Da qualche tempo mi interesso ad un giovanissimo ragazzo nigeriano, che incontratomi su un treno, io in chiacchiere divertite con un’amica lariana al cellulare, lui zoppicante ed insanguinato in un treno che andava verso Chiasso, mi ha tenacemente- giacché le prime due volte l’avevo volutamente ignorato- scelto come suo interlocutore per chiedermi come raggiungere la Svizzera.
Ora siccome, il fato volle, che in quel periodo frequentassi come volontario la parrocchia di Rebbio gestita da Don Giusto, si dà il caso che fossi la persona adatta per impedirgli quella follia adolescenziale del confino, a tarda notte e zoppicante, invece di un posto sicuro ed un’alcova ad opera di professionisti delle migrazioni e di persone votate all’attenzione umana.
Da quel novembre molte cose sono passate e cambiate. Un anno è lungo. Ho dovuto infatti riprenderlo, quando fuggiva – per la verità era lui stesso a chiamarmi ogni volta che aveva preso questa decisione-, altre due volte e sorbirmi in ultimo una lunga notte con lui in Questura mentre un poliziotto paziente ed un impiegato infuriato per il nostro arrivo 10 minuti oltre il suo orario d’ufficio, sistemava le pratiche che gli permettessero di essere assistito dalla Croce Rossa. Infatti qualche giorno dopo è stato indirizzato verso una struttura d’asilo ed assistenza comunitaria.
La nostra frequentazione è curiosa, lui deve essersi identificato con me perché sono negro e perché ha capito dalla telefonata che ero ben integrato nel contesto italiano; io mi sono interessato a lui per dovere morale prima di tutto, poi per una compassione e compartecipazione emotiva che risale al mio periodo in orfanatrofio. Ma c’è un altro motivo, ovvero subito mi resi conto di quanto questo ragazzo (allora appena sedicenne) fosse la diretta risposta e l’antidoto a tutti i risentimenti verso gli stranieri e migranti, ed ai sempre più esorbitanti fatti di malessere sociale e di razzismo, non ultimo quello dei fatti di Macerata 2017. Dentro di me, mi confessavo che persino io non ero disposto a considerarlo né a trattarlo come un adolescente ma solo come un adulto. Nel modo sferzante- se pure divertente- con cui mi rivolgevo a lui c’era sempre una sorta di durezza indagatoria e giudicante. Inconsciamente gli chiedevo di non prendersi gioco di me- adulto avveduto-, di non eccedere con le richieste di aiuto ed assistenza, di essere leale e non ultimo di non deludermi. Può darsi che lui, abituato da anni a relazionarsi con adulti e contesti istituzionali e burocratici fosse in grado di andare oltre a questo mio atteggiamento di difesa, ma io mi accorgevo dei miei limiti.
Nel tempo, le nostre telefonate insieme alle nostre visite -allora non frequenti per la verità ed aumentate solo negli ultimi due mesi -, ci hanno permesso di conoscerci ed aprirci con più semplicità. Io restio ad essere una figura adulta minimamente valida come modello di confronto o terrorizzato dal doverlo essere e lui sicuro della sua scelta, tanto da dirmi che non avendo nessuno qui in Italia io sono un po’ una figura con cui si confronta come un padre ed una madre. Al che io ho glissato sostenendo che al massimo posso essere un fratello ed un amico più grande, con i miei 37 anni e tutti i miei errori esistenziali. La sostanza è rimasta la stessa, io gli voglio bene e credo di poter dire che lui vuole bene a me.
In questo ponte d’umanità abbiamo lasciato spazio a tutta la nostra contraddittoria verità, con pochissime riserve (e qui c’è lo spauracchio del confronto non con un ragazzo ma con un adulto o con qualcuno che la vita ha reso troppo presto esperto ed adulto) che poi è forse l’unico modo di volersi bene in questa vita, chissà.
Ripensando a quei giorni di novembre, non posso non ricordare come il sentimento che mi ha avvicinato a lui fosse di stupore, di scandalo e vergogna per il quietismo con cui la nostra società permettesse ad un ragazzo di 16 anni di essere da solo in balia degli eventi, non riconosciuto nella sua umanità, nella sua fragilità e nei limiti della sua età. C’è di più, le persone a me vicine mi chiedevano di stare attento, di tutelarmi per non essere frainteso, fregato o per di più denunciato. Mi chiedevano una ‘civile’ distanza da un ragazzo che a sedici anni si trovava da solo in un treno verso la Svizzera, senza soldi e senza reali punti di riferimento.
Lo scandalo, per queste sentenze, mi era diventato così evidente nelle ossa e nelle fibre che allora, sì, mi resi conto che persino io, con tutti i miei fallimenti e limiti, potevo dire sì a questo adolescente: sì posso vederti, posso sentirti, posso ascoltarti e sì posso darti una mano, perché nessuno sa il tuo nome, nessuno sa che esisti, nessuno sa che hai ossa e respiro, perché nessuno sa che sei solo un ragazzo. E speriamo di cavarcela…
E quindi buon anno a tutti i bambini e giovani del mondo, buon anno a tutti i bambini e giovani che sono il sale della terra, a tutti i bambini e giovani che vivono in situazioni di disagio, di difficoltà e a cui sostanzialmente viene negato il diritto di serena quotidianità per via dei calcoli utilitaristici di molti adulti sparsi in tutto il mondo. Voi bambini e giovani, non credete a questi adulti e crescendo ricordate da dove siete venuti e da dove tutti siamo venuti, ovvero l’infanzia la fanciullezza e la giovinezza. Non scordatelo mai, perché voi ce la farete a rendere questo mondo migliore!
DA QUEST’ANNO NELLA RUBRICA SCRITTI MINORI FAREMO SENTIRE DIRETTAMENTE LE LORO VOCI.
Immagine in evidenza: Collage di Basseck Mankabu.