L’Islam e i diritti delle donne: il nuovo Codice di Famiglia marocchino – Martina Melis

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Quando si deve rappresentare il mondo arabo-islamico, la narrazione che prevale nei media occidentali è quella di un mondo statico, fermo al passato, imprigionato in una religione che impedisce qualsiasi progresso e che nega alle donne ogni diritto. Questa visione appare, per chi abbia una conoscenza un po’ più approfondita della storia e della cultura islamica, se non distorta quantomeno parziale. Infatti, il mondo islamico non è una realtà monolitica e statica come ce la figuriamo in occidente, ma è al contrario una realtà dinamica e diversificata al suo interno che, oggi più che mai, è attraversata da fermenti di rinnovamento e trasformazione. La lotta che le donne dei paesi arabi hanno da tempo intrapreso per rivendicare i loro diritti è un chiaro esempio di questo dinamismo.

In questo senso, il caso del Marocco è esemplificativo: qui i movimenti femministi e la società civile hanno avuto un ruolo fondamentale nel mettere in moto delle dinamiche riformatrici e di rinnovamento che hanno avuto come esito l’approvazione di importanti riforme di genere. La più importante di queste riforme è quella del Codice di Famiglia del 2004, che ha segnato un grande passo avanti nel riconoscimento delle libertà e dei diritti di genere.

Prima di questa riforma era in vigore in Marocco un Codice di Statuto Personale (Mudawwana al-ahwal al-shakhṣiyya) redatto all’indomani dell’indipendenza e basato esclusivamente sul diritto islamico. Questa primo Codice concedeva alle donne diritti limitati e le poneva in una condizione di vulnerabilità. Infatti, mentre un uomo poteva chiedere il divorzio in maniera unilaterale, le possibilità per una donna di chiedere la separazione dal proprio marito erano piuttosto limitate; inoltre una donna necessitava del permesso di un tutore matrimoniale (il wali, solitamente il padre o il fratello della donna) per potersi sposare, aveva l’obbligo di obbedire al marito, il quale poteva prendere altre mogli anche senza l’approvazione della prima.

Dopo una prima modesta riforma nel 1993, le femministe marocchine hanno ottenuto un’importante vittoria nel 2004, quando il Codice è stato estensivamente modificato accogliendo molte delle loro richieste. Il nuovo Codice di Famiglia marocchino (Mudawwana al-ʿUsra) regola le relazioni tra uomini e donne in maniera più equa, ponendo i due coniugi allo stesso livello all’interno della famiglia (almeno da un punto di vista formale), ed è considerato uno dei più avanzati dell’area MENA (Middle East and North Africa).

La principale innovazione del nuovo Codice è l’aver posto la famiglia sotto la responsabilità congiunta di entrambi i coniugi, abolendo l’obbligo di obbedienza della moglie al marito. Le altre innovazioni consistono nell’eliminazione dell’obbligo della tutela matrimoniale per le donne maggiorenni, che possono quindi scegliere di contrarre un matrimonio in maniera autonoma; l’innalzamento dell’età minima matrimoniale a diciotto anni per entrambi gli sposi; l’introduzione di una serie di limitazioni alla poligamia, che è diventata quasi impraticabile, e al ripudio, che non può più avvenire in maniera esclusivamente verbale ma deve seguire una precisa procedura giudiziaria affinché sia considerato legale. Lo scioglimento del matrimonio, comunque, può avvenire anche su iniziativa della moglie, la quale può ricorrere al divorzio giudiziario in un’ampia serie di casi.

Per capire appieno il significato e l’importanza di questa riforma bisogna tenere presente che le norme del diritto di famiglia (cioè quelle relative al matrimonio, al divorzio, alla filiazione, alla capacità giuridica delle persone, ai testamenti e alle successioni), per la loro diretta origine coranica, sono considerate norme sacre, di origine divina (in quanto il Corano è considerato dai musulmani parola di Dio), e perciò immutabili. Per questo motivo, mentre per altri settori, come il diritto civile e commerciale, i paesi islamici si sono dotati di una legislazione moderna sul modello europeo, il diritto di famiglia ha sempre resistito a ogni tentativo di modernizzazione. Questo spiega anche perché, le leggi del diritto di famiglia non sono incluse all’interno dei codici civili, come avviene nel diritto occidentale, ma sono raccolte all’interno di codici separati, che prendono generalmente il nome di Statuto Personale (al-ahwal al-shakhṣiyya).

La riforma del diritto di famiglia marocchino è il frutto di un lungo e faticoso processo di negoziazione e confronto tra forze secolari e islamiste. Queste due opposte visioni della società sono riuscite a trovare un compromesso e a stabilire un equilibrio tra modernità e tradizione, realizzando un codice che riesce a garantire i diritti delle donne nel rispetto dell’Islam. Esso non è quindi un codice secolare come quello adottato dalla Tunisia, poiché il diritto islamico continua a essere la sua struttura portante. Tuttavia, esso propone un modello di famiglia più adatto ai cambiamenti in atto nella moderna società marocchina. D’altronde, l’adozione di un codice puramente secolare e in aperto contrasto con i principi religiosi avrebbe portato scarsi risultati, poiché sarebbe stato percepito come un prodotto estraneo alla cultura locale e quindi rifiutato. Ciò che ha reso possibile il cambiamento è stato l’inserimento della riforma all’interno di una cornice islamica tramite il ricorso all’ijtihad, ossia lo sforzo ermeneutico nell’interpretazione delle fonti del diritto islamico, che ha permesso una lettura nuova e più moderna dei testi sacri dell’Islam.

