Tutta la mia sonora forza di poeta
io ti consegno, classe, all’attacco!
Maiakovskij
L’Ue è l’Europa che c’è?, o è un divenire-Europa per un popolo che non c’è! E quale il senso dell’Europa dei crediti e dei debiti? Uno o più di uno? Consonanti, conflittuali, contrapposti? Sono i fuochi valutativi, ideologici, che l’1 Settembre 2016, senza sosta, con la memoria che ripescava “Il Manifesto di Ventotène”, martellavano e risuonavano spinose e galoppanti correlazioni centrifughe nei dintorni dell’atmosfera dello spazio architettonico e monumentale del complesso monumentale e artistico del “Carmine” di Marsala. Era il giorno in cui la Città conferiva la cittadinanza onoraria al linguista Tullio De Mauro; il giorno cioè in cui lo stesso De Mauro pronunciava il suo discorso “Europa: realtà, incertezze e speranze” secondo un modello di analisi e comunicazione che si richiamava alla politica dei debiti e dei crediti e che l’Europa, in fondo, non dovrebbe dimenticare mai.
Un discorso tale che, nell’intreccio dei destini di vita e di esistenza delle genti, inseriva così un luogo particolare, Marsala, i suoi abitanti e la loro storia nel più largo e ampio contesto dei rivolgimenti d’epoca (il farsi-Europa). In senso lato trasformazioni generali e movimenti migranti.
Non a caso Tullio De Mauro recitava la necessità di guardare dentro le cose nel circolo del nostro tempo presente fatto «di economia, scienza, benessere». Un tempo storico che chiama la cultura, l’istruzione e la politica a non essere aliene alla sofferenza altrui e alla solidarietà nel cerchio storico dei debiti e dei crediti reciproci o del patrimonio di conoscenze e saperi che, comunque, ha messo in contatto i popoli fra di loro con scambi vicendevoli. Si potrebbe dire senz’altro ottimista e speranzoso il discorso che De Mauro dedica all’Europa dalla sua mitica nascita fino agli assetti odierni delle politiche unilaterali o bi-multi-laterali. Ma lasciamo, seppure in stralcio e fermo-memoria (non possediamo il testo scritto), la parola del discorrere dello studioso romano. Un percorso chiaro e lineare tra ‘debiti’ e ‘crediti’ del continente Europa. L’uso della categorizzazione economico-finanziaria – dall’inizio alla fine del discorso del linguista De Mauro –, sicura mediazione metaforica, ha senz’altro contribuito al successo della comunicazione pubblica dello stesso.
Tra i ‘debiti’ quelli che il continente europeo deve all’Africa (l’origine dell’homo sapiens…) e all’Oriente (la scrittura, la numerazione indo-arabica e la rivoluzionaria introduzione dello “zero” come numero). Sul numero zero e il suo ingresso in Europa si potrebbero ripescare gli anatemi di scomunica lanciatigli addosso dall’Europa teologica cristiano-cattolica medievale. Ma di questo peccato della civile Europa storica, qui, per ovvie ragioni, non è luogo a procedere, né il linguista romano ne ha fatto cenno.
Tra i ‘crediti’ vantati dall’Europa, di cui si è fatta autrice e offerta di civile progresso, l’introduzione e la diffusione del metodo sperimentale, la convinzione filosofico-speculativa dell’esistenza di un ordine unitario delle cose del mondo, il circolo virtuoso tra scienza, tecnica, economia e solidarietà sociale ad ampio raggio.
Un pubblico discorso che, sebbene articolato e organizzato attorno ai temi dei debiti e dei crediti culturali/spirituali valorizzanti, ora che i flussi migratori di questa popolazione l’attraversano con dinamiche laceranti, non può, però, far dimenticare le politiche dei disastri che l’Eu-Usa ha nei confronti del mondo afro-asiatico. Lacerazioni dovute allo sfruttamento e all’oppressione provocati dalla neo-globalizzazione capital-neoliberista (fra l’altro fatta sbarcare anche da quelle parti, docet Cina…) di questo continente occidentale-nord-americano. Il modello politico che non riconosce barriere e confini e che pertanto fa transitare nel mercato (però entro i suoi assiomi, le sue regole e i limiti da questi posti e sottoposti alle coerenze ideologiche di fondo proprie) uomini e cose, merci e denaro, o le loro forme intrecciate e alternate fino alla forma attuale del denaro-denaro (D-D1) come una circolazione che spoliticizza l’altro, provocando così, nel contempo, conflitti e guerre di varia natura! Un intreccio non facilmente districabile, se lo stesso richiamava altri concetti presupposti quali quello di territorio, di popolo, di Stato, di diritto, di cultura, di lingua, di economia, di religione, di etica, di politica, etc.
