Quando il frate Bartolomeo Azzarola si sentì perduto, accettò l’idea che più niente avrebbe potuto salvarlo. La poderosa foresta del Guatemala lo aveva imprigionato definitivamente. Di fronte alla sua ignoranza topografica si sedette aspettando tranquillamente la morte. Voleva morire proprio lì, senza nessuna speranza, isolato, con il pensiero fisso alla distante Spagna, specialmente al convento di Los Abrojos, dove Carlo V gli aveva confidato che sperava nel suo zelo religioso.
Quando si svegliò si vide circondato da un gruppo di indigeni i quali, impassibili, erano disposti a sacrificarlo davanti a un altare, che a Bartolomeo apparve come il letto in cui avrebbe voluto riposare.
Tre anni in quel paese gli avevano dato un discreto dominio delle lingue native. Disse qualcosa. Alcune parole furono comprese. Gli venne l’idea, frutto della sua cultura e talento e della sua conoscenza di Aristotele. Si ricordò che in quei giorni era attesa un’eclisse solare. Volle così avvalersi di ciò per ingannare i suoi oppressori e salvarsi la vita.
Se mi uccidete – disse loro – posso fare in modo che il sole si scurisca totalmente. Gli indigeni lo guardarono fissamente e Bartolomeo si sorprese con l’incredulità dei loro occhi. Venne realizzata una piccola riunione, e lui aspettò sprezzante.
Due ore dopo il cuore di frate Bartolomeo Arrazola sprizzava sangue sulla pietra dei sacrifici (brillante sotto la luce opaca dell’eclisse di sole), mentre un indigeno recitava senza fretta, una per una, le date nelle quali si sarebbero prodotte eclissi solari e lunari, che gli astronomi della comunità maia avevano previsto e annotato nei loro codici senza il prezioso aiuto di Aristotele.
“O eclipse”, in AGEN (Brasile), 11-01-1990, traduzione dal portoghese di Loretta Emiri.
Augusto Monterroso, scrittore guatemalteco, scienziato e storiografo, radicato in Messico, morto nel 2003.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.