Matariki, sciame di stelle – poetesse Maori contemporanee AA.VV – a cura di Antonella Sarti Evans (Ensemble Luglio 2020)

Copertina Matariki

Traduzione in italiano da parte di Antonella Sarti Evans, Francesca Benocci e Eleonora Bello

Traduzione in māori di Te Ataahia Hurihanganui e Hēmi Kelly

 

Nota: L’antologia si compone di nove voci di poetesse maori delle quali si riporta la relativa biografia, tutte interessanti e diverse per temi trattati e stile. Nell’articolo sono riportate cinque delle voci presenti nell’antologia rappresentative di diverse espressione poetica.

Bartolomeo Bellanova

 

Dalla introduzione di Antonella Sarti Evans, Francesca Benocci e Eleonora Bello:

Matariki, sciame di stelle, abbiamo scelto di intitolare così  questa selezione di componimenti di poetesse māori contemporanee in traduzione italiana, in omaggio alla raccolta originale principale, tātai whetū. [Abbiamo scelto di apportare il macron sul termine māori, come nella grafia inglese neozelandese e nella lingua māori, invece di mantenere il termine italiano ‘maori’ per precisione e nella speranza che il pubblico italiano possa pronunciare il vocabolo come facciamo in Nuova Zelanda, cioè màori e non maòri].

Tātai whetū significa Costellazione, ma potrebbe essere tradotto anche come “lignaggio/discendenza di stelle”: la discendenza è un concetto molto importante nella cultura māori. il passato riveste un ruolo fondamentale, sta di fronte a noi, ci guida. E naturalmente crediamo che un’altra guida luminosa, per la nostra vita, sia la poesia. Dunque, ecco a voi: una costellazione di poetesse māori contemporanee.

Vogliamo cominciare questa breve introduzione a Matariki, sciame di stelle suggerendo l’affascinante legame fra la poesia māori contemporanea e l’antica tradizione orale in Aotearoa/Nuova Zelanda [Aotearoa è il nome dato dai primi abitanti māori alla Nuova Zelanda e significa Terra della lunga nuvola bianca. I primi spostamenti māori a bordo di canoe risalgono circa al tredicesimo secolo]: i waiata, cioè i canti māori, possono essere considerati, a nostro avviso, uno dei modelli più alti e una squisita fonte di ispirazione di molta poesia indigena, anche se non tutte le poesie selezionate in Matariki sono riconducibili ai waiata, chiaramente.

I waiata rivestono da sempre un ruolo importante nella vita sociale māori in Aotearoa sin dal loro arrivo nella “Terra della lunga nuvola bianca” nel XIII secolo: si tratta di componimenti poetici che appaiono nella forma di canzoni d’amore (waiata aroha), lamenti funebri (waiata tangi), ninnenanne (oriori) e altri canti tradizionali. Sono spesso accompagnati da danza e per la maggior parte sono intonati da donne (waiata wāhine). Anche il kaikaranga, primo grido di benvenuto nel marae (luogo sacro per i māori, comunitario, sede di celebrazioni e di eventi collettivi) ha voce femminile, di una mana wahine (donna saggia e dotata di autorità e prestigio spirituale, sovente anziana). Dalle origini spirituali e di composizione piuttosto complessa, atta anche a favorirne la memorizzazione, i waiata sono canti associati alle divinità femminili, specie quelle della terra, dell’aurora, del piacere e dell’intrattenimento, della musica, ma anche della morte. Rappresentano un mezzo di trasmissione del sapere māori, della storia, della cultura e della lingua; un modo per sentirsi legati, per condividere il sentimento di appartenenza.

Ancora oggi si cantano waiata tradizionali, insieme a nuovi testi che vengono composti per riflettere su tematiche contemporanee, molto spesso con accompagnamento musicale e danza come nel passato.

Il linguaggio dei waiata è molto poetico, ricco di allusioni e di immagini, metaforico, portavoce di una cultura ancestrale caratterizzata in modo esclusivo dalla trasmissione orale fino all’età coloniale (XIX secolo).

Canti attuali, che uniscono presente e passato, sono molte delle poesie di Mary Maringikura Campbell, la prima autrice della nostra raccolta.