Un susseguirsi di onde tale che, tra immagini e parole, proiettavano così la manifestazione di una periferia del Sud (siciliano) in un spazio e in un tempo cittadino che, servendosi della parola altrui, voleva o sentiva di riflettersi altrove ma non senza innescare dubbi e interrogativi. Un espandersi, dunque, concentrico-centrifugo che si espandeva a macchia d’olio mandando in onda una serie di informazioni e domande (mentali) non pacificate. Un insieme di cose che relazionava scelte (supposte o esplicite) che non poteva non rimandare alle condizioni storico-politiche del presente (ma gravido di futuro). Una storia tecno-economica organizzativa Ue-Usa che, dovendo ridefinire l’essere-insieme-con delle genti del pianeta terra, secondo noi, per memoria storica e governance europea in corso d’opera, operativa, non poteva essere abilitante.
Ma altri intellettuali, come, per esempio, il francese F. Céline – medico e letterato – e il tedesco C. Schmitt – teorico del diritto e costituzionalista –, si erano pronunciati in termini non certo promettenti sul destino di progetto Europa come unico e unitario sistema di sovranità politica.
Per il giudizio negativo che Céline ha espresso sull’Europa, qui, facciamo riferimento al libro di Stefano Lanuzza, Céline testimone dell’Europa (Prova d’Autore, Catania, 2016). In stralcio da Rigodon («romanzo che chiude la Trilogia del Nord», p. 25), Lanuzza, a proposito del pensiero céliniano sull’Europa, infatti, riporta la convinzione che lo stesso Céline aveva maturato in proposito. Dopo le numerose vicissitudini di vita e di esperienze complicate e sconvolgenti che ne avevano segnato il pensiero anarco-comunista, lo scrittore francese, allora, così si esprimeva: «L’Europa è morta a Stalingrado…Il diavolo ci ha la sua anima! Che se la tenga! … l’impestata puttanaccia!».
In questa sentenza, naturalmente, non c’è soltanto il riferimento alle distruzioni provocate in Europa e dalla stessa Europa (e con l’insieme degli alleati) durante la Seconda Guerra Mondiale e animata dai nazifascisti; l’altro riferimento, in questo giudizio stilisticamente segnato da una virulenta satira, è il patto di non aggressione che Stalin aveva sottoscritto con Hitler nel corso della Seconda Guerra Mondiale e lo stesso fallimento dell’esperienza del comunismo burocratico sotto il comando criminoso di Stalin stesso.
Profetica sentenza, dunque, quella di Céline?
Anche l’odierna Ue, infatti, non sfuggirebbe a quel giudizio demistificante! Sempre in guerra e in mezzo alla cura dei disastri e delle diseguaglianze in vista del vanto di una supremazia e di un dominio propri, l’Unione e le sue alleanze, infatti, sono sempre in cerca di nuove invasioni neo-colonizzatrici. Una politica estera e interna, propagandata in nome di una presunta propria superiorità di gens, cultura e capacità di civilizzazione, sempre in cerca di nuovo nemico politico da battere e abbattere. È l’Europa odierna delle guerra dei mercati finanziari (e non solo) globali, della perdita dell’autonomia e delle sovranità nazionali in nome di una presunta quanto ideologistica comune unione di identità civilizzatrice.
Un’unione europea nordoccidentale-americana che, volendo omogeneizzare e primeggiare, però non ha fatto altro che peggiorare i disastri e le economie dei disastri. Una politica che, tuttavia, nonostante ciò, contrabbanda come superiore missione di civiltà euro-occidentale; per cui solamente i suoi presupposti e i suoi parametri costituiscono la misura costruttrice di una democrazia adeguata per tutti e per il raggiungimento di una pace tollerante, nonché funzionale alla costruzione di uno Stato mondiale omogeneizzante in nome di un certo modello di “comune umanità”!
