8.
(quando tutto questo sarà finito)
mi leggerete ancora
i nomi dei morti?
[I numeri delle bare
prêt-à-porter
come offerte di surgelati
al discount?]
Ditemi che avrete ancora
qualche slide di circostanza
per chi si ammala
per chi guarisce
per chi ancora sta
(colpevole e vittima)
come un becco di seppia
al puzzo dei porti.
7.
È un po’ come
un lutto in estate
quando fuori le cicale
sfregano il sesso al cielo
e gli amici bevono birre
salutando ragazze nuove.
Dentro, invece,
il rumore accecante
dei mattini bianchi.
Un compressore
lasciato acceso,
tra l’encefalo
e il pigiama.
6.
Spesso
in sogno
esco di casa
e in pochi ghirigori
di scale e vicoli
sono in posti mai visti:
vecchie cisterne di rane a pois,
scalinate di cattedrali
per santi improbabili e scugnizzi
e condomini alati
e saline di zuccheri
filati a mano.
Ogni mattino
ricostruisco la mappa
di questa meraviglia.
Ti dico
“ti ci porterò,
vedrai”
Se sarà ancora lì,
se ancora saremo
svegli nel sogno.
5.
Alla fine eravamo noi
il miracolo all’insaputa dei preti,
l’ora mai chiesta
il greto zitto dei fiumi, la fonte
da cui non abbiamo bevuto
il nido non visto, l’umidità
che esce e asciuga,
il declinare
senza edizioni straordinarie.
Alla fine eravamo noi
quel paese abbandonato,
al quale nessuno ritorna.
4.
Dentro di noi,
ogni giorno
fai festa.
Lo annuncia
il tuo vocione recuperato,
lo sferragliare di trapani e bulloni.
Quando tutto questo sarà finito,
i tuoi figli sapranno
accendere il fuoco,
travasare l’olio,
invitare i passanti.
Anche ora
che l’esercito
porta via i morti,
noi ti lasciamo
far festa
dentro di noi.
Solo così,
ancora,
ritorni
e rimani.
3.
Cerco un euro per il carrello
e noto questo barbone
– una pietra sola e luccicante
nel campo arato.
Mi riprometto che gli darò quella moneta,
non appena uscirò dal supermercato.
Quando esco, vedo che
sulla panchina non c’è più nessuno.
È rimasta solo la sua giacca
come un pezzo di cuoio
masticato da un rinoceronte.
Eccolo, si è solo spostato
qualche metro più in là,
occupa un quadrato di sole
contro la saracinesca abbassata
di un fast food.
Non chiede elemosina,
non si trascina come uno zombie
verso di me.
Un barbone che non tende la mano
può essere solo un uomo
che respira l’ora del mattino.
Sorride. Ha gli occhi chiusi. Si gode il primo sole.
Sono carico di buste e mi sento povero.
Non lo disturbo.
2.
I giorni si stanno scaldando.
So che un pesco e un mandorlo
aprono bocche rosa al cielo.
E fuori di qui
le zanzare fanno l’amore
malgrado noi.
1.
Chi mi avrebbe dovuto dire
che l’eroe sarebbe stato
chi restava a casa?
[Chi sarebbe uscito al mattino
nell’aria al neon
per impilare lo stracchino
negli scaffali della Conad]
Chi mi avrebbe dovuto dire
che avrei ballato i Franz Ferdinand
da un vecchio Telefunken
per coprire il rumore del tramonto?
Era il nostro disaster movie
(e avevamo calzini improbabili).
Che bella la vita,
a una vita di distanza.
Biografia:
Lorenzo Pierfelice è un creativo pescarese. Dopo una laurea in Scienze delle Comunicazione all’Università di Roma “La Sapienza”, un dottorato di ricerca in Comunicazione e Relazioni Pubbliche e una breve esperienza di ricerca e docenza in ambito accademico, nel 2003 fonda Kapusons – studio di comunicazione e sviluppo software. Come art director, dà il proprio contributo a importanti progetti di comunicazione digitale sia per aziende private che per istituzioni pubbliche, curandone la comunicazione visuale. Parallelamente all’attività professionale, le sue storie, il suo tratto grafico e la sua cifra stilistica sono condivisi su pagine di carta e di pixel (è illustratore e vignettista satirico). In tutti i suoi lavori, la scrittura resta esercizio quotidiano e radice comune. Nel 2013 pubblica il romanzo Il circo errante dell’equilibrio (Zero91 Edizioni). Blog personale: https://www.kapusons.it/blog/fino-a-qui-tutto-bene.
Immagine di copertina: Dal progetto fotografico di Francesca Bra per la fotogallery del numero.