,
non è tanto l’essere cordiali, rimanere aperti, ascoltare
con imparzialità, valutare con prudenza la propria
motivazione, riscrivere con parole accurate la risposta,
chiedersi
come mai chi ti ha messo con le spalle al muro on-line, a
una festa, al dopo-lavoro o
a una partita di rugby non senta quanto offensiva è ogni
parola che dice e
che potrebbe spezzarti il cuore, con l’intenzio-sità di una
falce che taglia l’erba alta,
non è tanto rendersi conto che una retorica razzista in
paroloni resta
una retorica razzista in paroloni e la fiuti subito in quel
‘non sono
razzista … ma’,
non è tanto riconoscere il privilegio e il diritto bianchi,
esistere in funzione del privilegio e del diritto bianchi,
amare sotto il controllo del privilegio e del diritto
bianchi,
non comincia con l’enorme delusione del cazzo che un
tuo fratello scuro
è peggiore del peggior zoticone che tu abbia incontrato
nella vita,
non comincia lottando per la tua iwi(1), per la tua gente,
la tua cultura, un collega,
un figlio, una figlia, un’amante, una moglie, Koro (2),
nonna, cugini e amici, animali, Papatūānuku o persino
te stessa,
comincia
con il primo passo dai margini dentro il bagliore della
luce
e
tu che apri
la
bocca,
è cominciato
quando è nata l’idea di te e si è innestata
è cominciato
quando è nata l’idea di te e si è innestata
è cominciato
quando è nata l’idea di te
è cominciato
con l’idea di te.
(1) Tribù, comunità, nazionalità, gente, razza
(2) Nonno, uomo anziano
====
Anahera Gildea
Alla ricerca di mana wahine (1)
Pensavo di trovare un carnevale infinito.
Il turbinio di suoni meccanici
la polvere e il giro d’una ruota gigantesca,
chiromanti che leggevano carte e cristalli
elisir di signore che non erano me.
Ma sussurrarono le atua wāhine (2)
vieni ragazza, hine, (3) vieni via
dalla musica di questo sole denso e madido
con i suoi incantatori di serpenti, con il suo fumo.
Appesa al cordame tra un mondo e l’altro
ho sentito il loro karanga, (4) la voce all’alba
secoli di donne che si sollevano
in un wiri (5) vocale dal motu (6)
a declamare la prima donna,
muscolosa sotto la sabbia
venne la lacerazione cataclismica
il primo sanguinamento.
Al principio non c’era la gente.
Solo acqua costante lungo i suoi fianchi dalla montagna
fino al suolo.
Solo l’arco mostruoso del suo dolore.
Solo lei.
E la prima donna fu creata
dal rosso profondo del suo sangue.
Tu sei lei, testimone. Lei, registratrice di eventi.
Tu, ragazza, dissero le antiche wāhine.
Qui in questo dramma di burlesque
la gente si perde in truffe,
in giochetti corrotti,
di ladri di biancheria e borseggiatori;
le donne, wāhine, possono riportarli a casa
richiamarli a te aho tapu (7)
noi, ragazza, siamo legate per linee
che nessun trucco può spezzare né sciogliere;
se sanguiniamo, non moriamo.
(1) In lingua māori, l’espressione ‘mana wahine’ si traduce generalmente con il singolare: ‘donna forte’ (il plurale usa il macron: ‘mana wāhine’), tuttavia, come spiegato dalla poetessa, in questo contesto ‘wahine’ è usato come vocabolo non numerabile, nella sua valenza collettiva: “tutte le mana wahine dell’universo sono una cosa sola…e non dipende dal numero dei partecipanti.”
(2) Antenati illustri femminili.
(3) Ragazza.
(4) Richiamo/invito formale a una cerimonia, nella tradizione maori
(5) Fremito
(6) Luogo distante, separato, remoto
(7) Aho, ‘linea genealogica’ e tapu: sacro/a; te aho tapu significa ‘the sacred thread’, ‘la linea sacra’
====
Alice Te Punga Somerville
Rākau (1)
Sappiamo che gli scultori inducono qualcosa o qualcuno
che già si trova dentro il legno.
Ne tolgono un pezzetto alla volta, uno a uno, finché non
è pronto.
Sappiamo entrambi che un linguaggio attende sulle mie
labbra.