Che di contrabbando ideologistico, però, si tratti, è cosa che non ha bisogno di molte giravolte. Basta pensare e osservare, una per tutte, che le loro azioni di sistema e funzione in opera scelgono sempre un “nemico” contro cui scatenare il continuum delle guerre (umanitarie e democratiche…!), o delle lotte per l’accaparramento delle energie, o innescare certi espedienti per non dispiacere certe dittature amiche, protette e lasciate agire, etc.
Vistose campagne di guerra (con vecchie e nuove forme di guerra simmetriche e asimmetriche), e a danno delle popolazioni più esposte e deboli (poveri, migranti…), sono infatti le guerre delle monete (BRIC, Brasile-Russia-India-Cina) e della loro supremazia come motore di produzione e sviluppo, nonché le stesse complicità fra le grandi banche (né pubbliche né comuni), o delle lotte delle/fra multinazionali per accaparrarsi il monopolio dei diversi settori produttivi (agricoltura, industrializzazione, alimentazione, farmaceutica, servizi…), non esclusi quelli dei nuovi mercati della comunicazione e del web.
Basti pensare alle odierne multinazionali della comunicazione web o al sistema delle fusioni bancarie in atto; le fusioni banco-finanziarie che più del potere della vecchia guerra esercitano (cioè) un controllo dominante più efficace, sofisticato e terroristico delle armi stricto sensu (anche rispetto a quelle più sofisticate delle guerre chirurgiche e pulite contemporanee!).
Infatti, senza considerare il riciclo del denaro sporco – che si aggira tra il 2 e il 5% del Pil mondiale –, il potere finanziario legale e speculativo delle banche, delle società quotate in borsa, delle società d’affari e delle “agenzie del rating”, cui lo/gli Stato/ti si rapporta/no solamente come mano poliziesca e militare di supporto esattoriale. Un potere tale che, concentrato nelle mani di pochi, ha asservito tutta la vita e l’esistenza dei soggetti (secondo quanto ci dice la nuova episteme del biopotere e della biopolitica), identificando la politica con l’economia del credito-debito e assecondando la fusione delle banche con decreti salva-banche e centuplicandone così la forza impositiva imperiale (è rischioso far fallire le banche!). Perché potestas ,“auctoritas, non veritas facit legem”.
Assioma e metodo rigorosamente applicati dallo “Stato” italiano stesso, quale membro dell’Ue allineato, nella sua fase di consolidamento neoliberistico in corso d’opera (parallela ai rivolgimenti costituzionalisti); l’assioma operativo della tirannia del capitale-denaro e dei mercati finanziari sempre in preda ai nervosismi non appena c’è sentore di vento contrario. Così, in questi frangenti temporali e storicamente già certi, dietro l’assistenza pastorale della “Troika” – Banca Centrale Europea, BCE, e Commissione Europea, CE) e una internazionale (Fondo monetario internazionale, FMI). I leader di questi organismi sono Mario Draghi (BCE), Jean Claude Juncker (CE) e Christine Lagarde (FMI)) – assistiamo al “bail-in” e al “bail out” a favore del potere bancario italiano, curato e assitito del Governo Renzi.
Le attuali politiche governative volte a salvaguardare i capitali finanziari delle multinazionali e delle banche, mettendoli al riparo delle bancherotte con il ripianarne i deficit speculativi o favorendone le fusioni, non fanno altro così che favorire la crescita della povertà e delle misere condizioni di vita in cui versa gran parte della popolazione locale e mondiale.
In Italia, per non andare lontano (ai governi tecnici di Mario Monti et alia), le scelte del governo Renzi sono molto chiare lì dove, per esempio, le quattro banche – Banca delle Marche, Carichieti, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio e Carife – sono state salvate e riconvertite – CariFerrara, Banca Etruria, Manca Marche e CariChieti – in base a un decreto governativo costruito su l’uso del «bail-in» suggerito dalla Troika.
Un decreto d’urgenza (perché troppo rischioso far fallire delle banche)! L’introduzione dell’invenzione della troika europea (Fmi, CE, Bce) del «bail-in» (cauzione), incorporata nello stesso decreto “salva banche”, per camuffare l’investimento pubblico, perché ciò è vietato dal neoliberismo degli investitori privati e dei mercati.
Il cosiddetto bail in è «un sistema che prevede di salvare una banca utilizzando i soldi degli investitori – privati (corsivo nostro) – invece che quelli dello stato, pratica soprannominata bail out»[1]. Il bail in – direttiva 2014/59/Ue BRRRD (Bank Recovery and Resolution Directive, ovvero quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento) –, introdotto dal decreto “salva banche”, ha così salvato le vecchie banche sostituendole con quattro nuove banche.
