Ho trovato nella periferia di una fabbrica abbandonata, scritta col carbone su un muro biancheggiante questa lettera senza mittente. Mi sono fermato e l’ho letta. Mi sono chiesto come sia possibile che qualcuno potesse averlo scritto senza firmarsi. Un gesto senza audacia? L’inutilità di un riferimento personale? Chissà. Ho deciso di trascriverla, nella speranza -ahimè troppo utopistica- che funga da passaporto e balsamo per chiunque si trova nella condizione di migrante.
Caro migrante,
questa lettera viene dal fondo di un essere vivente che ti osserva da anni e che accompagna il tuo tragitto col rispetto che si ha per gli eroi. Non i supereroi dei film, o dei fumetti, ma gli eroi – sì- quelli che sono costretti a combattere ogni giorno per essere se stessi ed avere la dignità degli esseri umani quando tutto intorno vuole negargliela. Questo privilegio terribile ti appartiene più che a qualsiasi altro essere umano sulla terra, ma tu devi saperlo per non soccombere: anche a te stesso.
So che tu non mi conosci perché sono nascosto negli occhi, nella pelle, e nei sentimenti dei cittadini, godendo di una sorte che a te non capiterà affogando nei mari, soccombendo lungo il tragitto, desistendo nei confini, oppure superandoli tu li godrai come gli animali in cattività o diversamente, oscillerai nel sadico pendolo civile, tra pietà e indegnità, tra aiuto e disprezzo, tra salvezza e potere di quelli che come me sono cittadini in tante parti del mondo, nelle nazioni.
So che anche tu in qualche luogo hai avuto il marchio della cittadinanza, da dove pure sei partito, andato via o fuggito perché hai toccato il velo ambiguo degli stati, dove divisi tra culti familiari, classi sociali, credenze, ideologie, politiche, economie, potentati, burocrazie, guerre e mafie si sfoggia il gioco sadico della civiltà. So che hai tremato, so che da allora hai voluto altro o l’hai dovuto volere e che per questo sei stato disposto a perdere ogni cosa pur di avere un’altra opportunità da qualche parte del pianeta terra.
Qui hai scoperto quanto fosse amaro l’eldorado a cui tanto avevi creduto.
Hai scoperto che camminare non è un fare di esseri umani, ma una condizione di eroi, riscoprendo la natura più fonda di ogni essere vivente, anche se noi cittadini stanziali – anche dentro noi stessi – irretiti, soggiogati e compiaciuti del nostro gioco di spazialità e confini neghiamo che tu possa in qualsiasi modo aver ragione, così combattiamo il polimorfismo delle tue pelli, delle tue religioni, delle tue lingue, delle tue forme, delle tue diversità e mancanze per impedirti di mostrarci un nostro possibile errore.
Politicanti, legiferanti, militarizzati, mediaticamente indotti, dialettici o liberamente informati, siamo feroci e ciechi. Sappiamo infatti dove ti muovi, dove ti nascondi, dove tenti una vita, dove sovverti le regole, dove ti imponi, dove ci vuoi diversi e da te pretendiamo una perfezione che noi non abbiamo. Eppure ti tenteremo con la carota odorosa della nuova cittadinanza, perché non conosciamo altri sortilegi. In fondo noi siamo spaventati e fragili, ma tu non devi saperlo. Così noi non ci incontreremo mai nelle nostre umane fragilità ma solo nella dialettica dei nostri diritti e dei nostri poteri, con lo sfoggio austero dei tuoi esotismi legalizzati, domestici e delle nostre sacralità da ministero. E sappi che quando sbaglierai conoscendo o non conoscendo le nostre leggi tu pagherai per tutti i noi, perché sei negro (e noi non ti vogliamo!), migrante ( e noi non ti vogliamo), esule ( e noi non ti vogliamo!), apolide ( e noi non ti vogliamo!), illegale (e noi non ti vogliamo!), violento ( e noi non ti vogliamo!), donna (e noi non ti vogliamo!), bambino (e noi non ti vogliamo !), vecchio (e noi non ti vogliamo!), disabile (e noi non ti vogliamo!), di un altro culto (e noi non ti vogliamo!), omosessuale (e noi non ti vogliamo!), drogato (e noi non ti vogliamo!), pazzo (e noi non ti vogliamo!).
Se vuoi la nostra carta della cittadinanza, per giocare con noi, prima vogliamo la tua perfezione!
Caro migrante, questa lettera in fondo è un pugnale ed una confessione per questo non posso rendertela dolce.
Io non posso fingere infatti di non riconoscere un essere umano e con i miei diritti, privilegi e paure credere di meritare più vita, più dignità della sua carne senza nome. È vero, io non ti conosco, migrante, non conosco la tua fatica, come tu a volte non conosci la mia, ma fra il cittadino e il migrante tu sei quello costretto a chiedere di essere riconosciuto nella tua umanità prima di ogni cosa.
Sei un eroe del quotidiano e se ora io te lo ricordo tu trattieni questa verità che ti appartiene nel tuo continuo camminare.
Reginaldo Cerolini 2003 …
Immagine in evidenza: Collage di Basseck Mankabu.