Per favore, posa la scure, la sega, la lima:
parlami dolcemente sì che possa riconoscere cosa vi si
trova.
No, non scheggiare la carne rosea e le papille gustative:
trasudata e gonfia, soffocherò nel mio stesso sangue
prima che tu abbia finito.
Il legno che stai provando a intagliare è ancora un
albero.
(1) Albero
====
Tayi Tibble
Vampiri contro Lupi mannari
(estratto)
…
Credo di rivedermi nella sua figura a fuscello come mi
rivedo
in un ramoscello avvizzito. Biodegradabile, spezzata,
marrone.
Potresti specificare?
Il marrone mi ricorda le foglie e
le cartacce dei sausage roll nel bidone.
Potresti specificare?
Dicevamo “bidone” quando succedeva
qualcosa di brutto o un fatto tragicomico.
Hai lasciato il telefono sull’autobus? Bidone.
Sei stata trattenuta dall’insegnante? Bidone.
Non puoi andare alla festa perché devi guardare
i tuoi fratelli mentre tua madre
è al bingo? Bidone.
Forse intendevamo dire budella
come se qualcuno ci avesse
aperti e svuotati.
Potresti specificare?
È facile essere visti come il lupo cattivo.
Quattordici anni, timida cronica, anoressica.
Ti induci il vomito con desiderio.
Vuoi solo quella luce pallida della televisione.
Ti fa fare cose diverse dalla tua personalità.
Ti farebbe, se avessi personalità.
Ecco perché le dita finiscono in gola e su per le gonne
e puntano in direzioni sbagliate.
Potresti specificare?
È il ragazzo che ha gridato al lupo
ma al contrario tu gridi pecora
e nessuno crede al tuo belato.
…
Note biografiche delle autrici:
Mary Maringikura Campbell, poetessa neozelandese dalle origini māori – la famiglia del padre proviene da Tongareva (Cook Islands) – è figlia di poeti: Alistair Te Ariki Campbell e Meg Campbell, tra le voci più squisite della letteratura neozelandese dell’ultimo Novecento. La poesia di Maringikura intesse motivi ancestrali a osservazioni sociali, attuali con apparente semplicità e straordinaria sensibilità. Ha lavorato a lungo come assistente sociale e consulente in centri di salute mentale, e ha fondato la piccola casa editrice Kotaha Press, Porirua, dove è apparsa la sua prima raccolta di poesie, ‘Maringi’ (2016), recentemente incluse nel più ampio volume: ‘Yellow Moon. E Marama Rengarenga. Selected poems by Mary Maringikura Campbell’ (HeadworX, Wellington, 2020).
Maraea Rakuraku, poetessa e drammaturga māori (di origine Tuhoe e Ngāti Kahungunu) è stata la fondatrice di Native Agency Aotearoa, a sostegno della visibilità artistica māori e delle minoranze. Nel 2018 ha iniziato un Master sul teatro māori al femminile presso Victoria University of Wellington, dando voce all’identità māori contemporanea sia in poesia che in scritti e recensioni teatrali.
Anahera Gildea, poetessa e artista māori (di origine Ngāti Raukawa-ki-te-tonga, Ngāti te Rangi, Ngāti Toa Rangatira, Te Ati Awa, Kāi Tahu) ha pubblicato il primo libro-poema, ‘Poroporoaki to the Lord My God: Weaving the Via Dolorosa’ con Seraph Press, Wellington (2016). Innumerevoli sue poesie sono apparse in riviste letterarie e raccolte (tra cui, ‘tātai whetū’, Seraph Press, 2018). Dopo aver conseguito una laurea combinata in psicologia, didattica e arte drammatica, ha completato un Master in scrittura creativa presso l’Università Victoria di Wellington.
Alice Te Punga Somerville, poetessa di origine Māori (Te Atiana, Taranaki), è anche docente universitaria presso la Facoltà di Studi Indigeni e Māori, Università di Waikato. La sua prima pubblicazione si intitola ‘Once were Pacific: Māori connections to Oceania’ (2012); l’autrice sta attualmente conducendo una ricerca su autori indigeni che hanno operato in Nuova Zelanda fra il 1900 e il 1975.