Salvare le banche e i pochi ricchi è il nuovo comandamento della bibbia neo-liberista capitalistica. I poveri e i miserabili non hanno niente da perdere. La stessa vita e tutto il tempo di vita dei sei/sette miliardi di essere umani (che oggi popolano il pianeta), se non funzionano secondo la logica del capitale e dei capitalisti, possono essere lasciati alla deriva e alla morte sine cura. Così, su sei/sette miliardi di essere umani, oltre due miliardi (o più di un terzo dell’umanità attuale) vive nell’estrema miseria.
Al di là delle classificazioni (che conservano sempre dell’arbitrarietà), la povertà estrema e la miseria – scrive Guido Carandini – minaccia la sopravvivenza, mentre la prospettiva sono «la fame come condizione normale, la diffusione di malattie come l’Aids, l’alta mortalità infantile e la bassa aspettativa di vita»[2]. Dall’altra parte, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, i numeri dicono che «2, 8 miliardi di uomini vivono come meno di due dollari al giorno e 1, 2 miliardi con meno di un dollaro al giorno. […] si deve ammettere che la prospettiva di un mondo intero che si attenda dal capitalismo un futuro di riscatto, è assai remota»[3].
Il potere finanziario capitalistico odierno, non differentemente da quello di ieri, ha danneggiato e abbassato così ulteriormente le condizioni di vita complessive degli uomini e dell’ambiente, se (nel caso) si pensa e soppesa che fino a qualche anno addietro (secondo le cifre rese pubbliche … ma l’ammontare andrebbe aggiornato) ha investito 200 volte in più per salvare le banche in crisi di quanto avrebbe speso per realizzare gli obiettivi umanitari del nuovo Millennio.
Andrea Fumagalli (“Alfabeta2”, Dicembre/2011) scrive che il flusso finanziario globale per oltre “il 65%” del volume è controllato da pochi operatori finanziari, mentre risparmiatori e piccoli operatori subiscono passivamente le oscillazioni dei mercati finanziari e le agenzie del rating fanno un gioco sporco. Un tale controllo elitario dei mercati consente così che “poche società (in particolare dieci) siano in grado di indirizzare e condizionare le dinamiche di mercato. Le società del rating (spesso colluse con le stesse società finanziarie), inoltre ratificano, in modo strumentale, le decisioni oligarchiche che di volta in volta vengono prese”[4]. Lo stesso Andrea Fumagalli, inoltre, ancora, estrapolando dal “Sole 24 Ore” dell’anno precedente, scrive che nel 2010, per esempio, lo stesso Pil mondiale del sistema mondo era inferiore a quello delle borse e delle banche entrate in fusione. Il primo era di soli 74 miliardi (dollari), mentre quello delle borse era invece di 50 miliardi, quello delle obbligazioni finanziarie di 95 miliardi e quello degli altri strumenti quali i derivati era di 466 miliardi.
E se il potere dei mercati finanziari così era accresciuto, non meno era avvenuto – aggiunge il Fumagalli – per quello delle fusioni bancarie: tra il 1980 e il 2005 (secondo i dati pubblicati dal Fmi) si sono registrate 11.550 fusioni bancarie e ridotto il numero delle banche a 7.500; 5 (cinque) società d’affari (J. P. Morgan, Bank of America, City-bank, Goldman Sachs, Hsbc Usa) e 5 (cinque) banche (Deutesche Bank, Ubs, Credit Suisse, City-corp- Merrill Linch, Bnep-Parisbas) detengono (al 2011) il controllo di oltre il 90% dei titoli derivati; le prime 10 (dieci) società d’affari quotate in borsa, pari allo 0,12% delle 7800 società registrate, detengono il 41% del valore totale, il 47% dei ricavi e il 55% delle plusvalenze registrate.
Per sottolineare la deriva fallimento dell’Ue basterebbe qui, allora, ricordare solo la politica finanziaria, neocoloniale e disastrosa (anti-democratica e antiumanitaria) dei crediti e dei debiti che all’interno dell’area europea guida e orienta i rapporti tra gli Stati e la sorte di suddito schiavizzato che l’Europa destina a paesi membri quali, per esempio, la Grecia (ma sul tema torneremo più avanti).
