Per gentile concessione dell’autore, ripreso da
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L’universo della comunità dei Poeti in ottava rima ai tempi della Miniera di Zolfo di Cabernardi, dagli anni ‘20 agli anni ‘70, in un territorio a cavallo fra Marche e Umbria, rappresenta l’ultima generazione che visse una rivoluzione tecnologica, dei costumi e della conoscenza senza precedenti e che, vista con gli occhi di oggi, appare anche l’ultima che avesse la propria forma mentis plasmata nell’esprimere e confrontare il proprio pensiero attraverso queste forme d’improvvisazione poetica.
L’ottava rima è una delle forma d’improvvisazione poetica più comune nell’Appennino Centrale e non solo, oggi sopravvissuta culturalmente in forme marginali in Toscana, in parti della Maremma Laziale e i Monti della Laga.
L’Ottava Rima divenne epica e popolare grazie alla sua musicalità, ma anche perché resa immortale dai poemi cavallereschi del Tasso, Boiardo e Ariosto, concepiti nel XVI sec. alla corte Estense di Ferrara; forma poetica che conobbe ampia fortuna come metro di sfida nelle campagne sotto forma di rispetti e dispetti, sia la narrazione dei fatti, sia per la trasposizione di poemi epici e storie, non solo in Italia, ma anche in Inghilterra, fino alla fine dell’800 e in Spagna con l’Octava Reale.
La memoria degli ultimi poeti in ottava rima dell’area dell’Appennino fra Marche e Umbria è stata recuperata e valorizzata a partire dalla fine degli anni ‘90 dalle ricerche condotte dal Comitato Cristalli nella Nebbia di Pontelagoscuro, con la supervisione del Prof. Gianpaolo Borghi (MAF di Ferrara) e dei testimoni dei tempi della Miniera come Guido Guidarelli.
Queste pubblicazioni fanno riferimento ai principali poeti vissuti a Rotondo (fraz. di Sassoferrato) nel ‘900 come Oreste Crescentini, suo fratello Natale Crescentini ed altri come Terzoni, Mariano Blasi Toccaceli, Ottorino Chiocchi.
Inoltre, dal 2012, una raccolta curata Graziano Ligi “Poeti Contadini in Ottava Rima dell’Appennino Umbro-Marchigiano” (2012) ha esteso la ricerca dei Poeti alla seconda metà dell’ottocento e razionalizzato il quadro dei poeti più celebri di quei territori, includendo poeti come Giambattista Carbonelli, Ubaldo Santarelli detto “Capoccione”, Pietro Petrucci, Angelo Gregori, Enrico Argentini ed altri vissuti a cavallo fra le Marche e l’area umbra di Scheggia-Pascelupo, delineando un orizzonte più ampio dell’uso dell’ottava rima
“che ancora oggi ritornano nei più anziani non appena si parla di sàtrie o di poesia. Certo il poetare era un’attività più che secondaria, un divertimento da festa, ma si può ipotizzare che investisse molto più tempo di quanto era dato a vedere: durante il lavoro nei campi, nelle macchie o quando si portavano a pascolare le greggi erano molti i pensieri dedicati alla poesia.
In questo tempo, una volta individuato l’argomento, si strutturavano le ottave, poi tornati a casa, venivano trascritte. Giorno dopo giorno, prendeva forma la composizione, in una lenta e silenziosa costruzione, così come costruisce la natura. Poi, nella giusta occasione, se ne dava udienza. Si cantava nelle osterie, nelle feste patronali, fino ad arrivare alle campagne romane, luogo delle migrazioni stagionali.”[1]
Come riportato dalle numerose ricerche sull’emigrazione del territorio Sassoferratese[2], la chiusura della Miniera di zolfo di Cabernardi, dal 1952 al 1959, rappresentò uno shock demografico, sociale ed economico, che portò oltre al quasi dimezzamento della popolazione locale in pochi anni, anche alla creazione ad una narrazione mitica di tali eventi e del tempo passato.
L’emigrazione portò alla partenza di larga parte della forza lavoro, in primo luogo verso Ferrara, con la fondazione del “Villaggio Marchigiano” di Pontelagoscuro, ma anche verso altri siti minerari: Montecatini in Toscana, in Sicilia, all’Elba, in Trentino.
Sorte più amara, che portò al licenziamento degli operai che parteciparono alla Lotta Sindacale, conosciuta come la lotta dei “Sepolti Vivi”[3], toccò a coloro che furono costretti ad emigrare verso altri luoghi e ad un ricollocamento più difficoltoso.
Lo stesso Oreste Crescentini, che dalla metà degli anni ‘50 emigrò in Canada, scrisse, nella lettera “All’amico Francesco Mariano” (1961).
11
Ma guarda Toccacel com’è finita
Quella gentaglia e non farti illusioni
Che se in altra zona venne trasferita
È andata incontro alle tribolazioni.
Perché una volta vinta la partita
Severi so ritornati i padroni
E gli da una paga che fa quasi pena
Se mangia a pranzo non ci può far cena!