Tayi Tibble, giovanissima poetessa māori (di origine Te Whānau ā Apanui/Ngāti Porou) ha conseguito un Master in scrittura creativa presso l’Università Victoria di Wellington (2017) presso cui ha pubblicato il primo libro di poesia, Poūkahangatus (2018), che le ha avvalso il riconoscimento di Adam Foundation Prize. Le sue poesie affrontano svariati temi, dalla bellezza, all’attivismo, al potere, alla cultura popolare, alla sessualità: con grinta e provocazione.
Tru Paraha, poetessa e coreografa māori (di origine Ngāti Hine, Ngāti Kahu o Tongare) vive a Auckland e collabora con le riviste ‘DANZ Magazine’ e ‘Performance Research Journal’. Alcuni suoi studi su teatro e danza sperimentali (ed esplorazione del concetto del buio) sono usciti nel volume ‘Undisciplining Dance’ mentre diverse sue poesie sono state pubblicate in ‘Puna Wai Korero’ e ‘Poetry New Zealand’.
Kiri Pihana-Wong, poetessa di origine sia māori (Ngāati Ranginui) che cinese ed europea (pākeha), è titolare della piccola casa editrice Anahera Press, Auckland. Le sue poesie sono apparse in numerose riviste e antologie, la prima raccolta poetica, ‘Night Swimming’ è uscita nel 2013, mentre la seconda, ‘Tidelines’, nel 2018.
Michelle Ngamoki, poetessa, scrittrice e ‘cantastorie’ indigena, ha dedicato la propria opera agli effetti del colonialismo e alla speranza di un futuro indigeno. Le sue storie sono apparse in diversi collettivi ed è la cofondatrice di Te Herenga Reo, un collettivo di autori indigeni che ha pubblicato già tre antologie e curato la rappresentazione delle stesse. Ha conseguito un Master in ‘Creative Practice’ e risiede nella terra ancestrale di Tairawhiti. Michelle ha scritto anche recensioni per le arti visive e per il teatro, fra cui, molto interessante, uno studio sull’ultimo lavoro di Nancy Brunning, Witi’s Wāhine (2019).
Dayle Takitimu, poetessa māori, ambientalista e attivista, vive a Gisborne. Ha combattuto in prima linea, portavoce della sua tribù, Te Whānau Apanui, contro la perforazione del suolo oceanico alla ricerca di giacimenti petroliferi, nel bacino di Raukumara, sulla costa orientale dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda. Una poesia rappresentativa di questa protesta si intitola, ‘Ol’ Kaupapa’.
Note biografiche della curatrice:
Antonella Sarti Evans è una traduttrice, scrittrice e insegnante italiana, specializzata in letteratura neozelandese (ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Letterature dei Paesi di Lingua Inglese con tesi dal titolo Shakespeare nel Novecento neozelandese presso l’Università di Roma, La Sapienza, nel 2001). Ha tradotto le selezioni di racconti La Laguna di Janet Frame (Fazi Editore, 1998), La Gente del Cielo di Patricia Grace (L’Argonauta, 2000), Joshua e la Luna di Robin Hyde (L’Argonauta, 2001), il romanzo di Patricia Grace, Potiki (Edizioni Joker, 2017) e il compendio di narrativa, teatro e poesia di Vivienne Plumb, Tutto l’oroche puoi (Edizioni Joker, 2017), inoltre la raccolta di poesie Piccoli Buchi nel Silenzio di Hone Tuwhare (Ensemble, Collana Affluenti, 2018) e il romanzo storico Tu di Patricia Grace (sulle vicende del 28° Battaglione māori e la Liberazione d’Italia, Edizioni Joker, 2019). Il suo primo libro è stato una raccolta di interviste ai maggiori scrittori neozelandesi contemporanei, Spiritcarvers (Rodopi, 1998), è inoltre autrice di una breve storia della letteratura neozelandese dagli anni Cinquanta ai Novanta per l’Enciclopedia Il Milione (De Agostini, 2000) e di un romanzo storico di ambientazione Resistenziale, Dalle Cime al Mare (Edizioni Effigi, 2012). Antonella vive attualmente a Wellington, in Nuova Zelanda, dove collabora con Te Herenga Waka/ Victoria University of Wellington (School of Languages and Cultures) e con il Circolo di Lingua e Cultura Italiana (Società Dante Alighieri).