In copertina una xilografia di Edoardo Fontana, che dichiara: «L’immagine rappresenta una vestale che brucia fogli di storie mai scritte; le parole si fondono nella piccola coppa retta con la mano destra, bruciano senza fuoco, ma forse il fuoco è nelle sue mani. La sinistra regge un attrezzo che è coltello, serpente, uccello e scettro. Ai piedi è un piccolo bolo d’argilla: il poeta è manipolato e manipolatore».
Mani d’argilla
Sto dalla parte del tempo che passa è lui il viandante
vestito con un abito nuovo coperto di pezze
Mai vorrei tornare indietro non saprei rivivere l’ingenuità della fanciulla senza spalle
e senza seno
Sto dalla parte del tempo che passa a lui concedo di modellarmi
con mani d’argilla
che sanno dove toccarmi
Conto i passi dell’impazienza
su mozziconi schiacciati sotto le suole Il tempo è fermo
sulle rotaie di un treno in ritardo I pugni chiusi stringono l’attesa e il maglione cela il duello
dei padroni della notte
Si contrae il sole ancora invisibile e vince con il primo raggio
la battaglia con il buio È giorno
Creature raffinate
mi possiedono nelle notte senza luna Sono immagini proiettate
sui muri lucidi del silenzio
Libere si nutrono di una calda fantasia Senza pudore si spogliano ai piedi del letto poi si rivestono di sogni
e svaniscono
Sono figlia del vento che asciugava la terra
nei giorni passati a cercare cicale nel grano maturo
Era estate
Sono figlia del vento che asciuga il lamento nei giorni passati a cercare parole
nel taglio del sole È inverno
Il ricordo
una nulla presenza
negli specchi rivolti al mio sguardo mi appare un frammento
Lo vesto lo spoglio
lo lego e lo sciolgo a pilastri di sogni gli dono parole
lo ascolto lo adoro
Poi l’immagine muore nel buio che avanza e il ricordo diventa l’assenza
Gioco d’azzardo con la mia vita punto sul nero degli occhi
e non vinco
punto sul rosso del sangue
e perdo
Gira e gira la ruota
si ferma su numeri senza valore riempie le sacche di falsi denari e ride la sorte
che ha nelle tasche la morte Gioco d’azzardo con la mia vita
punto tutto su quello che sono
e gioco a difendere ogni illusione
Ho il cuore altrove e non importa
se ho le scarpe allacciate troppo strette fatica sento del peso dei passi
ma ne gusto il procedere
Ho il cuore altrove e non importa
se gli occhi si posano su un finto bagliore di quella luce
anche se vana ne colgo l’attimo
Sarà la notte ad illuminarmi
Ho il cuore altrove e non importa
se la vita è un ballo in maschera
Ballo io pure
e mi diverto col nulla
Strisci sul corpo
come un serpente domestico Lenta ricami la pelle
con aghi dalla punta d’ovatta
Bruciamo fogli di storie mai scritte Io cenere e inchiostro
divento tua amante
e amo il tuo assurdo silenzio
Abbracciami e tieni stretta la mia libertà sfiorami prima l’anima
poi la pelle
Respira il mio silenzio senza toccare le labbra
desidero un bacio lungo e appassionato sospeso sulla bocca
Illudimi che sogno Illuditi che mi sveglio
Nell’illusione di esistere siamo reali
A primavera le nuvole bianche
sono angeli che ricamano il cielo Le gemme prigioniere del freddo fanno esplodere fiori dal grembo Il poeta trova nuove parole
le ruba al silenzio degli angeli in volo dai grembi socchiusi raccoglie i colori
li intreccia al ricordo del freddo d’inverno Scrive versi e li dona ai passanti
che amano fiori e parole
Crollano i muri della ragione sulle macerie dell’apparenza
L’esistenza si consuma su scaffali di cosmetici scaduti
dove gioco a truccarmi
Posseggo un equilibrio labile e un sorriso stabile
Vago nella solitudine e cerco
il divenire
L’essenza è come fuoco di sabbia in deserti spopolati
Anche adesso lo sento cadrò
ma senza nessuna ferita nessuna
Ti cercherò ai margini del tuo destino nelle pieghe del mio cammino
Ti cercherò nelle crepe delle mie notti nell’odore della tua assenza
Ti cercherò nel rovescio del cielo scuro nell’eco dei timori
Ti scorgerò dove nasce la pioggia
dove afferra il tramonto la sera
dove spegnerà le sue attese il mistero Parleranno i nostri silenzi
ora che le parole hanno perso il senso E tutte le volte saprò di te
Ingoio rabbia e la penna diventa
una lama affilata
che traccia parole taglienti
su fogli di vergine carta
Divoro paure e la penna diventa
una fionda
che scaglia parole
come pietre di fiume
su pagine chiare
Mi ubriaco di illusione e la penna diventa leggera come piuma d’airone tinge il bianco di un foglio in stupore
Scrivo flussi di vita e
la penna diventa la voce che grida e
con parole d’inchiostro diventa una via d’uscita
Farfadé
Versi diversi
5
Maria Mancino, Mani d’argilla
2019
Plaquette impressa a Imola nel mese di aprile MMXIX,
© Babbomorto Editore, di Antonio Castronuovo
© Maria Mancino per il testo
con caratteri Lucida Bright per la copertina e Palatino Linotype per l’interno
MARIA MANCINO (1965), vive a Imola. È poetessa e narratrice. Scrive poesie fin da bambina.
Incuriosita dalla narrativa ha poi cominciato a scrivere racconti, che ha pubblicato con le case editrici Fernandel, e Negretto. Affronta attraverso una narrazione ironica i significati più profondi dell’esistenza. A fine 2017 pubblica con Babbomorto Editore Uccel di bosco, racconto che narra una vicenda un po’ comica con uno stile talentuoso, e profila significati molto umani.
A giugno del 2018 pubblica con Babbomorto Editore la raccolta poetica Bianco spino e nell’aprile del 2019 con lo stesso editore, pubblica la raccolta poetica Mani d’argilla.
Immagine di copertina: Disegno di Giacomo Cuttone.