12
Peggio del can legato alla catena
Sono trattati e sotto disciplina
E con l’ammoniaca il sangue si avvelena
E i fosfati che a Ferrara si raffina.
Forse quando ci pugnalò alla schiena
Fra se pensava tal gente meschina
Che come premio del suo tradimento
Avesse ottenuto un miglior trattamento!
13
In Sicilia non spira miglior vento
E i trasferiti sono disagiati
E oltre che allo scarso pagamento
Sono in certo qualmodo minacciati
Dagli isolani, e se non stanno attenti
Corrono il rischio d’essere ammazzati;
Chi tradisce laggiú la paga cara
Viene abbattuto a colpi di “lupara”
14
Sorte direi un pochetto meno avara
Toccata è a quei dell’isola del Giglio
E di Massa Marittima e Carrara
E d’Isola d’Elba l’Isola di esilio…
Ma anche per questi la vita è assai amara
Esposti sono a un micidial periglio
Perché a furia d’aspirare la perite
Gli forma nei polmoni le ferite
15
Vedi dunque Francesco che punite
Venute sono l’avversarie genti
Quelle cioè che abbandonò la lite
Ossia la lotta e andò coi dirigenti.
Le lor tribolazion non sono finite
E l’eco giunge a me dei lor tormenti
Dice un proverbio antico e indovinato
Che ognun raccoglie quel che ha seminato
16
Da parte mia ciascuno ho perdonato
Anche se mi costringe a fuggir via
Dal paesello dove sono nato
E cresciuto in mezzo e fra i compagni mia
Sebbene, sia sovente tormentato
Dai miei malanni e tanta nostalgia
Ringrazio sempre l’alto onnipotente
Che la mia famiglia sta discretamente
I poeti furono dunque, parte attiva nella lotta operaia e nella sua successiva ricostruzione e narrazione dei fatti, passando anche e soprattutto attraverso la ricostruzione degli ambienti delle Osterie, degli altri luoghi della Miniera e i suoi personaggi, tramite le numerose corrispondenze epistolari e altri componimenti ricostruiti a partire dai testimoni, quaderni e diari privati in cui vennero trascritte parte delle ottave e delle quartine o liriche improvvisate, oltre ai motti e altri accadimenti degni di nota e memoria.
Inizia infatti la serie di ottave, sempre di Oreste Crescentini, in “Ai Miei Amici” (1957):
Quando alla sera da Moregi[4] andate
A bere un mezzo litro in compagnia
Non so se più di me vi ricordate
E se lasciate a me la parte mia
Voglio sperar che non dimenticate
A chi si muore dalla nostalgia
Tanto vedo che Emma[5] con premura,
Ogni tanto vi riempe la misura.
E’ in questo momento, dunque, nell’instaurarsi di questi scambi epistolari, che può essere riconosciuto il passaggio in cui la tradizione orale dell’ottava rima di questi territori, come forma di dialogo aperto fra i poeti improvvisatori e gli altri avventori, con le storie e i personaggi del territorio inizia a trovare nella scrittura la sua forma espressiva compiuta e storica.
A testimoniarlo, lo scambio epistolare degli anni ‘60 fra Oreste Crescentini e Francesco Blasi Toccaceli, ma anche altre composizioni prodotte negli anni fra i poeti.
Dunque, la storia dell’Ottava Rima nel territorio del Catria, del Monte Cucco e dello Strega è stata riletta, nel lavoro del Lottava Rima, curata dall’autore di questo articolo, come ultimo lavoro di riproposta proposto per il repertorio di questa generazione di Poeti, intimamente legata alla storia della Miniera di Cabernardi, in una chiave musicale e narrativa dei luoghi.
Questo lavoro parte dal riconoscimento delle osterie storiche e del convivio come forma centrale della rappresentazione della poesia e musica spontanea, innestandosi, dal 2016, in primo luogo, come momenti di riscoperta del repertorio in forma di spettacolo site-specific, durante la festa che, da oltre trent’anni, viene celebrata regolarmente nella Frazione Rotondo di Sassoferrato il 14 Agosto e durante il successivo pranzo comunitario di Ferragosto, durante il quale rivive invece l’improvvisazione poetica su canti e stornelli.
Chiamati a partecipare a questi piccoli raduni, sono stati suonatori e poeti che attualmente portano forme di musica tradizionale nella regione e che ancora praticano la poesia all’improvviso, oltre che dell’Ottava Rima.
Fra gli interpreti delle poesie hanno lasciato traccia della loro partecipazione in questo lavoro di riproposta un gruppo di testimoni dei tempi della Miniera, come Guido Guidarelli, Guerrino Guerra e giovani della terza generazione come Agnese Gardenghi, Cecilia e Francesco Pradarelli, Alexandre Cinti. Altro gruppo d’interpreti sono all’esperienza e partecipazione al Teatro Comunitario di Pontelagoscuro come Roberto Agnelli, Graziano Pavani, Sonia Fiorentini, Fofana Cheikhouba, Pathe Ba, Alhssane Diallo, Dian Diallo, Kemo Ceesaay.