Ignobile e funzionale è altresì il sistema delle tattiche opportunistiche che la cosiddetta Europa riserva all’alleato Stato della Turchia (tutt’altro che a vocazione democratico-liberale), cercato e ammesso a far parte dell’Ue e con cui, nonostante la dittatura messa in vigore dell’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, continua ad avere rapporti di attiva comunanza.
Una visione e un giudizio negativi (in relazione a un’Europa economico-tecnico-finanziaria), per appoggiarci al pensiero e ai giudizi di un’altra figura (non certamente visionaria o mistica), sono le proiezioni del giurista Carl Schmitt (sul cui passato politico di nazi-simpatizzante, qui, ora, per ragioni di spazio tralasciamo di dire).
Non solo il concetto di umanità, cui l’Europa si ispira per le sue “guerre umanitarie e giuste”, in quanto concetto non politico e postulato ideale, non esclude – scrive C. Schmitt – la guerra stessa come negazione del “nemico” da abbattere, ma anche il suo stesso modello di concorrenza fra economie e finanze liberistiche, affidato a esperti e governi tecnici, in quanto “guerra tra concorrenti” (individui o gruppi sociali), è un colossale fallimento, così come è stato quello della lega o della “Società delle Nazioni”. C’è, infatti, sempre un nemico politico ‘disumano’ (ideologicamente costruito) da dover negare e/o abbattere!
Una lega di nazioni come organizzazione universale dell’umanità concretamente esistente dovrebbe invece portare a conclusione il difficile compito in primo luogo di sottrarre effettivamente a tutti i raggruppamenti umani esistenti il jus belli e secondariamente di non esercitare essa stessa nessun jus belli, poiché altrimenti verrebbe meno di nuovo l’universalità, l’umanità, la società spoliticizzata: insomma tutti i suoi tratti essenziali.
Se uno «Stato mondiale» comprendesse il mondo intero e l’intera umanità, esso non sarebbe più un’unità politica e potrebbe essere chiamato Stato solo per modo di dire. Se l’intera umanità e il mondo intero venissero riuniti di fatto sulla base di un’unità solo economica e tecnico-commerciale, ciò non costituirebbe più un’«unità sociale», allo stesso modo come non costituiscono «unità» sociale gli abitanti di un casamento o gli utenti del gas di una medesima fabbrica o i viaggiatori del medesimo autobus. Finché tale unità resta solo economica o tecnico-commerciale non potrà mai trasformarsi, in mancanza di un avversario, in un partito economico o commerciale. Se poi essa volesse costituire un’unità culturale, filosofica o in qualche modo «superiore», e nello stesso tempo incondizionatamente non politica, essa si ridurrebbe ad essere una comunità di consumo e di produzione alla ricerca di un punto di indifferenza fra le polarità dell’etica e dell’economia. Essa allora non conoscerebbe né Stato né regno né impero, né repubblica né monarchia, né aristocrazia né democrazia, né protezione né ubbidienza, ma avrebbe perduto completamente ogni carattere politico. […] Non si può certo rispondere a questa domanda sollevando la speranza che in tal caso tutto «andrebbe da sé », che le cose « si amministrerebbero da sé » e che sarebbe superfluo un governo di uomini sopra altri uomini, poiché allora gli uomini sarebbero assolutamente « liberi »: infatti ciò che ci si chiede è proprio per che cosa essi diventano liberi[5].
La risposta non è certamente da cercare nella fede antropologica, ottimistica o pessimistica, se il potere politico-economico è nelle mani di una centrale economica e tecnica (estesa a tutto il mondo) che risponde alle direttive della finanza, delle borse, delle banche della Troika, degli imperi americani e asiatici e dei loro modelli di austerità e controllo di classe, tutt’altro che promesse di libertà e democrazia. Si tratta di un modello che, affidando la produzione e i rapporti sociali all’iniziativa del tipo d’impresa finanziarizzata pubblico-privatizzata, infatti, non può che creare rapporti di assoggettamento, asservimento e spoliazione sociale e politica attraverso l’obbligo di sanare i debiti. In sintesi una politica dei rapporti statali e interstatali, privati e pubblici, ordinata e subordinata (senza limiti), all’interno di una rete certamente centrata sulla svalorizzazione del concetto politico di popolo e dei diritti, al rimborso dei debiti e degli interessi dissanguante. E ciò nonostante la cosiddetta crisi. Anzi!
