Le diseguaglianze ai tempi di Covid-19 di Valeria D’Agostino

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A Lamezia Terme i rom sono “dimenticati” da tutti

La vita ai margini. Vivono in baracche in alluminio, con famiglie numerose, lavorano il ferro, sono portatori di tradizioni e culture diverse, testimoni di racconti orali e di identità in continua evoluzione: loro sono i “dimenticati”, i Rom di Scordovillo. La loro condizione è un’emergenza nell’emergenza da lunghi decenni e neanche ai tempi del coronavirus nessuno vuol vedere.

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I bambini hanno capelli biondi ed occhi verdi, capelli scuri e occhi neri, hanno tutti capelli lunghi e brillanti, giocano fra una baracca e un’altra, là dove manca l’asfalto ed è acqua mista a detersivo e acqua di pasta colata. Per loro non c’è più lo scuolabus, una volta però c’era: se ne occupava, puntualmente, ogni mattina l’Associazione La Strada. Oggi sono una minoranza i bambini rom che frequentano per 4 o 5 volte al mese le 2 scuole più vicine al campo Rom di Scordovillo e al quartiere popolare La Ciampa. Per loro nessun privilegio, ma nello sguardo hanno ancora tanta curiosità. In queste scuole le mamme dei bambini Rom subiscono già dall’estate le discriminazioni più ingiuste, da parte delle altre mamme, che agli inizi di settembre faranno di tutto per creare classi divise. Sono delle vere e proprie scuole ghetto, con classi formate solo da bambini rom. Così ogni tentativo di socializzazione e inclusione svanisce nel nulla.

Nelle baracche sono molte le anziane signore malate di tumore, o con problemi alle ossa, abbandonate a se stesse. Per queste la vita scorre molto lenta, su una sedia sdraio sul ciglio del davanzale, dove è un continuo respirare aria inquinata. Il rischio igienico sanitario, infatti, è all’ordine del giorno. All’inizio del mese di marzo un falso allarme, circa un’eventuale caso positivo al covid19, aveva visto arrivare il 118, ma subito dopo nessun tipo di controllo, nè di tipo sanitario nè igienico, si è visto attivare al campo rom. Eppure, la situazione non è così distante dai focolai scattati nelle Rsa. Anche il campo Rom, ai margini della città, con un centinaio di famiglie assembrate h24 rischia una catastrofe in assenza di tutele e prevenzione. E c’è pure chi li definisce “immuni”, perché più semplicemente appaiono lontani, lontani da uno sguardo attento, solidale,  equo.

La storia del campo rom di Lamezia è una storia simile ad altri accampamenti d’Italia, dove si rifugiano da tempi remoti famiglie di etnia rom. Riconoscerli quali cittadini italiani o lametini risulta per la maggioranza un passo troppo falso. La coscienza della società o la bramosia del potere politico preferiscono “dimenticarli”, sono un popolo troppo distante dalla modernità, non in grado di integrarsi. Ma integrarsi a cosa? Allora nell’immaginario collettivo i rom rientrano nei pregiudizi più accaniti, sono ladri di macchine in cambio di riscatto, ladri di ferro, incendiari di fumo nero, vagabondi. Oggi c’è ancora un albero gigante nel campo, che una volta era stato piantato per dare frescura, e attorno a quell’albero un uomo anziano con l’organetto continua a suonare la sua vita. Non avrebbe mai voluto vedere tutto quel fuoco.

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Non è servito, nel corso di oltre 20 anni, l’alternarsi della politica in città per rimediare ai problemi, per restituire dignità a donne uomini e bambini. Poiché ciascuno ha fatto la sua parte. Già, ma per indebolire i più deboli. Per chiedere loro il voto, in procinto delle elezioni, in cambio di una cinquantina di euro, e poi “dimenticarsi”. La procura aveva posto a sequestro il campo, circa 10 anni fa, ma a queste azioni non ne sono seguite altre. Ovvero, una corretta sistemazione per ogni famiglia. Qualcuno ha invocato ruspe e sfratti. E lo scorso luglio subito dopo l’insediamento a Lamezia anche il vescovo siciliano, Giuseppe Schillaci, è andato a far visita a Scordovillo per fare la sua benedizione. Fu in quella occasione che, attorno al vescovo, numerosi rom ebbero l’opportunità di aprirsi, di esprimersi, di dire le cose per come stanno realmente.

Ai tempi del coronavirus i rom vivono una quotidianità ancora più tormentata. Circondati da rifiuti, da condizioni igienico sanitarie quasi inesistenti, disservizi e mancati diritti, ed ecco che i rom con le loro famiglie allargate sono la metafora perfetta di un intero paese, sono lo “scarto” con cui nessuno vuole fare i conti. Mancano viveri, farmaci, e terapie. Coloro che prima lavoravano, anche se in condizioni precarie, portando a casa 100- 150 euro a settimana, adesso con le misure di contenimento da Covid-19 hanno perso tutto. I pregiudizi della società inducono a pensare ai rom come interminabili fonti di reddito, perché hanno numerosi figli, ma il più delle volte si scopre che il reddito di cittadinanza per molti di loro è pari a poche centinaia di euro. Il 15 aprile è scaduta la domanda del buono spesa fornito dal comune a seguito del decreto ministeriale “Cura Italia”, ma non tutti sanno leggere e  scrivere. Quando penseremo al coronavirus ci ricorderemo anche delle disuguaglianze più estreme? Saremo migliori o dimenticheremo?

Lo scorso venerdì 17 aprile è scomparso Armando, 51 anni. Un arresto cardiaco mentre lavorava nell’ingrosso di orto frutta, a Lamezia Terme. Per Armando la famiglia ha organizzato un funerale partecipato, nel cortile delle case popolari a “Ciampa di Cavallo”, in barba ai divieti Covid-19. Per i rom il rito funebre è qualcosa che va al di là del sacro, e tocca l’antropologia. Ebbene, nonostante il gesto non sia affatto giustificabile, le immagini video di quel momento hanno girato l’Italia in modo virale. La Polizia ha subito iniziato le indagini del caso, il sindaco s’è detto sorpreso, ancora una volta sono mancati dei controlli. Ma la cosa più grave, per concludere sullo sguardo di lunghi decenni di abbandono, l’ha compiuta la politica. Diversi esponenti politici si sono fermati a reazioni social, a cui purtroppo hanno fatto seguito catene di commenti di odio e razzismo. Mentre nei due mesi precedenti nessuno ha detto o fatto nulla per capire le reali condizioni e percezioni dei rom ai tempi del coronavirus. Il funerale di Armando chiama tutti agli attenti, questa volta non in modo circoscritto solo a proposito dei divieti covid-19 non seguiti dalla comunità rom, quanto sull’inosservanza di diritti, di tutela e sicurezza, più nel complesso, sulla mancanza di inclusione, a partire da un disegno politico assente da oltre 40 anni nei riguardi di cittadini custodi di storia, culture e tradizioni.

Valeria

 

Biografia: Valeria D’Agostino è giornalista pubblicista, collabora con la Gazzetta del Sud.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di copertina: Foto a cura di Valeria D’Agostino.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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