Realtà contemporanea e mito sono intrecciati, quasi indistinguibili, in molta poesia māori contemporanea; proseguendo nella tradizione delle donne māori cantastorie di un tempo, molte autrici ribadiscono di essere māori. Questo ci sembra cruciale: riconoscere come propria l’identità e la cultura māori, talvolta indipendentemente dalla propria fisionomia o dalla prima lingua. L’inglese è ormai la lingua più parlata in Nuova Zelanda, ed è stato necessario riappropriarsi di te reo Māori come lingua madre, indebolita a causa di quasi due secoli di politiche coloniali, ma finalmente riconosciuta come lingua ufficiale di Aotearoa/Nuova Zelanda in seguito a lunghe battaglie.

Altra costante di molta poesia indigena neozelandese è il legame con la Madre Terra, Papatūānuku, che si avverte intensamente in molte poesie della nostra raccolta. L’anelito a fondersi con la terra, ma anche con il vento, con il mare, con la luce, con le balene, con gli alberi rende così profondamente indigene queste voci, in sintonia con la credenza māori di essere nati dalla Terra come il fondamento della relazione fra Natura e umanità. È avulso dalla concezione primigenia māori il possesso della terra, alla quale, al contrario, tutte le creature appartengono: siamo figli della Terra. Secondo la mitologia māori della creazione del mondo, Papatūānuku, la madre Terra, diede vita a tutto, dalle piante, agli alberi, all’umanità, fornendo il nutrimento fisico e spirituale della vita stessa e della creatività.

E dalla Terra, secondo il mito māori, si originò la prima donna. Dall’argilla, dalla terra rossa di Kurawaka (nella regione di Hawkes Bay, Isola del Nord): Hineahuone è il suo nome, cioè “l’elemento femminile che viene dal suolo”.

Secondo la concezione animistica della Natura, il legno ospita il prezioso spirito di vita, la forza vitale: mauri in lingua māori (altrimenti tradotto con ‘principio della vita’, ‘essenza vitale’, ‘fonte di emozioni’), che attende di prendere la forma che lo scultore riuscirà a identificare, invitandolo a uscire nel mondo visibile, ad apparire.

Non mancano nell’antologia voci come quella di Tayi Tibble che si interrogano provocatoriamente sul significato di essere un’adolescente e giovane donna māori nella società globale contemporanea. Significa essere notate per il “marrone” della pelle e la peluria corporea; significa frequentare abitualmente la sede locale del Work and Income New Zealand (corrispettivo della Previdenza Sociale); significa dovere accettare riluttanti le attenzioni di un insegnante. Questo e altro come normalità. Non solo, significa per molte vivere lontano dal proprio marae, senza più conoscerne le leggende, le storie, la tradizione.

Eppure, oggi in Nuova Zelanda sempre più si sceglie di essere māori (una scelta non priva di conflitti), e si torna a studiare la cultura indigena, si cerca di comprenderla, di interpretarla, reimparando la lingua dei nonni o dei bisnonni, che era andata progressivamente scomparendo fino agli anni Settanta – per un lungo periodo era stata persino bandita – per poi essere rivitalizzata grazie all’intervento di poeti, scrittori e artisti indigeni (per citare solo i primi, Hone Tuwhare, Patricia Grace, Witi Ihimaera, Ralph Hotere). La poesia, l’arte ma anche il teatro, il cinema hanno restituito vigore e importanza a una cultura troppo preziosa da lasciar scomparire: l’anima neozelandese è oggi sempre più orgogliosamente māori. O almeno questo è il sentimento di molti qui in Nuova Zelanda, una società dalla vasta multiculturalità, nonostante le lunghe ombre del colonialismo britannico ed europeo (pākehā) contribuiscano ancora a creare uno spazio sociale fortemente diseguale, un comprensibile sentimento di inferiorità e un sotterraneo malessere. La ferita del colonialismo è tutt’ora aperta, e nonostante i passi avanti, in Nuova Zelanda i numeri sulla disoccupazione, sulla salute mentale, sull’incarcerazione e sui bassi rendimenti scolastici fra la popolazione indigena restano un triste fatto. Né il razzismo è stato debellato, purtroppo, e i suoi effetti velenosi si avvertono a livello psicologico e di memoria nella poesia dell’ultima generazione.