I “debiti” si pagano!
Tipico esempio (e non è il solo), nell’ambito dell’Ue e del relativo sistema bancario-finanziario privatizzato e predatorio, è quello dell’indebitamento della Grecia e del suo depredamento. I blocchi e i tagli imposti (da tempo) alla popolazione greca parlano da soli: a) «blocco o riduzione (fino al 20%) dei salari, abolizione di tredicesima e quattordicesima e soppressione di 150.000 posti, su un totale di 700.000, entro il 2015 (Funzione pubblica)»; b) «taglio delle pensioni in media del 7%, innalzamento dell’età pensionabile da 60 a 67 anni, entro il 2014 (Pensioni)»; c) «soppressione degli assegni di solidarietà per i disoccupati di lunga durata, i salariati a basso reddito, i pensionati, i contadini, riduzione di quelli per gli handicappati, ecc. (Protezione sociale) »; d) «aumento dell’Iva dal 13% (prima della crisi) al 23%, creazione di un’imposta di solidarietà, variabile dall’ 1% al 4% in funzione del reddito, e di un’imposta supplementare del 3% per i funzionari (Fiscalità) »; e) «messa all’asta di terreni pubblici nelle zone turistiche; vendita del 10% di Ote, la società nazionale di telefonia, al suo azionista principale, Deutsche Telekom; cessione della quota dello stato nella Banca postale (34%), nel porto del Pireo (75%), nel porto di Salonicco (75%); privatizzazione di una parte degli attivi pubblici della Lotteria nazionale, delle società nazionali di gas, elettricità e gestione mineraria, delle autostrade, della Posta, ecc.( Privatizzazioni, entro il 2012) »[6].
La crisi – ricordando un altro atto predatorio legalizzato –, per i banchieri dell’Europa occidentale, in particolare francesi e tedeschi –, è stata invece una manna caduta dal cielo. Da 2007 al 2009 hanno infatti utilizzato «i fondi prestati dalla Riserva federale e dalla Bce per aumentare la loro esposizione in diversi paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna) e realizzarvi ottimi profitti. Da giugno 2007 (inizio della crisi dei subprime) a settembre 2008 (fallimento della Lehman Brothers), i prestiti delle banche private dell’Europa occidentale alla Grecia sono aumentati del 33%, passando da 120 miliardi a 160 miliardi di euro»[7].
Ma nella nuova politica dei crediti e dei debiti dell’Ue capitalistico-finanziaria e neoliberista c’è anche la tutela, come fedele alleato euro-americano, dell’opprimente potere della Turchia, paese tutt’altro che liberale e democratico (almeno nell’accezione della storia della nascita degli Stati moderni e borghesi). Che la cosa è da porre in questi termini, basta, anche se succintamente, ricordare almeno due fatti. Uno è cronicizzato. L’altro è recentissimo.
Il cronicizzato è la guerra della Turchia contro il popolo kurdo; e qui, come nella guerra israeliana contro i palestinesi, l’Europa traccheggia! Gli alleati, anche se commettono crimini di guerra e violano gli stessi diritti fondamentali (come nel caso degli attacchi contro il popolo curdo, un popolo in lotta per la propria identità politica di popolo), tra un bla bla bla e un altro, vanno tenuti cari, non certamente esecrati e condannati perché massacrano. Diversamente sarebbe un’indebita interferenza negli affari interni di una Stato sovrano!
Ma, non meno eclatante e significativo, è quello più recente dell’incredibile (chiara complicità reazionaria) estradizione di un cittadino tedesco in Turchia, in quanto, secondo il golpista Erdoğan (il Presidente turco), si sarebbe macchiato di lesa maestà. Vogliamo riferirci cioè all’estradizione di Jan Böhmermann, autore della canzone satirica “Erdowie, Erdowo, Erdoğan”, su richiesta del “Presidente” golpista turco Erdoğan ad Angela Merkel. Il reato del comico? Il comico tedesco Jan Böhmermann è responsabile di una canzone satirica che lo ridicolizza. Per il presidente Erdoğan, però, questo è un vero atto di lesa maestà a un capo di stato esterno e alleato (che Stato, poi!). Per cui è necessario che venga estradato e giudicato da un tribunale turco. L’Angela Merkel, premier del governo tedesco e regina della stessa Troika, ha firmato allora il decreto di estradizione di Jan Böhmermann. Così, secondo il voler dei tribunali amici del dittatore turco Erdoğan (come c’è il fuoco amico delle guerre umanitarie e democratiche euroamericane), l’autore della canzone satirica sarà giudicato e condannato dagli imparziali! tribunali del governo turco-erdowie.
