LETTURA LIBERA/1 – Walter Valeri

Hugo3Senza titolo

 

Oggi va di gran moda chiedere pareri, tirar su due soldi nel dar consigli sbrigativi, lagnarsi delle patrie lettere, firmare rubriche di poesia per giovani, o meno giovani, poeti in erba. Salvagenti e Paperette poetiche che stanno tra l’ incredibile e l’immaginario. Sono un placebo, prodotti facili da smerciare, assieme agli psicofarmaci e al Viagra , in vista del Diluvio universale prossimo venturo. Ma basta togliere una vocale alla parola Poeti (la O, ad esempio) e rimane ben poco per chi si vorrebbe consolare in versi. Auden ha scritto “Agli occhi degli altri si è poeti se si è scritta una bella poesia. Ai propri, lo si è solo nel momento in cui si danno gli ultimi tocchi a una poesia nuova. Un attimo prima si era ancora e soltanto un poeta in potenza; un attimo dopo si è uno che ha smesso di far poesia, forse per sempre”.Questa è la verità e dovrebbe bastare. Ma c’è chi in nome di un poeticismo triste e  discriminatorio, meglio dire reazionario, affetto da nostalgia da canone, s’indigna e cerca la zuffa in nome delle muse. Un’ indignazione che poco ha a che fare con l’atroce natura della cultura dominante, dei tempi in cui viviamo; oppure con la naturale libera luminosità che da sempre ogni parola poetica porta con sé. Pier Paolo Pasolini ripeteva spesso ‘basta un bel verso’ per giustificare un’intera raccolta di poesie. Ora poeti, poetesse o poete, male in arnese,  ci vorrebbero raccontare cosa sia o non sia ‘poesia’. Escludendo ovviamente, a priori, con la puzza sotto il naso, quella nuova e vasta fioritura di parole in versi che viene dall’Africa, Sud America, Asia, Oceania, Medio Oriente, etc; dalle loro carceri, da quell’immenso e sconfinato Continente del dolore, fame, umiliazione e guerra, che  infesta e copre il nostro pianeta; in nome di privilegi economici che hanno maschere, analoghe e corrispettive, nelle istanze narcisistiche e nel mercato della poesia. Non c’è nulla da aggiungere. In una lettera di Rilke, scritta nel 1903 per un giovane poeta che chiede consigli, sta l’autentica ragione (ricetta e validi consigli) per poeti e poetesse in erba. Cito dalla lettera dello stesso Rilke: “Frughi dentro di sé, alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» (scrivere) allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde. Non scriva poesie d’amore; eviti dapprima quelle forme che sono troppo correnti e comuni: sono le più difficili, poiché serve una forza grande e già matura per dare un proprio contributo dove sono in abbondanza tradizioni buone e in parte ottime. Perciò rifugga dai motivi più diffusi verso quelli che le offre il suo stesso quotidiano; descriva le sue tristezze e aspirazioni, i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi, le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo. Se la sua giornata le sembra povera, non la accusi; accusi se stesso, si dica che non è abbastanza poeta da evocarne le ricchezze; poiché per chi crea non esiste povertà, né vi sono luoghi indifferenti o miseri.” Rilke ha ragione, come sempre; “il vero”, “l’autentico”, sono fondamentali in poesia. La sua ‘simulazione’ però non è impossibile. Ed è bene non far nomi. Diciamo che anche la verità non basta. Ogni presente ha il suo passato; quindi non era così. Occorre, più che il sussiego di un presunto sacerdozio,  l’umiltà e la pena in ogni poeta perché sappia riconoscere il proprio ‘vero’ come un doloroso ‘transitare’. In futuro, anche la verità poetica più sofferta, sarà diversa. Il cambiamento, a volte, risulta impercettibile, specie ai nostri occhi. Anche  a chi vorrebbe perseguirlo sino al martirio. Ciò che è vero, spesso ma non sempre, è ‘egoisticamente’ inaccettabile; non è mai un ripetersi, non è mai la stessa verità quella che le parole poetiche pescano per dire la nostra vita, il suo lato gioioso o più sofferto. Persino ‘Il dolore contiene in sé un lato comico che non va trascurato’, se non ricordo male. I versi sono sempre e solo ‘scaglie della triglia moribonda’, punto e basta. Montale, ostile a ogni canone letterario, checché se ne pensi e più di ogni altro, ha avuto modo e tempo di chiarirlo in modo esauriente, anche se non definitivo. Per Amelia Rosselli, Anna Achmatova, Alda Merini ed Emily Dickinson è stata la stessa cosa. Altrimenti è letteratura. Anche Franco Fortini aveva le sue ragioni nel disputare a muso duro, con il grande Leo Spitzer; affermando che: la ‘morte’, in campo protestante, è diversa da come la intendono i cattolici, almeno in versi e poesia. Poi tutti si muore, certo; la morte non prevede razze, varianti estetiche di forma, contenuti degni di nota, mentre l’ansia d’infinito e dignità ci affratella. La morte è la morte…ma poi non è detto.

 

 

Walter Valeri

La Vivanderia/Associazione Ippogrifo

(Imola, 24 giugno, 2019)

 

 

Riguardo il macchinista

Walter Valeri

Walter Valeri poeta, scrittore e drammaturgo è stato assistente del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Ha fondato il Cantiere Internazionale Teatro Giovani di Forlì nel 1999. Successivamente ha diretto il festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti a Cesenatico nel 2008 e L’Orecchio di Dioniso a Forli' nel 2016. Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro. Opere recenti Ora settima (terza edizione, Il Ponte Vecchio, 2014) Biting The Sun ( Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015) Parodie del buio (Il Ponte Vecchio, 2017) Arlecchino e il profumo dei soldi (Il Ponte Vecchio, 2018) Il Dario Furioso (Il Ponte Vecchio, 2020). Collabora alle riviste internazionali Teatri delle diversità, Sipario, lamacchinasognante.com Dal 2020 dirige i progetti speciali del Museo Internazionale della Maschera “Amleto e Donato Sartori”. È membro della direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge (USA).

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