Ad essi si sono uniti dall’altra i portatori della tradizione marchigiana, interpreti e ricercatori della tradizione poetica e musicale come Graziano Ligi, critico e autore; da Mauro Mazzarantani, storica voce de Lu Trainanà, Andrea Liberati, stornellatore improvvisatore della zona di Camerino e Città reale, Gianni Donnini e Alfio Vernuccio e altri maestri musicisti come Danilo Donninelli, Alessandro Piccioni, Margherita Valli, Claudia Gentili, Tommaso Brasca, Erik Vitali, Marco Mitillo.
Valentina Antonini, Armando Magli, Erica Mogetta, Debora Rim Moiso, Elisabetta Giri, Roberto Leonardi, Clarissa Coppari, Ines Carlucci, Thomas Bertuccioli, Gianluca Gioia, Jessica Artuso, Simone Morotti, Marco Giovani, Raffaella Rufo, Marco Betti (Associazione Lentopede, Stefano Fabbroni ed altri.
Tale forma di riproposta ha riaperto il dialogo, a dire il vero mai interrotto del tutto, fra la comunità e i suoi poeti come fonte del proprio mito cosmogonico, all’indomani della diaspora a seguito della chiusura della Miniera di Zolfo.
Le osterie storiche ai tempi della Miniera di Zolfo di Cabernardi
Durante gli anni della Miniera erano attive molte osterie e locande che servivano i tanti abitanti della zona mineraria di Sassoferrato.
La rivalità bonaria e la frequentazione dei poeti in ottava rima e nella musica e nella danza è testimoniata da memorie come “inizia ora il duello fra il moretto e pierospello”, che intendeva l’Osteria di Radicosa e quella della Sementana, frazioni del Comune di Sassoferrato.
Il canto al tavolo, ovvero il canto spontaneo e partecipato come momento motore del riconoscimento di un passato ancora presente e vivo.
Fra le osterie storiche si ricordano
- Rotondo ( – osteria di Giuseppe Moregi – ),
- Sementana (- osteria di Pietro Ridolfi detto “Pierospelo” o Picciappone -),
- Radicosa (- Osteria “del Moretto” -)
- Percozzone (- osterie di Quaresima e Temperini -)
- Cabernardi (- osteria di Santina Lella -)
- Catobagli (- osteria di Bruno Varani detto Malatesta e Argentati -),
- Morello (- osteria di Pencello -),
- Leccia (- osteria di Rocconi -),
- Monterosso (- osteria della Stazione -),
- Caudino (- osteria di Consalvo -)
- Palazzo (- osteria Parisa -).
In questo momento di ritrovo, durante la festa del 14 Agosto, durante il quale buona parte della seconda e terza generazione emigrata, ritorna nei luoghi natii, a partire dal 2016, nuovi poeti e suonatori Umbri e Marchigiani, ricercatori della musica tradizionale, sono stati chiamati per vestire le parole dei poeti con melodie, in una forma di spettacolo di teatro musicale, di improvvisazione e ballo.
Le poesie e le parole dei poeti del “Triangolo Cacustre”[6] sono quindi progressivamente reinterpretate a più mani e attraverso le canzoni in una forma di canzone e teatro di narrazione.
L’attenzione, fra tutte le osterie sopra citate, si è concentrata su l’osteria di Moregi di Rotondo, che fu fra le più attive, non solo per la conservazione della Memoria poetica, ma anche musicale.
Il suo fondatore, infatti, Giuseppe Moregi, di cui quest’anno ricorre il 90° anniversario del ritorno dall’America, celebrato nell’evento dedicato dal FAI nelle Giornate di Primavera 2019, fu anche suonatore di clarino e insieme a gruppi spontanei animò per anni la vita della frazione e di quelle vicine, nelle numerose feste a ballo e occasioni di convivialità.[7]
L’emigrazione di Giuseppe Moregi in America, dal 1924 al 1929, come operaio minerario nella miniera di Scranton in (Pennsylvania) delinea un quadro di una comunità Mineraria aperta e fluida, in continuo movimento.
Il lavoro minerario, duro, ma anche ottimamente retribuito, ha creato negli anni una forza lavoro estremamente avanzata per competenze e cosmopolita.
Il collegamento con l’emigrazione americana è testimoniato anche dal rapporto del territorio con la comunità americana, basti pensare al gemellaggio della vicina Gubbio con la comunità di Scranton (Lakawanna).
Tale traccia inoltre, è evidenziata dagli inglesismi presenti nei testi come “smarte” da “smart” e altri disseminati e rintracciabili nei testi.
Riportiamo dunque parte del repertorio pubblicato e in parte ancora inedito che descrive
Ai Miei Amici
Una serie di 42 ottave, composta nel 1957, ripercorre e ricostruisce la vista dell’osteria di Rotondo e i suoi personaggi e avventori.