La conflittualità, il dolore, gli effetti del colonialismo, l’intreccio dell’inglese neozelandese con la lingua māori sono alcuni dei leitmotiv della poesia indigena contemporanea. L’inglese neozelandese corrente è intessuto di frasi e vocaboli māori, e questo è un altro frutto della battaglia per la riconquista della lingua indigena, condotta anche grazie alla letteratura.

 

Mary Maringikura Campbell

Considera questo

Considera questo

prima di gonfiarmi di droghe

sono più di un cervello

un cuore che batte

sono carne e ossa

una pianura fertile

sono i miei Tūpuna(1)

sono un’ariki(2)

sono ieri

oggi e domani

ho un’anima

vedo …

Passa dolcemente perché ho un cane nero

che va e viene

sono una scatola di strumenti da recupero

una strada dissestata

sono tapu(3)

dentro di me c’è Dio

il mio Dio

il meglio di me

sono una madre

una figlia

una sorella

una zia

una nonna

ho due cani e un gatto

e uccelli liberi che volano in cerchio

sono molto più di un cervello

sono un Papa’ā (4) māori

Prima di gonfiarmi di droghe

considera questo, caro Psichiatra!

 

(1) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘avi, in lingua maori.

(2) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘persona di nobili origini’.

(3) Termine di uso comune in inglese neozelandese, significa ‘sacro, proibito.’

(4) Un neozelandese di origini miste europee e maori, di provenienza dalle Isole Cook

 

Passare oltre

 

Passiamo tutti alla fine

non ce ne andiamo

che in un altro spazio

lasciamo solo granelli di polvere

Perché è tutto ciò

che dovremmo lasciare

Nient’altro

che amore

Aroha(1)

e naturalmente

i nostri mokopuna.(2)

 

(1) Amore.

(2) Figli e nipoti

 

=====

 

Maraea Rakuraku & Vana Manasiadis

Introduzione a tātai whetū [rivisitazione poetica del mito della creazione]

Diventare

Lei è il nulla che

diventa spazio che

diventa intervallo che

diventa forma che

diventa stelle che

diventano nebulosa. Parole

diventano frasi che

diventano suoni che

diventano

materia e traccia. Onde luce voce terremoto

acqua

Lei è frizione che sfiora i valichi e i fondali

la cintura d’asteroidi che si agita. Non è atomo

stazionario.

È il punto fisso attorno al quale tutto ruota. È la figura

solitaria,

la folla nel viso. È tutti in una volta e nessuno. È le sette

sorelle:

la sprezzante, l’indignata, l’umile, la servile, il pugno,

il velluto, il guanto. Tesa, si tende, dà vita al nuovo.

Hai visto il suo coro? Hai udito i loro sguardi?

Reclamano

echi. Le lingue uniformano i dittonghi e gridano

abbagliano

inducono si adattano colpiscono leniscono o

sparano le prime sillabe.

Perché è qui dove dimora il silenzio e una gomitata per

farsi spazio può esser letta

come una dichiarazione di violenza. Eppure, è

all’indomani di questo atto che ha luogo

una nascita.

Ma è anche qui dove puoi ascoltare attentamente, c’è un

sussurro

che sembra uno tsunami a spazzar via campi d’erba alta.

Non cercare riparo, canticchiare non t’aiuterà. Il

tempo s’ingrossa

sulle vecchie riserve e sui frangiflutti. L’energia si

sposta. Respiro, pancia, ombelico,

composizione, pianto: non c’è scelta. I campi

devono essere livellati.

Qui sta il calcolo. Gira la testa verso il punto dove la luce

avvampa fulgida.

In lontananza, brilla, immobile. Lei aspetta. La verità.

Non puoi non vederla, il bianco attraverso le

palpebre, spalancate.

L’impulso elettrico. L’inverso gettato contro la

tua pelle. Il tempo.

Né sconosciuta. L’hai afferrata una volta. Il suo battito,

pur irregolare, calma, consola.

Diventando Presenza. Diventando. Adesso.

====

 

Maraea Rakuraku

Quando comincia?

