La raccolta poetica di Michela si compone di due parti distinte. Nella prima parte la poeta si rivolge soprattutto a un “tu” dialogante, a una presenza spirituale che incarna l’anima della sua terra di nascita.
Gli affetti più cari della sua gioventù emergono sotto forma di trame di ricordi, nostalgie, struggimenti, rarefatta bellezza di natura sospesa tra mare e vette all’orizzonte, tra nebbia e ghiacciai. Tra tutte le presenze famigliari si staglia più nitida e definita la figura del padre a cui la poeta è unita da un rapporto di amore profondo, così come profondamente dolorosa è stata la separazione fisica da lui, separazione avvenuta non per un accidente della vita, ma per una scelta consapevole anche se malinconica e pesante da sopportare. L’apertura della silloge è fondamentale per comprendere lo svolgersi di questo ricchissimo rapporto che sorregge Michela anche nelle scelte, nelle gioie, nelle traversie e nei dolori dell’età adulta.
Impara a custodire il tempo
Impara a custodire il tempo – mi dicevi
come se fossi in punta di piedi
a sciogliere le trame della vita.
E io che non capivo
fingevo di contare le nuvole
tra cumuli d’azzurro
per farle esistere anche oltre la luna.
Mi chiedevo, sai, cosa fossero i giorni
e perché dopo la luce ci fosse il buio
ma non sapevo che tu volessi insegnarmi
ad amare gli attimi,
quelli fatti di respiri accennati
e quelli infranti quasi alla deriva.
Allora era un gioco
indovinare il senso delle tue parole
e dare un ordine alle stagioni,
ora è la misura dei miei passi
che ho scelto in piena volontà
per farmi donna adulta
che sa quanto conta un’alba
e quanto valgono i silenzi
nascosti tra le lacrime.
Non so se ho imparato abbastanza
ma riesco ad aprire gli occhi al cielo
e a non buttare via niente
di ciò che appare e scompare.
Tengo stretta la tua voce
e quel consiglio sussurrato piano
che mi ricorda di te
e delle estati consumate
a chiamare lucciole sui prati.
Il cammino a ritroso nei ricordi e nelle radici della poetessa continua attraverso le immagini di passato e di sentimenti vivi nel presente:
Dove la Brenta
È l’odore di nebbia
che mi rassicura.
Sto nelle schiene verdi
della mia terra
dove la Brenta
ha rami limpidi
e voci silenziose.
Mi è cresciuto in vena
quel docile orizzonte
fragile di sole
e so dove hanno fermento
le nuvole.
Legata ai vezzi del cielo
lascio che il tempo smuova
le sorti della pianura.
Se ascolto la pelle
vedo lembi di fiume
e ad un palmo la mia origine.
Non posso dimenticare
Non posso dimenticare
le sere spese ad inseguire lucciole
tra i campi
e quel mondo alle spalle della luna
mentre il canale taceva
di rane ormai lontane.
Se il tempo mi ha portato altrove
non è colpa delle stelle
e nemmeno del vento
che ha rimediato la mia assenza
con altre stagioni in fasce.
Domani,
quando la nebbia riempirà il cielo
e avrà preso il posto delle nuvole
io la sentirò stringermi l’anima
come se mi appartenesse ancora
quel strappare confidenze alla pianura
chiudendo a ragnatela
le polveri della terra,
una terra che mi sfugge solo nella distanza
ma che è pur sempre
radice che confina col mio sangue.
In lontananza
Ci pensi a quel tempo che abbiamo stretto
mano nella mano
senza stupirci se io inciampavo
dietro ai tuoi passi grandi di padre.
Sono passati gli anni
e di allora ricordo
che mi spaventava la tua assenza.
Ti cercavo come si cerca l’aria
quando la luna scompare
e non rimane che un margine di luce
addosso alla notte.
Lo so, la vita ti insegna presto
a capire le distanze
e a sfiorare l’ombra di un volto di spalle
confondendo il tono del cielo
con un silenzio che prega il ritorno.
Ho scelto di andare
senza lasciare incompiuti i miei sogni
senza pensare che mi saresti mancato
come quando da bambina t’inseguivo
per le scale
e oggi ti parlo da donna
che conosce a memoria le tue rughe
e che ti chiama con la mente
a respirarmi in lontananza.
Dalla visione più intima, personale, riservata della dimensione degli affetti, “Nel silenzio che rimane” ci conduce ad una più universale ricerca del senso del dolore e della morte:
Nel silenzio che rimane
Potrei far finta
che il dolore non mi appartiene
ma non so guardare il cielo
senza sentire il peso di una terra
che spreme anime e confini
giorno dopo giorno.
È una conta di lacrime
che scompone mani
fino a spingerle a scavare senza fine
dove parla solo l’odore impregnato della pietra.
E allora il buio torna ad inasprire
i miei occhi
di una pioggia che sa di vite spente
accanto alle macerie.
Ancora l’estate preme sulle strade
ma tuona addosso alle pareti
un calore che assomiglia all’inferno
e fa sparire sogni e smantella sguardi
come un inganno che nel sonno
moltiplica la morte.
No, non posso dimenticare
chi è svanito come polvere
e si è fatto angelo
di un altro tempo,
così cerco un senso
nel silenzio che rimane
scrivendo nella notte
di tutta quella luce che scompare.