E’ un sogno in cui, dal Canada, Oreste Crescentini, anima una discussione nell’Osteria di Moregi. Nelle ultime strofe, invece Crescentini descrive la sua condizione di emigrato, citando le difficoltà di ambientamento e la famiglia.
Oltre al già citato Giuseppe Moregi, nominato come il Gianni o Scranton, vengono citati Emma ed “Elza”, moglie e figlia di Giuseppe Moregi, “Truma”, Baldo, Menco di Pasquini, “Scelba”, “Perella”, “Calzolaio”, “Ranfia”, “Carogna”, “Ferdinando”, Savelli, “Furbetta”, “Grillo” “Mazzarino”.
Fra i passaggi più significativi possiamo ricordare le Ottave dalla 26 al 31, durante le quali Emma chiude dell’osteria, cacciando gli ultimi avventori che tiravano fino a tardi.
Nel lavoro de Lottava Rima esso è stato rappresentato in forma di canto e recitazione sulla scia delle forme di “Bruscello”[8] toscano.
26
La discussione procedéa normale
E nessun pensava di pigliar la porta
Allora Emma come al naturale
Disse, andiamo a dormi’ so’ stracca morta!
Chi vuol far soldi disse lo zenzale
Bisogna qualche cosa che sopporta
Tante volte anche Baldo è stracco morto
Eppure zappa il campo e vanga l’orto
27
Ma dico: Baldo non vi siete accorto
Che è mezzanotte e bisogna andar via?
Un pezzo ciò pazienza e vi sopporto
Ma dopo le “madonne” a me mi pia!
È inutile che voi guardate storto
Disse rivolta lí alla compagnia
Dei vostri soldi me ne frega un corno
Quando devo sta in piedi fino a giorno
28
Domattina alle cinque attacco il forno
È tardi e quindi d’andar via v’ho detto
Te pure “Truma” là non far lo storno
Che sembra stai facendo per dispetto
Il Gianni giostrato aveva al giorno
Era un po’ stanco ed era andato a letto
Chiamando ad Emma disse: ma che fanno
Come la sera del primo dell’anno?!
29
Infatti un tale già facéa il capanno 11
E dalle mano gli cascò il bicchiere
Spero i lettori non pretenderanno
Ch’io lo presenti e lo facci vedere!
Emma che cominciava a veder danno
Gli prese le madonne quelle vere
Disse, mannaggia a la… e finí in dindirindio
Andate fuori o vi ci mando io?
30
Ma per quel Dio di coccio per quel Dio
Non dico quando ricorre le feste,
A straviziare un po’ l’ammetto anch’io
Ma no, dico, alle sere come queste!
Pensar che tante volte maledío
E spesso spesso la prendeo co’ Oreste
Che mi facéa far tardi e non capivo
Che invece piú di voi era comprensivo!
31
Io che, s’intende, ogni cosa sentivo
Gli avrei voluto dir, non mi lodare
Che forse io pure quando qui venivo
Per andar fuori mi facéo pregare
Ma lo scopo principal per cui insistivo
Non era solo per bere o per giocare
Ma per trascor l’ore in compagnia
Fugando dalla testa i pensier mia
In risposta All’amico Francesco Mariano Blasi Toccaceli
E’ la prima risposta epistolare a Francesco Mariano Blasi Toccaceli, tratta da una serie di corrispondenze fra Oreste Crescentini e Toccaceli stesso. La corrispondenza è iniziata nel 1965 e terminata nel 1966. Tema centrale del dibattito poetico è la riflessione politico-sindacale scaturita dall’occupazione della miniera di Cabernardi, avvenuta nel 1952 (la miniera chiuse definitivamente nel 1959).
Vengono analizzate le pesanti conseguenze della sconfitta subita dai minatori occupanti, che dovettero trovare un nuovo lavoro e in molti casi emigrare, come fece lo stesso Crescentini. Nella forma di riproposta de Lottava Rima essa è riproposta in forma di ottava cantata.
Si riportano alcune delle strofe che descrivono parte della lotta e della scissione del fronte operaio.
6
Ma se le tue parole è intenzionate
Ovver si trova sulla convinzione,
Allora ci vorrebbe due legnate
Tra capo e collo oppure sul groppone.
Alludo alle tue frasi incriminate
Che mi scrivesti senza riflessione
E perché tu dica con convincimento
Ch’io fui l’autor del tuo licenziamento
7
Scusa Francesco se un po’ mi risento
Usando verso te parole dure
Ma se in certo qualmodo mi lamento
Credo giustificar si possa pure.
Sembra ch’io t’abbia ordito un tradimento
Togliendo il pane alle tue creature
Come s’io fossi un uomo senza cuore
Infame fraudolente e traditore!
8
Pensar questo di me gli è un grande errore
Che sol commettere può chi non ragiona
Ma io smentire so senza timore
Chi cerca incriminare la mia persona.