Non è tanto lo sventolare una bandiera, tenere un

cartellone, sapere cosa significa teoria postcoloniale e

quando usarla, imparare citazioni a memoria e allinearle

come

soldati mandati in onde d’urto,

non è tanto l’essere cordiali, rimanere aperti, ascoltare

con imparzialità, valutare con prudenza la propria

motivazione, riscrivere con parole accurate la risposta,

chiedersi

come mai chi ti ha messo con le spalle al muro on-line, a

una festa, al dopo-lavoro o

a una partita di rugby non senta quanto offensiva è ogni

parola che dice e

che potrebbe spezzarti il cuore, con l’intenzio-sità di una

falce che taglia l’erba alta,

non è tanto rendersi conto che una retorica razzista in

paroloni resta

una retorica razzista in paroloni e la fiuti subito in quel

‘non sono

razzista … ma’,

non è tanto riconoscere il privilegio e il diritto bianchi,

esistere in funzione del privilegio e del diritto bianchi,

amare sotto il controllo del privilegio e del diritto

bianchi,

non comincia con l’enorme delusione del cazzo che un

tuo fratello scuro

è peggiore del peggior zoticone che tu abbia incontrato

nella vita,

non comincia lottando per la tua iwi(1), per la tua gente,

la tua cultura, un collega,

un figlio, una figlia, un’amante, una moglie, Koro (2),

nonna, cugini e amici, animali, Papatūānuku o persino

te stessa,

comincia

con il primo passo dai margini dentro il bagliore della

luce

e

tu che apri

la

bocca,

è cominciato

quando è nata l’idea di te e si è innestata

è cominciato

quando è nata l’idea di te e si è innestata

è cominciato

quando è nata l’idea di te

è cominciato

con l’idea di te.

 

(1) Tribù, comunità, nazionalità, gente, razza

(2) Nonno, uomo anziano

 

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Anahera Gildea

Alla ricerca di mana wahine (1)

Pensavo di trovare un carnevale infinito.

Il turbinio di suoni meccanici

la polvere e il giro d’una ruota gigantesca,

chiromanti che leggevano carte e cristalli

elisir di signore che non erano me.

Ma sussurrarono le atua wāhine (2)

vieni ragazza, hine, (3) vieni via

dalla musica di questo sole denso e madido

con i suoi incantatori di serpenti, con il suo fumo.

Appesa al cordame tra un mondo e l’altro

ho sentito il loro karanga, (4) la voce all’alba

secoli di donne che si sollevano

in un wiri (5)  vocale dal motu (6)

a declamare la prima donna,

muscolosa sotto la sabbia

venne la lacerazione cataclismica

il primo sanguinamento.

Al principio non c’era la gente.

Solo acqua costante lungo i suoi fianchi dalla montagna

fino al suolo.

Solo l’arco mostruoso del suo dolore.

Solo lei.

E la prima donna fu creata

dal rosso profondo del suo sangue.

Tu sei lei, testimone. Lei, registratrice di eventi.

Tu, ragazza, dissero le antiche wāhine.

Qui in questo dramma di burlesque

la gente si perde in truffe,

in giochetti corrotti,

di ladri di biancheria e borseggiatori;

le donne, wāhine, possono riportarli a casa

richiamarli a te aho tapu (7)

noi, ragazza, siamo legate per linee

che nessun trucco può spezzare né sciogliere;

se sanguiniamo, non moriamo.

 

(1) In lingua māori, l’espressione ‘mana wahine’ si traduce generalmente con il singolare: ‘donna forte’ (il plurale usa il macron: ‘mana wāhine’), tuttavia, come spiegato dalla poetessa, in questo contesto ‘wahine’ è usato come vocabolo non numerabile, nella sua valenza collettiva: “tutte le mana wahine dell’universo sono una cosa sola…e non dipende dal numero dei partecipanti.”

(2) Antenati illustri femminili.

(3) Ragazza.

(4) Richiamo/invito formale a una cerimonia, nella tradizione maori

(5) Fremito

(6) Luogo distante, separato, remoto

(7) Aho, ‘linea genealogica’ e tapu: sacro/a; te aho tapu significa ‘the sacred thread’, ‘la linea sacra’

 

====

 

Alice Te Punga Somerville

Rākau (1)

Sappiamo che gli scultori inducono qualcosa o qualcuno

che già si trova dentro il legno.

Ne tolgono un pezzetto alla volta, uno a uno, finché non

è pronto.

Sappiamo entrambi che un linguaggio attende sulle mie

labbra.