Dalle riflessioni di Michela sulle esperienze di vita personali e famigliari nasce la “La vita ti cambia”:
La vita ti cambia
La vita ti cambia
da quando apri gli occhi
e lasci il posto al seno
di tua madre
prima di affondare le labbra
in un amore che sa di latte
silenzio dolce, istinto distratto
che cerca subito il mondo
al primo singhiozzo.
Nemmeno si conosce l’aria
e già si grida per respirare
accanto alla luce
aggrappati ad uno sguardo
che non ha segreti.
Così impari a fuggire
tra i fiori del tempo
succhiando a memoria il destino
inciampando, inciampando ancora
senza capire
che a volte il buio non capita
ma è cucito sulla pelle
tatuato in un disegno preciso.
La vita ti cambia
come un fiume che si adegua alla corrente
ed è chiaro
che non sei più lo stesso
neppure nelle cellule
una volta che ti perdi
fino a calpestare la notte
fino a nutrirla di lacrime.
Allora aspetti che sia la pioggia
a lavare via le polveri
dei giorni spezzati
e ti rendi conto che solo il cielo
sa proteggerti
come in un sogno a colori.
Negli ultimi versi la lirica si apre ad una visione di accettazione del mondo con tutto quanto la vita può offrire e privare, fino a raggiungere la consapevolezza di aver maturato il coraggio ad affrontare la vita ed il destino imprevedibile e beffardo che l’esistenza ci propone ogni giorno, in “Apro la pelle ai giorni”:
Apro la pelle ai giorni
Apro la pelle ai giorni
e mi faccio coraggio
oggi per domani e domani ancora
fino ad innamorarmi della notte
e poi del giorno
come se fossi al primo inchino
alla vita.
Perché non posso spaventarmi
della prima ombra che appare
o della ferita che sanguina appena.
Allora cammino a piedi scalzi
tra le cose
inciampo cado mi rialzo
e consumo gli occhi ad esplorare il cielo
pur di non perdermi nemmeno un attimo
della luce che nasce
o del sole che si spegne nella sera.
Conservo anche l’odore delle macerie
ed il peso delle lacrime
sulle guance
senza smettere di amare
quel poco che basta
per dare un senso al fiore
o al ramo che si spezza.
Esisto, esisto senza ritirarmi dal tempo
e vengo al mondo ogni ora
diventando l’aria che respiro
aggrappandomi come una bambina
alla mano di un destino
che mi chiede dove andare
prima di orientarsi dentro al cuore.
La seconda parte della raccolta si apre con la dedica “Ai poeti” . Qui Michela dipinge una dozzina di immagini liriche, per la maggior parte omaggi ai suoi geni ispiratori: da Giacomo Leopardi ad Alda Merini, passando per i “poeti maledetti” francesi fino a Kerouac e Pasolini.
Ti cerca ancora la solitudine messicana
a Jack Kerouac
Ti cerca ancora la solitudine messicana
che ti ha reso straniero senza forma
per le strade del mondo
di occhi e crepe
ampi come l’eternità.
Nelle palpebre
il peso di una vita avida
e dannata,
un meditare all’eccesso
che sfianca la mente
fino a ridurla ad una patria senza storia.
E fai deviare parole
nei tuoni isterici del tempo
nell’alba senza poesia
che guarda l’istinto fuggire
a precipizio sui sensi.
Cadi e cede la ragione
come la margherita che si strappa
o la pioggia che spettina la polvere.
Lo so, non serve essere salvati
da un buio necessario
come un blues che fa schioccare le dita
prima che il silenzio curvi le labbra
a inventare altro.
Ridete – hai detto – e suonate il trombone
fino a provare il fuoco
Mi accompagna la notte
a Pier Paolo Pasolini
Mi accompagna la notte
nei vicoli vuoti di periferia
ed è un andare ardente
di silenzi
come le tue barbare verità,
strette in un vivere
troppo umano.
Le parole escono sfrontate
dietro ombre abbandonate
agli sfoghi del tempo.
Non è che buio
quello che resta
come un vento che scotta
e spaventa.
Ed io che sono partecipe
di una tempesta ancora accesa
dico che non è giusto
quel dolore che ti hanno imposto
nella sera più cupa
cuore d’inverno
tramando il tuo inferno
all’idroscalo.
Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: Credo (2006), Risvegli (2008), Vita, infinito, paradisi (2009), Sensualità (2011), Meditazioni al femminile (2012), L’estetica dell’oltre (2013), Le identità del cielo (2013), Tragicamente rosso (2015). In Romania è uscita in edizione bilingue la raccolta Imensele coincidente (2015). È inclusa nell’antologia Diramazioni urbane (2016), a cura di Anna Maria Curci. Autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi e giapponese. Ha ottenuto il Creativity Prize al Premio Internazionale Naji Naaman’s 2016. È ambasciatrice per la cultura e rappresenta l’Italia in Libano per la Fondazione Naji Naaman. È alla direzione di Writers Capital International Foundation. Socio corrispondente dell’Accademia Cosentina, fondata nel 1511 da Aulo Giano Parrasio.
Foto dell’autrice a cura di Michela Zanarella.
La foto in evidenza è della nostra webmaster, Micaela Contoli, di OpenMultimedia