Nella battaglia mostrai il mio valore
Ed attestar lo può l’intera zona
E feci fino in fondo il mio dovere
Sia da compagno che da Consigliere
9
Se a un certo punto fra le nostre schiere
A creare si venne una scissione
E molti abbandonò le lor trincere
Passando dalla parte del padrone,
Questo il motivo fu devi sapere
Che approfittò il padron dell’occasione,
E proprio a causa di questa canaglia 1
Perdemmo in parte la nostra battaglia
10
Se fummo licenziati a centinaia
E come roba vecchia via gettati
Ripeto causa fu della marmaglia
E non della Commisione o i sindacati.
S’io avessi avuto in mano una mitraglia
Voltata l’avrei verso i rinnegati
E avrei fatto di lor piazza pulita
A prezzo e costo della propria vita
Il video di parte di questa lirica, rappresentata a Cantarino per la X giornata delle Miniere (evento ISPRA) e interpretato da Andrea Liberati
Il Papa di Camazzocchi
Il lavoro di raccolta del materiale del Crescentini è stato svolto da Guido Guidarelli Mattioli a cui si devono anche molte trascrizioni a computer. Al lascito si aggiungono alcune opere di Francesco Mariano Toccaceli, don Salvatore Scassellati e Cesare Terzoni (con i quali il Crescentini tenne corrispondenze epistolari) nonché di Natale Crescentini. Il confronto diretto con gran parte dei documenti catalogati è stato per noi possibile grazie al materiale ricevuto nell’agosto 2011 da Orfeo Crescentini a Guido Guidarelli Mattioli stesso.
Il Papa di Camazzocchi o meglio, “Racconto di un sogno e per conoscenza del (Papa) di Camazzocchi” è una poesia in quartine datata Maggio 1960 e narra il ritorno a Rotondo di Crescentini e la sua ricerca di un Papa di Camazzocchi.
Camazzocchi è una delle frazioni e case sparse di Sassoferrato, attualmente scomparsa per una serie di frane successive che ne decretarono il totale e definitivo abbandono.
Il Papa, o Papà, di Camazzocchi è un personaggio, avventore d’osteria, ormai ritirato della vita pubblica, ma con un passato di giocatore di carte e morra particolarmente attivo (probabilmente una proiezione del poeta stesso). Dalla sua memoria vengono estratti profili giocosi, piatti e usanze degli anni ‘50. Esso è il Papa e sovrano di un paese che non esiste più, perfetta metafora di un mondo scomparso nelle forme, ma che ancora presente nei riti della memoria. Nel lavoro di riproposta è stato musicato e ricantato nelle diverse melodie del Cantamaggio Marchigiano.
Ed ora dimmi; cosa fa “Gambino”?
Oh, quello Oreste è sempre un biricchino…
specialmente quando a morra gioca
ha una gran “pantumina” e molta voca.…
Infatti, è bravo ma dico non tanto
da riportar completamente il vanto,
perche so che da te e da suo cugino,
Lui l’ha imparato quanto costa il vino.…
e le partite che lui v’ha fregato
son molte men di quelle ch’ha pagato.
Ma no parliamo di lui, dimmi piuttosto,
come va in Canada, ti piace il posto?
Sappi non ce paese amico mio,
che bello sia come quello natio!
Sicche per sempre tu sei ritornato
a vivere i tuoi giorni ove sei nato?
No, caro mio Luigi; solamente
sono tornato a salutà i parente
perche se mi va bene e avrò fortuna,
il primo d’agosto parto per la luna!!!
e siccome di tornar non si è sicuri
salutare voglio ognun caro Venturi.
Dato che a Camazzocchi oggi qui sono
sai dirmi se ce più un certo colono..?
che appunto fra voi prese residenza
già molto prima della mia partenza?
E’ un tipo un po’ tarchiato e molto astuto
ma non so da che parte sia venuto.
Quantunque a fondo io non lo conosco
non mi pare proprio che venga dal bosco.
Anzi più volte ci giocai alle carte,
e posso dirti che conosce ogn’arte.…
ma il nome suo mi sfugge ma mo pare
che con la P. cominci… ma vattelo a pescare.
Ma tu disse Luigi, se indovino
parli d’un certo “papa” contadino?
che del paese sta qua fuor di mano
presso la casa del fattor Fiorano?
si, proprio quello! adesso mi ricordo,
che da un’orecchio spesse volte è sordo!…
Se poi si tratta di andare in cantina,
ti guarda in faccia e fa una risatina,
e poi dice; scusate buona gente,
ma da sta parte non ci sento niente.…
Spero l’udito so sarà curato
durante il tempo ch’io sono mancato?
Io son disse Luigi del parere,
che quello è un papa sordo di mestiere
E che cosa fa dove potrei trovarlo
domando, sai, vorrebbe salutarlo.
Questa mattina verso colazione,
stava nel campo a vangare un filone
ma adesso dirti non saprei ove sia,
ma ti consiglio di cambiare via,
perche da quando il posto gli ha soffiato
Papa Roncalli, – contadino nato, –
è tristo e se gli parli si allontana
e a volte, salvo ognun pare satana.…
Rimasto è come dire tanto male,
che non l’ha fatto neanche Cardinale!…
Noi abbiam pensato che per Camazzocchi,
sarebbe un frate lui fatto coi fiocchi,
tanto più che abbiamo la chiesola,
ma lui non vuol sentir neppure una parola.