Per favore, posa la scure, la sega, la lima:

parlami dolcemente sì che possa riconoscere cosa vi si

trova.

No, non scheggiare la carne rosea e le papille gustative:

trasudata e gonfia, soffocherò nel mio stesso sangue

prima che tu abbia finito.

Il legno che stai provando a intagliare è ancora un

albero.

(1) Albero

 

====

 

Tayi Tibble

Vampiri contro Lupi mannari

(estratto)

Credo di rivedermi nella sua figura a fuscello come mi

rivedo

in un ramoscello avvizzito. Biodegradabile, spezzata,

marrone.

Potresti specificare?

 

Il marrone mi ricorda le foglie e

le cartacce dei sausage roll nel bidone.

 

Potresti specificare?

 

Dicevamo “bidone” quando succedeva

qualcosa di brutto o un fatto tragicomico.

Hai lasciato il telefono sull’autobus? Bidone.

Sei stata trattenuta dall’insegnante? Bidone.

Non puoi andare alla festa perché devi guardare

i tuoi fratelli mentre tua madre

è al bingo? Bidone.

Forse intendevamo dire budella

come se qualcuno ci avesse

aperti e svuotati.

 

Potresti specificare?

 

È facile essere visti come il lupo cattivo.

Quattordici anni, timida cronica, anoressica.

Ti induci il vomito con desiderio.

Vuoi solo quella luce pallida della televisione.

Ti fa fare cose diverse dalla tua personalità.

Ti farebbe, se avessi personalità.

Ecco perché le dita finiscono in gola e su per le gonne

e puntano in direzioni sbagliate.

Potresti specificare?

È il ragazzo che ha gridato al lupo

ma al contrario tu gridi pecora

e nessuno crede al tuo belato.

 

Note biografiche delle autrici:

 Mary Maringikura Campbell, poetessa neozelandese dalle origini māori – la famiglia del padre proviene da Tongareva (Cook Islands) – è figlia di poeti: Alistair Te Ariki Campbell e Meg Campbell, tra le voci più squisite della letteratura neozelandese dell’ultimo Novecento. La poesia di Maringikura intesse motivi ancestrali a osservazioni sociali, attuali con apparente semplicità e straordinaria sensibilità. Ha lavorato a lungo come assistente sociale e consulente in centri di salute mentale, e ha fondato la piccola casa editrice Kotaha Press, Porirua, dove è apparsa la sua prima raccolta di poesie, ‘Maringi’ (2016), recentemente incluse nel più ampio volume: ‘Yellow Moon. E Marama Rengarenga. Selected poems by Mary Maringikura Campbell’ (HeadworX, Wellington, 2020).

Maraea Rakuraku, poetessa e drammaturga māori (di origine Tuhoe e Ngāti Kahungunu) è stata la fondatrice di Native Agency Aotearoa, a sostegno della visibilità artistica māori e delle minoranze. Nel 2018 ha iniziato un Master sul teatro māori al femminile presso Victoria University of Wellington, dando voce all’identità māori contemporanea sia in poesia che in scritti e recensioni teatrali.

Anahera Gildea, poetessa e artista māori (di origine Ngāti Raukawa-ki-te-tonga, Ngāti te Rangi, Ngāti Toa Rangatira, Te Ati Awa, Kāi Tahu) ha pubblicato il primo libro-poema, ‘Poroporoaki to the Lord My God: Weaving the Via Dolorosa’ con Seraph Press, Wellington (2016). Innumerevoli sue poesie sono apparse in riviste letterarie e raccolte (tra cui, ‘tātai whetū’, Seraph Press, 2018). Dopo aver conseguito una laurea combinata in  psicologia, didattica e arte drammatica, ha completato un Master in scrittura creativa presso l’Università Victoria di Wellington.

Alice Te Punga Somerville, poetessa di origine Māori (Te Atiana, Taranaki), è anche docente universitaria presso la Facoltà di Studi Indigeni e Māori, Università di Waikato. La sua prima pubblicazione si intitola ‘Once were Pacific: Māori connections to Oceania’ (2012); l’autrice sta attualmente conducendo una ricerca su autori indigeni che hanno operato in Nuova Zelanda fra il 1900 e il 1975.