Ora, come sintesi critica sulla “nostra” Europa dei crediti e dei debiti, ci piace chiudere lasciando la parola alla stessa canzone satirica di Jan Böhmermann (andata in onda il 13 marzo 2016,”nel corso di Extra 3, in uno show del canale Ndr”[8]). Una canzone tutt’altro che una semplice canzone!:
Vive alla grande,
il capo del Bosforo,
(«Un borioso edificio con migliaia di stanze, costruito
senza licenza edilizia, in una riserva naturale”).
La libertà di stampa gli prende la gola,
per questo ha bisogno di molte sciarpe.
(Erdoğan parla in falsetto.)
Un giornalista, che pubblichi qualcosa
che non piaccia a Erdoğan,
l’indomani è già in cella
e alla redazione vengono messi i sigilli.
Egli non ci pensa due volte di notte a passare
ai lacrimogeni e agli idranti.
Devi essere ossequioso,
perché ti tiene in pugno
Erdowie, Erdowo, Erdoğan.
Il tempo è maturo
per il grande impero ottomano
Erdowie, Erdowo, Erdoğan.
Pari diritti per le donne?
Piuttosto, pari repressione!
(«La polizia di Istanbul ha sciolto con la violenza una
dimostrazione nella giornata mondiale delle donne»).
Il risultato elettorale non è buono?
Lui lo raddrizza.
(I like to move it, move it).
Odiai curdi come la peste,
e li bombarda anche più volentieri,
come i fratelli nella fede dell’Is.
Dagli i tuoi soldi,
ti costruirà una tenda da profugo.
Erdowie, Erdowo, Erdoğan,
La sua terra è matura
per il suo ingresso nell’Ue,
se ne infischia della democrazia
«Tschü con la ü », dice Erdoğan,
e cavalca verso l’Occidente!
Testo inedito, per gentile concessione dell’autore
Note
[1] Cfr. http://www.economia.rai.it/articoli/salvataggio-delle-banche-facciamo-il-punto/31886/default.aspx
[2] Guido Carantini, Un altro Marx- Lo scienziato liberato dall’utopia, Laterza, 2005, p. 193.
[3] Ivi.
[4] Andrea Fumagalli (Uninomade), Aspetti della dittatura finanziaria, in “Alfabeta2”, 15, Dicembre 2011, p. 8.
[5] C. Schmitt, Le categorie del politico, il Mulino, Bologna, 2055, pp. 142-43.
[6] DAMIEN MILLET e ERIC TOUSSAINT, Aria di rifondazione in Europa. Bisogna pagare il debito?, in “Le monde diplomatique-il manifesto”, XVIII, n. 7, luglio, 2011.
[7] Ivi.
[8] Cfr. Fulvio Scaglione, L’affaire Böhmermann Erdoğan-Merkel: 1-0, in “MicroMega”, 4/2016, pp. 99-113.
Antonino Contiliano vive a Marsala. E’ laureato in Pedagogia (Università di Palermo). è stato redattore della rivista “Impegno 80” e “Spiragli”. Ha fatto parte del movimento poetico che, tra gli anni 60 e 80 del secolo scorso, operò in Sicilia e si qualificò come Antigruppo Siciliano. Negli anni 80 ha fatto parte del comitato organizzatore degli “Incontri fra i popoli del Mediterraneo”: il convegno che, curato dal poeta Rolando Certa, ogni due anni si teneva a Mazara del Vallo. Nell’Antigruppo siciliano è stato redattore anche della sua rivista, “Impegno 80” (Mazara del Vallo) e poi del trimestrale “Spiragli” (Marsala). Fra le sue ultime poere di poesia si ricordano: ‘El Motell Blues (2007), Tempo spaginato. Chiasmo (2007), Il tempo del poeta (2009), Ero(S)diade. La binaria de la siento (2010), We are winning wing (2012), L’ora zero (2014) e la sua ultima opera Futuro Eretico (Fermenti 2016). Sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo, greco, macedone, romeno e croato.
Foto in evidenza di Simbala Desilles
Foto del ritratto di Antonino Contiliano realizzato dall’artista Stefano Lanuzza.