Se glie ne parli dice – per S. Pietro,
vorreste voi ch’io tornassi all’indietro?
A questo no per Dio, farò il colono,
ma papa resto anche se non ho il trono.
(O Nazareno, tu non ti crucciare
e di porpora vestir non ti curare,
che molti preti, papi e cardinali,
secondo Dante son finiti mali)
Sapere devi tu che il sacro manto,
è d’oro si ma pesa pesa tanto.…
e chi l’indossa gli curva le spalle
e per forte e grosso pure ch’è Roncalle
già si conosce che un’accennatina
subito ha dalle spalle a mezza schina.…
Continua dunque a fare il contadino
e produci fieno l’orzo grano e vino
patate, rape foglie e cavol fiori;
cipolle, ravanelle e pomodori.
Pur l’insalata non ti farà male,
facilita il sistema intestinale.
Il rimboschimento del Monte del Doglio
Cantiere di rimboschimento del monte del Doglio, di Oreste Crescentini, fu composta in 22 Ottave nel 1954 poco dopo essere emigrato in Canada. Il contesto descritto è quello dei lavori di rimboschimento del monte del Doglio iniziati nel 1948 e finanziati dalla Montecatini come forma di risanamento ambientale per i danni causati dall’esalazione degli ossidi di Zolfo, che rendevano il territorio circostante la Miniera di fatto inutilizzabile e completamente bruciato dai fumi della miniera.
4
È l’alba e col cronometro alla mano
Palazzi, come capo del cantiere
Dà un urlo che selvaggio è, piú che umano,
Da spaventar le piú feroci “fiere”
Tutti ci aduna sopra un falsopiano
Poi, con parole energiche e severe,
Ci fa un breve sermone, indi l’appello
Come se avesse un diavol per capello
5
Rossiccio in testa lo porta il cappello
E sulle spalle una pellaccia d’orso
Tal ch’io son certo chi non sa chi è “quello”
Subitamente glielo volta il dorso;
Perché l’aspetto amici non è bello
E, quando parla, pare che dia un morso
Ma, nonostante tutto, a onor del vero
Nel petto ha un cuore nobile e sincero
6
Ecco si è fatto giorno e un nuvol nero
Sempre s’innalza piú nel firmamento:
Quel di tempesta prossima è foriero,
E già si sente il sibilar del vento.
Ciascun facciamo a gara: a chi primiero
Possa dar mano al gelido strumento:
Chi afferra il picco, chi il badile prende
Chi pianta i cedri e chi la fune stende
7
Naturalmente come si comprende
Ognun lavora svelto e silenzioso
E, come può, dal freddo si difende
Senza darsi un momento di riposo.
Poiché d’intensità sempre piú ascende
Il crudo freddo e divien piú rabbioso,
Ci si decide d’accendere un fòco
Onde scaldare ognun si possa un poco
8
Indi correndo al desiato lòco:
In un balen s’aduna la famiglia;
E poiché dell’altro ognun vorría buon gioco
Alle fiamme s’appressa e s’assottiglia;
Ma il vento che con stizza attizza il fuoco,
Ai piú vicini abbrucicchia le ciglia
Con le fiammate, e ciò avviene frequente,
Cosí che bruci o non ti scaldi niente
I Cacciatori di Rotondo
«Oreste Crescentini fu tra i piú noti improvvisatori in ottava rima nel territorio che gravitava culturalmente ed economicamente intorno a Sassoferrato, nell’alta provincia anconitana. […] Ben poco si conosce della sua produzione d’anteguerra, in quanto probabilmente andata perduta, oppure perché trasmessa oralmente. Di certo i suoi estimatori ricordano ancora con affetto e “passione” le sue “sàtrie bernescanti”: cosí infatti vengono localmente definite le poesie in ottava rima sia improvvisate sia composte con l’ausilio della scrittura, purché mantenenti la freschezza dell’arte estemporanea. Con la sua “poesia all’improvviso” primeggia nelle gare e negli incontri poetici in una non ristretta fascia territoriale. A tale proposito il figlio Orfeo ricorda con orgoglio che alcuni anni or sono, in una trattoria di Ancona, suo padre udí cantare un componimento poetico da lui scritto: “Ha avuto una grande soddisfazione in questa trattoria, perché c’era un gruppo di persone, in un angolo, e uno che recitava una satira, la sua, I cacciatori di Rotondo. Ha fatto il giro delle Marche quella poesia”». Così scrive Borghi nella Nota introduttiva in Sàtrie Bernescanti Marchigiane[9]. Questa poesia è stata riproposta in forma recitativa e in parte sulla musica della Paroncina di Monte San Vito e il video presente in questo link https://lottavarima.wordpress.com/la-storia/i-poeti-del-doglio-e-dello-strega/i-cacciatori-di-rotondo/