Tayi Tibble, giovanissima poetessa māori (di origine Te Whānau ā Apanui/Ngāti Porou) ha conseguito un Master in scrittura creativa presso l’Università Victoria di Wellington (2017) presso cui ha pubblicato il primo libro di poesia, Poūkahangatus (2018), che le ha avvalso il riconoscimento di Adam Foundation Prize. Le sue poesie affrontano svariati temi, dalla bellezza, all’attivismo, al potere, alla cultura popolare, alla sessualità: con grinta e provocazione.

Tru Paraha, poetessa e coreografa māori (di origine Ngāti Hine, Ngāti Kahu o Tongare) vive a Auckland e collabora con le riviste ‘DANZ Magazine’ e ‘Performance Research Journal’. Alcuni suoi studi su teatro e danza sperimentali (ed esplorazione del concetto del buio) sono usciti nel volume ‘Undisciplining Dance’ mentre diverse sue poesie sono state pubblicate in ‘Puna Wai Korero’ e ‘Poetry New Zealand’.

 Kiri Pihana-Wong, poetessa di origine sia māori (Ngāati Ranginui) che cinese ed europea (pākeha), è titolare della piccola casa editrice Anahera Press, Auckland. Le sue poesie sono apparse in numerose riviste e antologie, la prima raccolta poetica, ‘Night Swimming’ è uscita nel 2013, mentre la seconda, ‘Tidelines’, nel 2018.

 Michelle Ngamoki, poetessa, scrittrice e ‘cantastorie’ indigena, ha dedicato la propria opera agli effetti del colonialismo e alla speranza di un futuro indigeno. Le sue storie sono apparse in diversi collettivi ed è la cofondatrice di Te Herenga Reo, un collettivo di autori indigeni che ha pubblicato già tre antologie e curato la rappresentazione delle stesse. Ha conseguito un Master in ‘Creative Practice’ e risiede nella terra ancestrale di Tairawhiti. Michelle ha scritto anche recensioni per le arti visive e per il teatro, fra cui, molto interessante, uno studio sull’ultimo lavoro di Nancy Brunning, Witi’s Wāhine (2019).

Dayle Takitimu, poetessa māori, ambientalista e attivista, vive a Gisborne. Ha combattuto in prima linea, portavoce della sua tribù, Te Whānau Apanui, contro la perforazione del suolo oceanico alla ricerca di giacimenti petroliferi, nel bacino di Raukumara, sulla costa orientale dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda. Una poesia rappresentativa di questa protesta si intitola, ‘Ol’ Kaupapa’.

 

Note biografiche della curatrice:

Antonella Sarti Evans è una traduttrice, scrittrice e insegnante italiana, specializzata in letteratura neozelandese (ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Letterature dei Paesi di Lingua Inglese con tesi dal titolo Shakespeare nel Novecento neozelandese presso l’Università di Roma, La Sapienza, nel 2001). Ha tradotto le selezioni di racconti La Laguna di Janet Frame (Fazi Editore, 1998), La Gente del Cielo di Patricia Grace (L’Argonauta, 2000), Joshua e la Luna di Robin Hyde (L’Argonauta, 2001), il romanzo di Patricia Grace, Potiki (Edizioni Joker, 2017) e il compendio di narrativa, teatro e poesia di Vivienne Plumb, Tutto l’oroche puoi (Edizioni Joker, 2017), inoltre la raccolta di poesie Piccoli Buchi nel Silenzio di Hone Tuwhare (Ensemble, Collana Affluenti, 2018) e il romanzo storico Tu di Patricia Grace (sulle vicende del 28° Battaglione māori e la Liberazione d’Italia, Edizioni Joker, 2019). Il suo primo libro è stato una raccolta di interviste ai maggiori scrittori neozelandesi contemporanei, Spiritcarvers (Rodopi, 1998), è inoltre autrice di una breve storia della letteratura neozelandese dagli anni Cinquanta ai Novanta per l’Enciclopedia Il Milione (De Agostini, 2000) e di un romanzo storico di ambientazione Resistenziale, Dalle Cime al Mare (Edizioni Effigi, 2012). Antonella vive attualmente a Wellington, in Nuova Zelanda, dove collabora con Te Herenga Waka/ Victoria University of Wellington (School of Languages and Cultures) e con il Circolo di Lingua e Cultura Italiana (Società Dante Alighieri).

 

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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