Lo stesso re Mohammed VI, che era salito al trono nel 1999, aveva invitato la commissione incaricata di redigere il nuovo Codice di Famiglia a “ispirarsi ai disegni dell’Islam tollerante” ma allo stesso tempo aveva affermato: “non posso autorizzare ciò che Dio ha proibito, né vietare ciò che Egli ha autorizzato”, sottolineando quindi come la riforma dovesse comunque garantire il rispetto formale dei principi sciaraitici. Infatti, alcuni istituti coranici palesemente discriminatori verso la donna, come il ripudio e la poligamia, anche se fortemente limitati nella pratica, non vengono aboliti formalmente, come era stato inizialmente chiesto dai movimenti femministi. Inoltre, permane anche la disparità tra uomini e donne nel diritto successorio. Tutte queste pratiche, essendo esplicitamente previste all’interno del Corano, sono particolarmente difficili da abolire in un paese in cui i principi religiosi sono saldamente radicati nella cultura e nella mentalità della popolazione e l’Islam è riconosciuto come religione ufficiale dello stato nella costituzione.

Nonostante i miglioramenti introdotti con la riforma del 2004, il cammino verso una totale parità di genere in Marocco non può ancora dirsi concluso; rimangono molti ostacoli all’implementazione dei diritti delle donne come l’analfabetismo e la povertà, che colpiscono soprattutto le donne delle aree rurali, in cui sono ancora diffuse molte tradizioni patriarcali. Inoltre, la nuova legislazione è ancora poco conosciuta nelle zone rurali più marginalizzate e viene spesso disattesa dagli stessi tribunali che dovrebbero applicarla.

Marisa Iannucci, riportando il pensiero di Asma Lamrabet, una delle principali esponenti del movimento femminista marocchino, riguardo alla riforma del diritto di famiglia in Marocco, scrive che:

Il codice di famiglia pare davvero l’ultimo bastione del patriarcato nei paesi musulmani, il più difficile da espugnare perché in esso si fa risiedere l’“identità” islamica e il sentimento anticolonialista, la resistenza alla globalizzazione dei valori e dei diritti in chiave “universalmente” occidentale.

Questo spiega perché per ottenere la riforma del Codice di Statuto Personale è stato necessario che il movimento femminista, nato come un movimento laico spesso vicino ai partiti d’opposizione, cambiasse la sua strategia, eccessivamente basata sul modello universalista occidentale. Le attiviste per i diritti delle donne compresero che né i partiti islamisti né la società civile avrebbero accettato una riforma che mancasse di qualsiasi riferimento all’Islam e che fosse ispirata esclusivamente ai diritti umani universali, perciò decisero di integrare progressivamente la religione nei loro discorsi.

Questo cambiamento è avvenuto anche in conseguenza dello sviluppo, sia nei paesi musulmani che occidentali, di un nuovo paradigma di femminismo che concilia l’Islam con la parità di genere: il femminismo islamico. Le esponenti di questo movimento, molto variegato al suo interno, tramite lo sforzo esegetico dell’ijtihad, hanno prodotto nuove interpretazioni dei testi sacri, con l’obiettivo di riportare alla luce il reale messaggio coranico di uguaglianza fra tutti gli esseri umani, distorto da secoli e secoli di dominio maschile sull’esegesi coranica.

L’esperienza marocchina è un esempio di come i diritti delle donne possano essere conciliati con l’Islam e di come le rappresentazioni semplicistiche delle donne musulmane e del mondo arabo-islamico che vengono spesso proposte dai media occidentali siano del tutto prive di fondamento. Inoltre, le femministe marocchine hanno dimostrato che il vero ostacolo verso la parità di genere non è l’Islam in sé ma le interpretazioni patriarcali che di esso sono state fatte nel corso di vari secoli.

Non esiste un unico paradigma di femminismo o una sola strada verso l’emancipazione femminile. Donne provenienti da culture diverse devono affrontare problemi diversi. Per questo non è possibile esportare ovunque il modello occidentale di femminismo, che potrebbe non essere adatto a certi contesti politici e culturali. Nei paesi con una forte tradizione islamica la strada verso l’uguaglianza di genere potrebbe essere l’Islam, come ci dimostrano le esperienze di tante femministe marocchine e non solo.

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Martina Melis (Cagliari, 1996): in seguito al conseguimento della laurea triennale in Lingue, mercati e culture dell’Asia presso l’Università di Bologna ha deciso di proseguire i suoi studi Venezia, dove attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Lingue, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea (curriculum Lingua, politica e economia dei Paesi Arabi). Appassionata del mondo islamico e della lingua araba, si è recentemente interessata al tema delle riforme di genere in Marocco, argomento su cui ha scritto la tesi di laurea.

Immagine in evidenza: Collage di Basseck Mankabu.

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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