Si compone di 22 Ottave di questa satira non è stato trovato ancora manoscritto né di Oreste né di Natale Crescentini. Probabilmente è stata scritta attorno al 1950 -’51. Alcuni ricordano che, nelle strofe finali, le mogli dei cacciatori deridevano i propri mariti perché erano ritornati in paese senza la selvaggina e con i tascapani vuoti nonostante si fossero assentati da casa per tutto il giorno. La ricostruzione è stata realizzata in base ai ricordi di Orfeo Crescentini, Domenico Droghi e Mario Marsili Guidarelli. A riguardo riportiamo parte del fax (dat. Ferrara, 29 ottobre 1997) inviato da Guido Guidarelli Mattioli a Orfeo Crescentini, figlio di Oreste, a Toronto: «Caro Orfeo, ti invio questo fax con la poesia I cacciatori di Rotondo che Mario Marsili Guidarelli detto “Tranquillo” ha ricomposto. Le ottave n° 17-18-19-20 sono state realizzate da Droghi perché Mario non riusciva a ricordarle e,così, per arrivare alla n° 21 e 22, Droghi se le è inventate. Perciò, se tu leggendole riesci a ricordarti quelle originali, fammelo sapere. Quelle scritte così sono state inventate da Droghi, mentre le altre dovrebbero essere di tuo padre […]»
1
Il sedici di ottobre alla mattina
Da Rotondo partiva i cacciatori
Decisi a sterminar la selvaggina
In qualità di esperti tiratori
Caricati di viveri e benzina
Andavano rombando coi motori
Di uccidere una lepre ogn’uno giura
Cosí diretti vanno a Venatura
2
Giunti sul posto presero l’altura
Internandosi nel cuor della foresta
È un po’ bagnato ma non se ne cura
Sparando al primo uccello che si desta
Ecco ad un tratto preso da paura
Marino che piú avéa la gamba lesta
Tornava indietro che era il piú avanzato
Dicendo, amici, là mezzo infrascato
3
Ho visto un animale al quanto strano
Allora Galeotti il più allenato
Dice collega parla un po’ più piano
Qualche lupo può essere giù calato
Dal Catria come infatti il guardiano
Del monastero di Fonte Avellana
Ne ha visti quattro l’altra settimana
4
Presi dal timor per la collana
Ognuno afferra il cane e dice zitto
Che se ci sente i lupi oggi ci sbrana
In questo bosco maledetto e fitto
Intanto Ernesto e Delio si allontana
Che ognun capello in testa aveva ritto
Ciro si fa coraggio e si fa avante
Con la proposta di scalar le piante
5
La cosa fu approvata sull’istante
Esatto ritenevano il consiglio
Giungendovi a una altezza dominante
Che tutt’intorno lo vedeva un miglio
Attento fa Michele che è il piú avante
Fermo guardava senza batter ciglio
Stretto ad un ramo di un antico faggio
Dice ai compagni di farsi coraggio
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Intanto tra le nubi usciva un raggio
Di sol che rischiarò la valle ombrosa
Che di quel luogo lussa era selvaggio
Offre una vista molto paurosa
Approfittando quindi l’equipaggio
In atto di sparar presero posa
Fiutando ove Marino aveva detto
Tutti pronti col dito sul grilletto
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Uno due e tre neppur fu detto
Da Michele che dacéa il segnale
Una scarica di piombo andò diretto
La dove era il presunto animale
Uno sbèlo s’intese per l’effetto
Perella dice è il verso del cinghiale
Invece indovinate un po’ cos’era
Una capra vecchia come il prete nera
Il Barbiere di Rotondo di Natale Crescentini
La poesia, composta nel Secondo Dopoguerra, è contenuta in un plico ricevuto da Mancioli Gino. I tre fogli a quadretti stilati a mano, contengono Il Barbiere di Rotondo (componimento in rime baciate). Essa è una corrispondenza spassosa, in risposta ad una precedente missiva ricevuta da Natale Crescentini. Essa è stata riproposta sotto forma di stornelli.
Parte del video della sua riproposta è presente qui https://lottavarima.wordpress.com/la-storia/i-poeti-del-doglio-e-dello-strega/morege-loste-di-rotondo/
Il Barbiere di Rotondo
or risponde chiaro e tondo
alle tue focose rime
ch’hanno odore di concime
ti ringrazio del pensiero
che per quanto non sia vero
col motor ch’io vado a spasso
tanto meno ch’io sia grasso
Sei davvero fortunato
tra il concime destinato
dalla sorte favorito
tu ci hai tutto gratuito.
Cresci e passi tutti quanti
sia di dietro che davanti.
Con la crescita completa
anche l’estro del poeta
come infatti hai dimostrato
in quel plico a me inviato.
Che del resto dice chiaro
che non fu solo il ciociaro
ma più d’un ci ha lavorato
non escluso il sor Pilato
sò che ridi amico mio,
qualche volta ho riso anch’io.
Ti ricordi con la vespa
che partisti un di di fretta
con la sposa dal Borgaccio
e il cronometro sul braccio.
Che facendo brutte storte
ti perdesti la consorte
in quel tratto poco piano
avanti al forno di Varano?
Ma per questo il vicinato
c’era molto abituato
tu con mossa stretta e salda
strisci il tacco nella falda
con la mossa a tutti nota
di un tacchin che fa la ruota.
Or ti faccio un altro elogio
per l’affar dell’orologio
che acquistasti da Pazzaglia
or va bene e mai si sbaglia
Ed infatti la sua sfera
restò ferma li dov’era.
Per quell’atto temerario
della corda all’incontrario.
Se non fosse rivelato
fermo ancor sarìa restato.
Rimediare a questo guaio
ci pensò l’orologiaio.
Ci facesti addirittura
gran bellissima figura
e per questo la tua fama
se ne andò molto lontana.
Tal ricordi ormai passati
tu li avrai dimenticati.
Se non grati alla tua mente
fingi come detto niente.
Tra le cose sopra dette
ormai se lo permette
le signore del rione
che patiscon di gelone
scuseran se tocco il tasto
difettoso e mezzo guasto.
[1] G. Ligi “Poeti Contadini in Ottava Rima dell’Appennino Umbro-Marchigiano”, l’entroterra navigante (2012).
[2] L Verdini, Zolfo, Carbone e Zanzare, 2011, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche
[3] La lotta Sindacale dei “Sepolti Vivi” fu condotta dagli operai del sito Minerario di Cabernardi, che occuparono il sito minerario, a partire dal 28 Maggio 1952 fino al 4 Luglio 1952. Tale forma di lotta estrema a difesa del posto di lavoro di lavoro, fu l’iniziativa più eclatante e la prima occupazione di un sito minerario nel Secondo Dopoguerra, dopo una lunga serie di rivendicazioni che videro gli operai della Miniera di Zolfo, come protagonisti della storia operaia italiana. Vedi L. Verdini, op. Cit. pag. 54
[4] da Moregi è l’osteria di Rotondo gestita dall’oste Moregi Giuseppe detto (Gianni o Scrento dal nome di una città USA)
[5] Emma (moglie di Moregi Giuseppe)
[6] Crasi dei tre monti “Catria Cucco e Strega” “La linea di confine regionale s’inarca formando un golfo che lascia spazio all’Umbria e la Provincia di Ancona incontra quella di Pesaro-Urbino e Perugia, tre monti, il Catria, il Cucco e lo Strega, disegnano un triangolo che circoscrive un territorio d’alta collina dove la gente, in quel certo carattere umile e fiero al contempo, porta con sé il riverbero di un’antica voce d’Appennino.” G. Ligi, op. cit., pag. 17
[7] https://lottavarima.wordpress.com/2019/04/07/il-ritorno-di-morege-allosteria-giornatefai-moregisback-il-video/
https://www.youtube.com/watch?v=K2vU7GEvWSU&t=106s
[8] Il termine bruscello deriva dalla parola “arbusto” ed indica in dialetto toscano un ramo frondoso ed eventualmente ornato. Questa etimologia è quella teorizzata nell’Ottocento; più probabilmente “bruscello” deriva da “bruzzello”, una specie di lanterna in cui era bruciata legna resinosa la cui luce doveva disorientare gli uccelli stanati dai loro pagliai, loro rifugi notturni. I contadini parlavano infatti di caccia col bruscello. Da questa usanza nacque una farsa teatrale in cui si rappresentavano i cacciatori che magnificavano con grandi bugie i loro successi venatori. Successivamente, il bruscello venne utilizzato per raccontare le gesta di eroi come Fioravante, Buovo d’Antona (personaggi dei Reali di Francia), oppure vicende tratte dalla Bibbia. Per approfondimenti https://it.wikipedia.org/wiki/Bruscello_(teatro)
[9] Sàtrie Bernescanti Marchigiane. Dal repertorio di Oreste Crescentini, Ferrara 1997; p. 3 Crescentini O., I cacciatori di Rotondo – Il “Papa” di Camazzocchi, “Cristalli
nella nebbia”, Quaderno n. 3, Ferrara 2001.
Stefano Fabbroni
Stefano Fabbroni, classe 1981, Web Strategist presso Sintra Consulting srl.
Laureato presso l’Università di Milano-Bicocca.
Dal 2001 al 2005 ha svolto attività di redattore per quotidiani, TV, radio, settimanali e attività di blogger dal 2005 come tamburodilatta.
Dal 2008 è impegnato nel progetto teatrale “Lu Sprufunnu”, spettacolo di musica e teatro popolare, corpus di racconti, monologhi e dialoghi fondati su ricerche etnoantropologiche di musica tradizionale marchigiana.
La mostra itinerante “Soggetti al Popolare” (2012) raccoglie le foto della ricerca.
Immagine di copertina e nell’articolo: Foto dall’archivio del sito Lottavarima